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Le family business e le banche: centralità della soft information

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Specialistica in Banca, Finanza Aziendale e

Mercati finanziari

Le family business e le banche:

centralità della soft information.

Relatrice:

Prof.ssa Paola Ferretti

Candidata:

Giulia Orazzini

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Indice

Introduzione... 5

1 Le family business... 7

1.1 Aspetti preliminari... 7

1.2 La difficile definizione del fenomeno... 13

1.2.1 Structure- based approach & Intention- based approach...14

1.2.2 Family business in senso ampio, medio e stretto...21

1.2.3 La scala F-PEC... 25

1.2.4 Una definizione teorica basata sul comportamento...33

1.2.5 Una definizione istituzionale... 37

1.3 Agency theory...39

1.3.1 Impresa familiare vs. proprietà diffusa...40

1.3.2 Agency theory e altruism... 42

1.3.3 Agency theory e Resource-Based View a confronto...46

2 Banche e credito... 48

2.1 Soft e Hard information... 48

2.1.1 Definizione di Hard e Soft Information... 50

2.1.2 Vantaggi e svantaggi dell’hard information...53

2.1.3 La centralità della soft information...55

2.2 Il relationship banking... 57

2.2.1 Relationship lending vs transactional banking...58

2.2.2 Hold-up & soft-budget constraint problem... 64

2.2.3 Il ruolo del relationship-banking nei vari scenari...66

2.3 Gli effetti della crisi in Italia... 76

2.3.1 Alcuni dati emersi dalla crisi... 78

(4)

3 Banche e family business... 84

3.1 La struttura del capitale delle imprese familiari...84

3.1.1 Alcune ipotesi... 86

3.1.2 Evidenze empiriche dalla letteratura... 88

3.1.3 Imprese familiari e struttura del capitale nel contesto italiano...91

3.2 Accesso al credito nel periodo di crisi...93

3.2.1 Prima e seconda crisi del credito bancario...96

3.2.2 Banche “soft” e banche “non-soft”...99

3.2.3 Confronto con il periodo antecedente la crisi...103

4 Metodologia della ricerca...105

4.1 Campione... 105

4.2 Modello empirico e descrizione delle variabili...107

4.3 Risultati empirici...108

Conclusioni... 112

Ringraziamenti... 115

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Introduzione

In questo lavoro ho analizzato il rapporto tra le family business e le banche. Le family business giocano un ruolo di primaria importanza nell’economia italiana, in particolare, e mondiale in generale, nonostante questo la definizione del fenomeno non è ancora universalmente riconosciuta.

A fronte di quanto appena detto, nel primo capitolo sono andata a ricercare delle definizioni del fenomeno dai contributi della letteratura esistente ed ho analizzato, successivamente, i problemi di agenzia che gravano su questa particolare tipologia di imprese.

Nel secondo capitolo sono andata ad analizzare le modalità di accesso al credito bancario, enfatizzando la centralità della soft-information rispetto alla hard-information, quindi l’importanza della qualità dell’informazione. Successivamente mi sono soffermata sull’importanza del relationship banking per una corretta formulazione del merito creditizio e la sua contrapposizione con l’approccio transactional banking, per approfondire la tematica relativa al rischio dell’affidamento, fino ad esprimere delle considerazioni sull’hold-up problem e sul multiaffidamento. Infine, ho portato delle evidenze su come l’utilizzo dell’approccio relationship lending possa mitigare la restrizione del credito per le imprese meritevoli in periodi di crisi.

Nel terzo capitolo, dopo aver ampiamente analizzato le caratteristiche delle family business e aver analizzato la centralità del credito bancario, ho indagato, in prima battuta, la struttura del capitale delle family business, quindi le evidenze empiriche sull’argomento prodotte dalla letteratura, e mi sono soffermata sul contesto italiano. Secondariamente poi, ho valutato le determinanti dell’accesso al credito per le family business nel periodo di crisi, soffermandomi ancora sull’importanza della soft information nella mitigazione del razionamento del credito, per concludere con un confronto con il periodo antecedente la crisi.

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Nell’ultima parte del lavoro ho effettuato una ricerca empirica per valutare se la variabile “Passaggio generazionale” è significativa nella valutazione della bontà creditizia delle imprese familiari italiane da parte delle banche. Per questa ricerca ho esaminato un campione di PMI familiari sbilanciato tra attive e fallite secondo un rapporto uno a tre servendomi del database Aida Bureau Van Dijk. I risultati emersi indicano che esiste una correlazione negativa tra la variabile Passaggio generazionale e la probabilità di default.

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1 Le family business

1.1 Aspetti preliminari

“Con il termine “family business” si intende un’impresa governata o gestita con l’intenzione di perseguire la vision di una coalizione dominante di soggetti, controllata dalla medesima famiglia o da un numero ristretto di famiglie, così da garantirne la sostenibilità di generazione in generazione”(Cassia, De Massis 2012).

