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Evidenze empiriche dalla letteratura

3.1 La struttura del capitale delle imprese familiari

3.1.2 Evidenze empiriche dalla letteratura

Come originariamente osservato da Demsetz, Lehn (1985) e Holderness, Sheehan (1988), il controllo proprietario sull’impresa di un singolo azionista, e quindi, per estensione, di una famiglia, aumenta le opportunità di trarre benefici privati e non trasferibili. Una delle principali differenze tra le imprese familiari e quelle non familiari è data dalla loro struttura proprietaria e, di conseguenza, dal modo in cui il controllo è valutato dai loro azionisti. Dal momento in cui nelle imprese familiari si ha una forte concentrazione dei membri della famiglia nella proprietà, le decisioni saranno più orientate verso gli interessi della famiglia, ragione per cui sarà improbabile che queste vertano verso finanziamenti rischiosi come l’emissione di azioni che porterebbero ad una diluizione del loro potere fino a minare il controllo sull’impresa. Di conseguenza, le imprese a controllo familiare saranno più propense a utilizzare il debito bancario piuttosto che ricorrere al finanziamento sui mercati finanziari, in quanto un aumento del capitale azionario indebolirà le loro quote di partecipazione e minerebbe la loro posizione di controllo.

Nelle aziende di famiglia, i maggiori azionisti e spesso i dirigenti e gli amministratori sono membri della famiglia e certamente hanno informazioni migliori sulle opportunità di investimento e sui flussi di cassa futuri di questi. Di conseguenza, dal momento che le imprese familiari sono poco trasparenti verso gli investitori esterni e che l'equity è più sensibile alle asimmetrie informative rispetto al debito bancario, il costo del capitale rispetto al debito sarà molto più elevato per le imprese familiari rispetto a quelle non familiari, pertanto, il finanziamento azionario sarà meno attraente rispetto al debito per le imprese familiari. Un altro motivo per cui le imprese familiari possono preferire il debito bancario, si riferisce alla diversificazione del portafoglio che conseguirebbe all’emissione di azioni, infatti, le famiglie fondatrici, in genere, hanno una grande frazione della loro ricchezza investita nelle proprie aziende e, di conseguenza,

sono interessate alla sopravvivenza a lungo termine dell'impresa e alla sua reputazione, preoccupazioni che condividono con i creditori.

Una parte importante della ricerca ha analizzato le scelte sulla struttura del capitale delle imprese familiari testando le principali teorie: la pecking order theory e la trade-off theory. Secondo la pecking order theory, le imprese non perseguono alcun obiettivo riguardante il rapporto di leverage e soddisfano le loro esigenze di capitale tramite il ricorso a varie forme di finanziamento nel seguente ordine di preferenza: guadagni accumulati, prestiti a breve termine, prestiti a lungo termine e emissioni azionarie (Donaldson 1961; Myers, Majluf 1984 ). La trade-off theory, d'altra parte, assume che le imprese hanno uno specifico target riguardante il rapporto di leverage e che questo è determinato dal bilanciamento dei costi e dei benefici derivanti dall’assunzione del debito e dall’emissione di azioni (Titman 1984). L'evidenza empirica internazionale dà risultati misti, ma la pecking order theory sembra adattarsi meglio al comportamento delle imprese sia familiari che non familiari.

Mishra, McConaughy (1999) sottolineano che le imprese familiari presentano un livello significativamente più basso di indebitamento e che questo è legato al livello di immistione della famiglia nella proprietà e nella gestione. Anderson, Reeb (2003b) trovano che le imprese familiari degli Stati Uniti hanno un più alto livello di debito rispetto alle loro controparti non familiari e Ellul (2010), analizzando un set di dati di aziende provenienti da 36 paesi, conferma questi risultati. In Europa, gli studi di Ampenberger et al. (2013) sulle imprese tedesche quotate e quelli di Margaritis, Psillaki (2010) sulle imprese francesi del settore manifatturiero, arrivano al risultato opposto. Croci et al. (2011), considerando un insieme di dati provenienti dalle imprese europee, giungono alla conclusione che le imprese familiari sono più propense al finanziamento tramite debito bancario e hanno una forte avversione al finanziamento azionario, coerentemente con l'ipotesi del valore del controllo. Questa tesi è sostenuta anche dagli studi condotti da Brav (2009) che mostra che le imprese familiari del Regno Unito, a

differenza delle public company, si basano quasi esclusivamente sul finanziamento tramite debito bancario e conclude che la volontà di mantenere il controllo sull’impresa influenza la scelta sul finanziamento esterno. Inoltre, le famiglie fondatrici vedono l'azienda come un bene che sarà tramandato alle generazioni future (Chami 1999) e questo aumenta la volontà di mantenere il controllo sull’impresa. Croci et al. (2011) sostengono, inoltre, che il costo del debito per le imprese familiari è inferiore rispetto a quello per le non familiari, contrariamente a quanto succede col costo del capitale. Anderson et al. (2003) sostengono che la proprietà familiare riduce i conflitti di agenzia tra azionisti e obbligazionisti in quanto questi ultimi percepiscono la proprietà familiare come una protezione ai loro interessi, in quanto, come abbiamo già asserito, i membri della famiglia investono la maggior parte delle loro risorse nell’azienda e hanno l’interesse a tramandarla di generazione in generazione.

Le imprese familiari devono essere in grado di gestire il trade off esistente nella strutturazione del capitale adeguato in quanto devono riuscire a trovare il giusto livello di capitale azionario tale da non portare alla perdita di controllo dell’impresa, e il giusto livello di debito bancario tale da non aumentare la rischiosità dell’impresa. L'avversione al rischio spinge le imprese familiari verso la scelta di una struttura patrimoniale caratterizzata da bassi livelli di indebitamento, ma la necessità di finanziare la crescita senza perdere il controllo, le porta a preferire livelli di indebitamento più alti. Secondo la logica del benessere socio-emotivo, ci possiamo aspettare che le imprese familiari siano più inclini ad aumentare l’indebitamento al fine di mantenere il controllo e l'influenza della famiglia sull’impresa, in quanto questo aspetto risulta prioritario rispetto al voler mantenere un basso livello di rischio (Gomez-Mejia et al., 2007). Rispetto a quanto appena detto, possiamo ipotizzare che le imprese familiari siano più indebitate rispetto a quelle non familiari, soprattutto se ci soffermiamo ad analizzare quelle di dimensioni medio-grandi che, quindi, hanno già affrontato il problema di come finanziare la crescita e gestire il trade off tra equity e di debito.