Il modello di family business costituisce la forma proprietaria e organizzativa più diffusa al mondo, ciò nonostante le analisi su questo fenomeno hanno preso piede intorno agli anni ‘50 e risultano, quindi, ancora limitate in termini numerici se paragonate agli studi sulle imprese di tipo non familiare (public company, state-owned ecc.). Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un progressivo interesse alla materia in questione da parte di una moltitudine di figure rilevanti quali ricercatori, investitori, policy-maker, professionisti, imprenditori e manager. Le cause che hanno portato ad un primo scarso interesse per la materia in questione possono essere riassunte nei seguenti punti:

• la maggior parte delle family business è rappresentata da small business e questo porta ad una forte opacità informativa verso l’esterno;

• un numero significativo di imprese familiari ha adottato lo status giuridico di impresa individuale o società di persone, rendendo ardua la raccolta di hard e soft information su di esse a costi contenuti;

• i ridotti obblighi di disclosure a cui sono tenute queste imprese poiché raramente decidono di quotarsi in borsa;

• le controversie nel trovare dei parametri oggettivi per dare una definizione equa del fenomeno delle family business hanno reso difficile da parte dei ricercatori e degli studiosi della materia compiere degli studi comparabili;

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• il fatto che, in passato, l’impresa familiare non era vista come una tipologia organizzativa e di governance a sé stante ma veniva assoggettata alle imprese ad azionariato concentrato e alle small business per quanto riguarda rispettivamente la struttura proprietaria e l’aspetto organizzativo e dimensionale.

In questo modo, non venivano svolti studi specifici sul fenomeno, bensì si adattavano teorie costruite per la grande impresa per definire l’impresa familiare come impresa ad azionariato concentrato, non quotata e, spesso, di piccole dimensioni, ignorando quasi completamente le peculiarità che la contraddistinguono, derivanti dalle complesse interazioni esistenti all’interno e tra le seguenti dimensioni: la famiglia, la struttura proprietaria, il business e le interrelazioni con gli stakeholders. Per decenni ha divampato l’idea che “le aziende familiari fossero un retaggio di una fase pioneristica dello sviluppo economico di un Paese, destinato ad essere superato con l’affermarsi del moderno capitalismo” (Corbetta 2011). I sostenitori di questa tesi affermavano che il modello di gestione familiare fosse inadatto soprattutto se rapportato alle imprese di grandi dimensioni poiché presentava essenzialmente 3 grandi limiti:

• “malapianta del nepotismo”: la gestione familiare tende a porre ai vertici delle aziende i componenti della famiglia, i quali, nella maggior parte dei casi, sono persone inadatte a ricoprire ruoli di spicco, precludendosi la possibilità di assumere un management esterno e competente;

• “capitalista senza capitale”: l’impossibilità della famiglia di porre in essere strategie di crescita di lungo periodo poiché, in caso di mancanza di risorse, preferiscono mantenere il controllo sulla gestione dell’azienda piuttosto che evitarne il fallimento facendo entrare nella compagine societaria membri esterni alla famiglia;

• le divergenze tra i membri della famiglia portano ad accettare compromessi in termini di gestione aumentando così la malagestione

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attivata dalla “malapianta del nepotismo” o portano all’uscita di un familiare dalla gestione detraendo risorse economiche fondamentali per l’azienda.

Le evidenze empiriche riscontrate hanno confutato questa tesi portando alla luce il rilievo sia economico che sociale delle imprese familiari. Prendendo come esempio l’Italia, infatti, è stato dimostrato che nel decennio 2000-2009 le imprese familiari hanno registrato una maggior crescita rispetto alle non familiari in termini di fatturato e di dimensioni.

Il ruolo fondamentale delle family business nelle economie di tutto il mondo è ampiamente riconosciuto infatti, in Europa, circa l’80% delle imprese è classificabile nell’ambito delle imprese familiari e questa importante tipologia d’impresa impiega il 50% della forza lavoro. Per quanto riguarda l’Italia, le family business sono circa 784000, rappresentando così più dell’85% del totale e circa il 70% a livello occupazionale (Fonte: Aidaf 2014). Questi dati sono in linea con le principali economie europee e internazionali (Francia 80%, Germania 90%, Spagna 83%, Regno Unito 80%, Nord America 57%, America Latina 85%, Medio Oriente 90%, Asia 85%) mentre si riscontrano differenze a livello di governance in quanto le imprese familiari italiane si caratterizzano per la forte presenza (circa 60% contro Francia 26% e Regno Unito 10%) nell’organo manageriale dei membri della famiglia (Fonte: Aidaf 2014). Alla luce di questo, possiamo affermare che l’impresa familiare rappresenta un’istituzione fondamentale per lo sviluppo dell’economia. Oltre che per la sua particolare rilevanza a livello mondiale, è fondamentale approfondire l’argomento in quanto i processi di successione, governo e crescita possono differire significativamente rispetto a quelli caratteristici delle imprese di natura non familiare.

Le family business non sono un fenomeno omogeneo, al contrario presentano caratteristiche variegate e complesse in quanto l’elemento familiarità è un fattore discriminante che porta aleatorietà nelle decisioni interne. Le differenze sono determinate da una pluralità di elementi tra cui possiamo annoverare lo stadio di

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sviluppo, la generazione, il livello di coinvolgimento dei familiari, le dimensioni dell’azienda e il livello di professionalità e competenza ai vari livelli.

Un altro elemento che porta a differenze tangibili è dato dalla mission aziendale in quanto, in questi casi, l’imprenditore non è mosso solo dalla mera remunerazione ma anche da obiettivi di tipo non strettamente economici verso la famiglia come, ad esempio, la volontà di trasmettere l’azienda ai figli assicurandogli un futuro lavorativo oppure essere una colonna portante della comunità.

Le risultanze empiriche denotano che, in termini generali, solamente un terzo delle imprese familiari sopravvive alla seconda generazione ed ancor più esiguo è il numero di quelle che vanno oltre. Le imprese familiari rappresentano, nella nostra realtà economica, un modello operativo che incarna i caratteri tipici della cultura imprenditoriale italiana, vale a dire capacità creativa, forza di volontà, determinazione, voglia di emergere e individualismo.

L’attaccamento dell’imprenditore e della famiglia all’azienda può rappresentare, per quest’ultima, un punto di forza poiché è sinonimo di una visione prospettica che si traduce in risultati positivi nel lungo periodo in termini di continuità e sviluppo, ma anche di debolezza in quanto la gestione strettamente familiare, che spesso significa mancanza di competenze adeguate e divergenze in termini di scelte, rischia di creare dei vincoli allo sviluppo dell’impresa che possono portare al totale affossamento di quest’ultima.

Sovente, il fondatore dell’impresa vive comprensibilmente l’azienda come una cosa personale, che si basa sulle sue capacità creative e sui suoi sacrifici. E proprio da queste premesse che spesso nasce quell’atteggiamento contraddittorio del titolare che, da una parte, è consapevole della necessità di adeguamento ai cicli evolutivi della sua impresa e della sua vita e, dall’altra, è restio a lasciare il comando alle nuove generazioni.

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• Piccola Dimensione: nell’immaginario comune le imprese familiari sono rappresentate da small business in quanto si pensa erroneamente che questo attributo possa essere associato alle imprese gestite da una famiglia. Corbetta asserisce che la proprietà familiare può esercitare un’influenza notevole anche in imprese di media, grande e grandissima dimensione portando a sostegno di questa tesi dei dati che dimostrano che, solo in Italia, su 8000 imprese medio- grandi, il 55% di esse è a controllo familiare e il numero è crescente se si considerano le multinazionali con sede nel nostro Paese controllate da famiglie.

• Capitalisti senza capitale: sulla scia di Chandler il quale imputava il declino economico della Gran Bretagna alla debolezza delle imprese familiari, alcuni studiosi sono dell’idea che tali imprese non siano in grado di sostenere politiche di crescita e sviluppo in quanto non dispongono di risorse economiche sufficienti e fanno un uso del capitale di debito bancario molto superiore rispetto agli altri tipi di impresa. Corbetta confuta questa tesi dimostrando che tra i principali 20 gruppi quotati in Italia, la maggior parte sono a controllo familiare e il capitale fornito dalla famiglia va da un minimo del 40% del capitale proprio dell’azienda, fino ad un massimo del 75%; anche nel caso di aziende familiari quotate minori vediamo che il 50% del capitale è fornito dalla famiglia proprietaria, stessa considerazione può esser fatta per i grandi gruppi non quotati. Anche per quanto riguarda l’uso del debito bancario, Corbetta conferma che le imprese familiari ne facciano un uso maggiore rispetto alla media delle altre imprese italiane, ma questa differenza non è così significante.

• Basso tasso di crescita: considerando i dati dell’Osservatorio AUB possiamo notare che i ricavi delle aziende familiari nel periodo 2003-2007 sono cresciuti (50,5%), meno di quelli delle aziende controllate da coalizioni (54%) ma più degli altri tipi di aziende.

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• Modello superato: come già visto in precedenza, molti ricercatori hanno sostenuto che “le aziende familiari fossero un retaggio di una fase pioneristica dello sviluppo economico di un Paese, destinato ad essere superato con l’affermarsi del capitalismo moderno, liquidando in particolar modo le grandi imprese familiari come vere e proprie anomalie provenienti da un’altra epoca, senza però considerare che i periodi di “buona sorte” di un certo numero di queste imprese erano durati incredibilmente a lungo” (Corbetta 2010).

• Modello vincente: il fatto che negli ultimi anni ci sia stato un forte interessamento per le imprese familiari, ha portato alcuni studiosi a ritenere che queste rappresentassero un modello vincente a discapito delle public company poiché presentano dei punti di forza quali: avversione ai comportamenti irresponsabili data dallo stretto rapporto rischio-responsabilità personale; facilità nella trasmissione di competenze e valori data dal legame di parentela e maggior bilanciamento tra proprietà e management (Corbetta 2010). Questi fattori possono sicuramente portare ad un vantaggio competitivo, ma in alcuni casi non sono implementati e portano al risultato opposto, quindi alla fine dell’azienda.

• Unica discontinuità: come afferma Corbetta, secondo alcuni studiosi, l’unica discontinuità rilevante in un’impresa familiare è rappresentata dalla successione tra padre e figli (in una visione ancora più miope tra padre e figlio maschio) e questo porta alla nascita di distorsioni in quanto fa sì che non vengano considerati problemi di altra natura che affliggono questo tipo di imprese.

Da questa analisi è facile evincere che, data la loro complessità, le imprese familiari necessitino di strategie ad hoc.

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1.2 La difficile definizione del fenomeno

“La letteratura economica definisce “familiare” l’impresa nella quale il capitale sociale e le decisioni fondamentali di gestione risultano controllate da poche persone collegate tra loro da vincoli di parentela” (Cespim 2009).

Come già specificato precedentemente, le family business non sono un fenomeno omogeneo, per questo sarebbe una forzatura il volerlo inquadrare in maniera unitaria ma allo stesso tempo, questo aspetto porta a problemi non di poco conto quando si tratta di svolgere delle ricerche empiriche che portino a risultati accettabili in linea generale in quanto le imprese familiari non presentano un’identità chiara e riconoscibile.

In tempi più recenti abbiamo assistito ad una maggiore attenzione nel cercare di definire in maniera oggettiva l’impresa familiare e questo ha permesso agli studiosi di condurre delle ricerche che permettessero un confronto con le imprese non familiari in modo da trovare punti di forza e debolezza che le contraddistinguono e per vedere se esistono effettivamente delle concrete differenze nel confronto tra le due tipologie d’impresa.

Per rendere, appunto, le ricerche empiriche più omogenee e permettere di fare un confronto tra i diversi studi che utilizzano definizioni differenti, negli anni ‘90 abbiamo assistito ad una sorta di convergenza delle diverse definizioni di impresa familiare nate sulla base degli elementi distintivi che le caratterizzano per sfociare in una definizione quanto più univoca del fenomeno.

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1.2.1 Structure- based approach & Intention- based approach

Litz (1995) ha teorizzato due tipi di approcci per definire i caratteri delle imprese familiari: “structure-based approach” che considera il coinvolgimento della famiglia nella proprietà e nel management e “intention-based approach” basato, invece, sul comportamento dei familiari nei confronti dell’impresa.

Lo structure-based approach prevede l’utilizzo della dimensione management e della dimensione proprietà. Dal concatenarsi di queste due variabili è possibile costruire la matrice riportata in figura 1. La matrice risultante è di tipo semplificato in quanto vengono presi in considerazione solo tre stati diversi per ciascuna delle dimensioni, quindi non è idonea a rappresentare la gamma complessa di forme di proprietà e di gestione che riscontriamo nella realtà ma è un semplice punto di partenza che ci permette di poter spiegare l’approccio teorizzato. I tre livelli prevedono la concentrazione di proprietà e/o gestione nelle mani di un singolo individuo, un nucleo familiare e un gruppo eterogeneo di individui.

Figura 1: structure- based approach

1 2 3

4 5 6

7 8 9

Fonte: Litz 1995.

Un esame della griglia mostra che l’interesse della famiglia è irrilevante solo in una minoranza delle celle (cioè, celle 1, 3, 7,e 9), al contrario, risulta essere potenzialmente significativo in cinque delle 9 celle (2, 4, 5, 6, 8). Al fine di illustrare i vari livelli di coinvolgimento della famiglia che possiamo ritrovare

Individuale Familiare Dispersione Management Individuale Familiare Dispersione Proprietà

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all’interno dei diversi business rappresentati dalle celle della griglia, può risultare utile fare degli esempi di questi:

• Cella 1: (Dispersione proprietà / gestione individuale) può essere rappresentata da una società quotata in borsa guidata da un potente e carismatico amministratore delegato quindi non sorprende il fatto che gli interessi della famiglia nell’immistione in questo tipo di impresa siano completamente taciuti.

• Cella 2: (Di proprietà della famiglia / gestione individuale) si tratta di un’azienda controllata da una famiglia e guidata da un leader con grande influenza sulla direzione strategica della società.

• Cella 3: (Proprietà individuale / gestione individuale) La centralizzazione sia della proprietà che della gestione in capo ad un unico individuo, come ipotizzato in questo specifico caso, sembrerebbe essere più facilmente rinvenibile nel modello small business.

• Cella 4: (Dispersione proprietà / gestione familiare) questo insolito abbinamento potrebbe essere rappresentato da imprese familiari che sono state recentemente acquisite da grandi conglomerati quotati in borsa che hanno lasciato ai membri della famiglia posizioni di rilievo all’interno del management dell’azienda. Questo potrebbe anche rappresentare la pratica del nepotismo nella gestione di un'impresa ovvero collocare i membri della famiglia in posizioni manageriali chiave .

• Cella 5: (Proprietà familiare / gestione familiare) L’ azienda di famiglia è stata spesso percepita come quella situazione in cui la proprietà e il controllo di gestione sono entrambi concentrati all'interno di un unico nucleo familiare, come rappresentato da questo particolare caso che, per l’appunto, può essere considerato come l’esempio principe di family business.

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• Cella 6: (Proprietà individuale / gestione familiare) include quelle imprese familiari che hanno a che fare con il primo passaggio generazionale.

• Cella 7: (Proprietà dispersa / gestione dispersa) esempio lampante sono le public company quindi società ad azionariato diffuso, tipiche della realtà anglo-sassone.

• Cella 8: (Proprietà familiare / gestione dispersa) l'allineamento della proprietà e della gestione è simile a quello descritto nella cella 2 salvo per la presenza di un dirigente carismatico che viene sostituito da un modello di gestione che prevede una pluralità di manager che concorrono nel prendere delle decisioni per l’azienda.

• Cella 9: (Proprietà individuale / gestione dispersa) classico esempio di un’azienda appartenente ad un magnate capitalista e gestita da un team di esperti.

Nel loro insieme, questi esempi mostrano una vasta gamma di possibili combinazioni tra proprietà e gestione e suggeriscono che l’avanzamento di una singola definizione di azienda familiare è una sfida complessa in quanto gli interessi della famiglia si manifestano in modo significativo e in modi differenti in ciascuno dei cinque tipi identificati come rilevanti.

Nonostante risulti difficile dare una definizione semplicistica al fenomeno dell’impresa familiare a causa della complessità del tema, possiamo formulare due assiomi di base: in primo luogo, che il tipo di impresa varia in base alla presenza della famiglia o meno, secondariamente poi che un’impresa può essere definita familiare se proprietà e management sono incentrati nelle mani di una singola famiglia. In conclusione possiamo dire che “un’impresa può essere definita familiare in base al grado in cui proprietà e management sono concentrati all’interno di un’unica famiglia”(Litz 1995).

Tuttavia il compito di definizione è ulteriormente complicato dalla possibile presenza di aspirazioni latenti di aumentare o diminuire il grado di familiarità a

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livello organizzativo all’interno dell’impresa. Questa possibilità suggerisce che è necessario utilizzare anche un approccio complementare, meno orientato alle caratteristiche strutturali oggettive, in grado di apprezzare gli aspetti non tangibili dell’organizzazione, da qui l’intention-based approach.

Una delle evidenti carenze dell’approccio precedente sta nella sua incapacità di apprezzare i rapporti all’interno dell’organizzazione basati sulle relazioni familiari. L’intention-based approach, decisamente più soggettivo e discrezionale nella sua identificazione, riesce a colmare questa lacuna in quanto “si basa sul modo in cui le dinamiche familiari vanno ad influenzare obiettivi, strategie, decisioni e, in generale, l’orientamento adottato dai familiari nei confronti del business” (Chua et al. 1999).

Prendiamo in considerazione la variabile “stato attuale” dell’impresa e la variabile “obiettivi futuri”, quindi costruiamo una matrice nella quale andiamo ad incrociare lo stato attuale in cui si trova l’impresa e la forma a cui aspira.

Figura 2: intention-based approach

Potenziale non family business

Family business Non family business Potenziale family

business

Fonte: Litz 1995.

I quattro quadranti mostrati nella Figura 2 rappresentano il punto finale delle combinazioni delle due variabili prese in esame. Questa struttura è palesemente grossolana in quanto, con ogni probabilità, gli obiettivi non saranno costantemente unitari. I quadranti nord-est e sud-ovest rappresentano rispettivamente le forme pure di impresa a controllo familiare (rappresentata

Family Non family

Non family Family

Stato attuale

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dalla cella 5 in figura 1) e non familiare ( cella 1 e 7 in figura 1), mentre i quadranti nord-ovest e sud-est rappresentano entrambi un’impresa in transizione, il primo corrisponde ad un impresa potenzialmente family business, al contrario, il secondo, una potenzialmente non family business. Una family business potenziale è un’impresa in cui uno o più membri dell’organizzazione desiderano aumentare il controllo familiare all’interno dell’organizzazione a livello di proprietà e/o management, all’opposto una potenziale non-family business è rappresentata da un’impresa in cui proprietà e/o management sono concentrati in un’unica famiglia ma dove uno o più membri dell’organizzazione desiderano diminuire questo tipo di controllo basato, appunto, sulla gestione di tipo familiare. La distinzione tra queste quattro celle punta anche a un'affermazione importante sulla natura delle azienda familiari, vale a dire che lo status di queste imprese varia a seconda del grado in cui esse desiderano essere o meno dominate da una famiglia. Per come sono state intese tradizionalmente, le family business sono rappresentate da quelle aziende in cui lo stato attuale e gli obiettivi futuri di crescita coincidono (quadrante Nord-Ovest) , tuttavia questa visione perde di efficacia poiché non riesce a contenere quelle organizzazioni che stanno muovendo verso l’impresa familiare nella sua forma pura e non riesce neanche a spiegare la possibilità delle imprese di famiglia di diventare imprese non familiari deliberatamente o meno. L’integrazione di questi approfondimenti suggerisce che “un’impresa può essere considerata di famiglia nella misura in cui i suoi membri si sforzano di raggiungere e/o mantenere all’interno dell’organizzazione, a livello di proprietà e/o controllo, dei rapporti basati sulla parentela” (Litz 1995).

Una conclusione esplicitata dal primo approccio utilizzato in quest’analisi definisce l’impresa familiare come quella in cui proprietà e controllo sono nelle mani di un’unica famiglia; questa viene completata dalla definizione data dall’approccio più soggettivo sopra descritto secondo cui un’impresa può essere detta familiare dal momento in cui i suoi membri desiderano aumentare il livello

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di parentela tra gli organi di proprietà e controllo, tendendo quindi verso un’organizzazione a base familiare.

Un’estensione logica a questi due approcci consiste nell’esplorare le loro possibili integrazioni, vedere quindi come le caratteristiche dello structure-based approach e dell’intention-based approach, interagendo tra loro, generano una più ampia prospettiva di definizione. A questo proposito analizziamo la figura 3 che considera il possibile posizionamento dei nove tipi di impresa proposti dalla figura 1 all’interno del grafico di figura 2.

Figura 3: interazione tra structure & intention- based approach

Potenziale non family business

2 8

4

Family business

5

Non family business

1 7

Potenziale family business

3 6

9

Fonte: Litz 1995.

Dalla figura 3 si evincono due considerazioni basilari. Per prima cosa, solo tre dei nove modelli di impresa individuati con lo structure-based approach sono considerati come forme pure, infatti possiamo vedere che solo la cella 5 è collocata tra le family business e le celle 1 e 7 sono posizionate tra le non-family business. L’implicazione che ne deriva è che sei delle nove celle considerate sono

Non family

Non family Family

Stato attuale

Obiettivi futuri Family

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rappresentate da imprese in transizione quindi potenziali family o non-family business.

La prima tipologia include quelle imprese dove i membri aspirano ad una gestione e ad un assetto proprietario più incentrati verso la famiglia, dove quindi gli attori sono connessi da rapporti di parentela, infatti in questo blocco sono incluse le celle 3, 6 e 9. In tutte e tre queste celle la proprietà è concentrata in un singolo individuo e possiamo considerare queste tipologie come potenziali family business nella misura in cui sia presente il desiderio del proprietario di includere i membri della propria famiglia all’interno dell’azienda. Il caso più forte in questo senso è rappresentato dalla cella 6, data la presenza di membri della famiglia già all'interno del business.

Come ci insegna la letteratura, le imprese familiari in senso stretto (tipologia cella 5 nella figura 1) possono non rimanere imprese familiari a tempo indeterminato. Dyer (1986) suggerisce che le imprese familiari possono facilmente perdere il loro orientamento basato sulla parentela. Il quadrante Nord-Ovest della figura 3 rappresenta questi casi. L’allontanamento dall'essere una struttura a base familiare potrebbe verificarsi a causa del distacco della famiglia proprietaria dall’effettiva gestione delle operazioni (celle 2 e 8 in Figura 1). Come è stato accennato in precedenza, può verificarsi anche a causa di una acquisizione che impedisce ai familiari di mantenere il controllo a livello organizzativo (cella 4 in figura 1); tali scenari sono stati ben documentati da Meek, Woodworth, Dyer (1988).

La figura 3 ci aiuta anche a dare una definizione integrata dell'azienda di famiglia. In considerazione delle dimensioni strutturali e comportamentali discusse in precedenza possiamo concludere che “un’impresa può essere considerata di famiglia nella misura in cui la sua proprietà e la gestione sono concentrati all'interno di un nucleo familiare, e nella misura in cui i suoi membri si sforzano a raggiungere e / o mantenere l’assetto proprietario e organizzativo basato sui rapporti con la parentela” (Litz 1995).

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1.2.2 Family business in senso ampio, medio e stretto

Anche Shanker, Astrachan cercano di dare una definizione di family business tenendo conto dei due approcci sopra citati, analizzando quindi sia gli aspetti oggettivi che quelli soggettivi. Nel loro lavoro utilizzano, a questo scopo, diverse variabili tra cui la percentuale di possesso, il controllo dei voti, il potere sulla direzione strategica, il coinvolgimento di più generazioni e la gestione attiva da parte dei membri della famiglia.

Figura 4: Definizione di family business in base al grado di coinvolgimento della famiglia

Ampio Medio Stretto

• Efficace controllo della direzione strategica • Intenzione di mantenere l’impresa all’interno della famiglia Poco coinvolgimento diretto della famiglia

• Fondatore o

discendente gestisce la società

• Controllo legale dei voti Famiglia abbastanza coinvolta • Società gestita da generazione successiva alla prima • Famiglia direttamente coinvolta nella gestione e nel possesso • Più di un membro della famiglia ha notevoli responsabilità di gestione Forte coinvolgimento della famiglia

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Figura 5: Livelli di coinvolgimento familiare nell’impresa

Fonte: Shanker, Astrachan 1996.

Poco coinvolgimento diretto della famiglia Famiglia abbastanza coinvolta Forte coinvolgimento della famiglia Società gestita da generazione successiva alla

prima Efficace controllo della direzione strategica Intenzione di mantenere l’impresa all’interno della famiglia Fondatore o discendente gestiscono l’impresa Controllo legale dei voti Famiglia direttamente

coinvolta nella gestione e nel possesso Più di un membro della

famiglia ha notevoli responsabilità di gestione

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“L’assunto alla base di una simile impostazione presuppone l’esistenza di caratteristiche in un business, potenzialmente famigliare, che non possono semplicemente essere identificate come assenti o presenti, ma che richiedono una misurazione del grado di intensità che ne contraddistingue la loro presenza. Applicando il concetto appena esposto all’azienda famigliare, gli autori, una volta identificati gli elementi che la qualificano, cercano di fornirne una misura che possa esprimere il grado di “family involvement” che caratterizza il business. Così facendo, l’azienda famigliare viene posta in un “continuo”, piuttosto che in una dimensione isolata da tutte le altre forme organizzative” (Lattanzi 2012). Come illustrato nella figura 4, gli autori distinguono tre tipologie di family business in base al grado di penetrazione della famiglia all’interno dell’impresa, valutando, a questo scopo, i criteri utilizzati per l’inquadramento della stessa; otteniamo, quindi, una definizione ampia, una media e una stretta di impresa familiare.

La definizione ampia implica che la famiglia abbia un effettivo controllo sull’orientamento strategico e che sia intenzionata a mantenere l’impresa all’interno della famiglia. In questa definizione rientrano le imprese in cui i membri della famiglia non sono giornalmente a diretto contatto con l’azienda ma che comunque influenzano le decisioni da prendere a proposito di questa attraverso l’appartenenza al board oppure con il possesso di una quantità significativa di azioni.

La definizione media include i criteri di quella ampia aggiungendo che il fondatore o l’erede devono gestire l’impresa con la volontà di tramandarla agli eredi. Questa definizione include, quindi, quelle imprese dove anche un solo membro della famiglia è coinvolto direttamente nelle operazioni giornaliere. La definizione stretta vuole invece che nell’azienda non siano coinvolti solo il fondatore e gli eredi diretti, ma anche i membri delle generazioni successive, che ci sia una partecipazione attiva della famiglia nelle operazioni giornaliere e che

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più di un membro della famiglia abbia un ruolo di responsabilità all’interno del management.

La figura 5 mostra come le tre definizioni influenzino il numero di family business presenti sul mercato, infatti, mano a mano che passiamo dalla definizione ampia a quella stretta, il numero di imprese che possono essere considerate familiari si riduce progressivamente a ragione dei requisiti via via più stringenti per identificarle tali.

Possiamo concludere che l’irrigidimento dei requisiti che vediamo passando dalla definizione più ampia a quella più stretta di impresa familiare è funzione del grado di intensità degli elementi che caratterizzano la stessa e pone l’attenzione sulla volontà di perseguire la visione familiare, enfatizzando progressivamente l’intento di continuare il business attraverso le generazioni future.

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1.2.3 La scala F-PEC

Come abbiamo visto, Shanker, Astrachan (1996) danno tre definizioni di impresa familiare, partendo da quella più ampia fino ad arrivare a quella più stretta che, come possiamo intuire, presenta delle caratteristiche molto più stringenti rispetto alla prima e ricomprende un numero molto inferiore di aziende. A questo scopo, gli autori si sono avvalsi della possibilità di valutare il grado di coinvolgimento della famiglia rispetto ai parametri utilizzati per individuare le family business. Klein, Astrachan, Smyrnios (2005) hanno proposto l’indice F-PEC

(Family-Power, Experience, Culture) che consiste nell'applicazione di una scala che

valuta la portata e la qualità dell’influenza familiare tramite la misurazione di tre dimensioni: potere, esperienza e cultura. Nonostante questo strumento non porti ad una distinzione effettiva tra family e non-family business e, quindi, non dia una soluzione universalmente riconosciuta rispetto al problema definitorio, permette di poter valutare il grado di family involvment, rendendo più facile la classificazione teorizzata da Shanker, Astrachan (1996). (Lattanzi 2012).

Questo metodo consente la valutazione dell'influenza della famiglia su una scala continua, piuttosto che limitare il suo uso come variabile categorica (ad esempio, si / no).

L’influenza della famiglia misurata con la scala Potere, Esperienza e Cultura (F-PEC) è stata testata utilizzando un campione composto da più di 1000 imprese selezionate casualmente attraverso l'applicazione di tecniche analitiche. La scala dimostra un alto livello di affidabilità. F-PEC è stata applicata in una serie di studi, contribuendo allo sviluppo della teoria, in particolare in termini di impatto dell’influenza della famiglia sulle diverse risorse, e come fonte di vantaggio competitivo (Klein et al. 2005).

“Definire l’impresa familiare è la prima e più ovvia sfida che si presenta ai ricercatori di family business” (Handler 1989), nonostante questo, come abbiamo

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già ampiamente sottolineato, “non c’è ancora una definizione universalmente riconosciuta di impresa familiare” (Littunen, Hyrsky 2000).

Un’analisi dettagliata sulle definizioni utilizzate nei vari studi di ricerca, rivela che non esiste una chiara linea di demarcazione tra family e non-family business e che non c’è neanche una singola definizione che possa captare la distinzione tra queste due entità. Effettuare artificialmente una dicotomia tra family e non-family business quando essa non è chiaramente esplicitata, crea più problemi di quelli che effettivamente si impegna a risolvere. Per questo motivo pare più corretto misurare le caratteristiche di un business su un continuo piuttosto che su una scala dicotomica attraverso misure che permettono di differenziare i livelli di coinvolgimento della famiglia e integrano diversi approcci teorici e metodologici utilizzati per definire l’impresa familiare (Astrachan et al. 2002).

Con riferimento alla figura 5, Shanker, Astrachan (1996) pongono le aziende in un continuum che va dal più alto al più basso livello di coinvolgimento della famiglia. Questo schema, però, si compone di sole tre categorie di coinvolgimento della famiglia, mentre distinzioni più sottili che potrebbero essere utili nella comprensione dell’azienda di famiglia non sono state prese in considerazione.

La questione rilevante, quindi, non è se un business è familiare o non familiare, ma la portata e le modalità di coinvolgimento della famiglia e l’influenza che essa ha sull'impresa. Secondo Astrachan et al., ci sono tre importanti dimensioni che indagano l’influenza della famiglia sull’impresa che meritano di essere considerate: potere, esperienza e cultura. Queste tre dimensioni possono essere viste come sotto-scale che formano l'F-PEC, un indice di influenza familiare sull’azienda. Questo indice permette di effettuare confronti tra le imprese in materia di livello di coinvolgimento della famiglia e dei suoi effetti sulle prestazioni, così come altri comportamenti aziendali. Il suo sviluppo si basa sulle tematiche principali riscontrate attraverso un'analisi approfondita dei contenuti delle varie definizioni di family business.

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I limiti di questo approccio sono evidenti come i suoi vantaggi. Le imprese familiari sono organizzazioni molto complesse, in cui è rilevante il grado in cui una famiglia può influenzare il business attraverso vari canali su una scala relativamente globale. La scala F-PEC non cattura l'influenza esercitata sulle varie attività e sulle diverse situazioni e la complessità del sistema nel suo insieme. Per contro, la scala F-PEC ci aiuta a comprendere una sfaccettatura della complessa organizzazione ovvero la potenziale influenza della famiglia sui tre aspetti considerati e, consentendo di misurarne l’incidenza, si può aggiungere alla nostra comprensione sotto quali condizioni questa è esercitata e con quali effetti.

La dimensione Potere: Possesso, Governance e Management

“Power: esprime il grado di coinvolgimento dei familiari nella proprietà e nella gestione. In altri termini, ci dice con che intensità la famiglia è coinvolta economicamente nell’impresa e presidia i posti di comando” (Lattanzi 2012).

Figura 6: La sotto-scala Potere nella scala F-PEC

Fonte: Astrachan et al. 2002.

Come si può osservare dalla figura 6, una famiglia può influenzare un business attraverso l'estensione della sua proprietà, della governance e del coinvolgimento nel management. La sotto-scala potere tiene conto della percentuale di membri della famiglia presenti nel consiglio di amministrazione, così come la percentuale

Potere

Possesso Governance Management

Pacchetto

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di membri che sono nominati dai parenti nel management e nella governance. Fin dai primi anni ‘70, il coinvolgimento della famiglia come leader delle imprese è stato un argomento di forte interesse. La ricerca si è concentrata su una serie di argomenti diversi, fra cui la legittimità della leadership (Kehr 1996), le prestazioni (Monsen 1996), la teoria principale-agente (Aronoff, Ward 1995; Morck, Yeung 2003), e le strutture di governance (Neubauer, Lank 1998). Anche se questi temi sono importanti, l'F-PEC non è interessato a misurare come un amministratore delegato non appartenente alla famiglia contribuisce alla performance complessiva dell'impresa (Anderson, Reeb 2003), se un amministratore delegato della famiglia contribuisce ad una riduzione dei costi (Gomez-Mejia, Nunez-nichel, Guiterrez 2001), o se ci sono differenze nei livelli di motivazione tra amministratori delegati appartenenti o meno alla famiglia (Aronoff, Ward 1995). La sottoscala Potere valuta il grado di influenza globale o il livello di dominazione sia nelle mani dei membri della famiglia che di quelli nominati dalla famiglia.

L’influenza della famiglia su governance e gestione può essere misurata come la percentuale dei rappresentanti della stessa aventi un ruolo in questi due ambiti. Per influenza indiretta si intende, invece, quella situazione in cui la famiglia conferisce dei ruoli a livello manageriale o di governance a figure al di fuori del nucleo familiare. Un estraneo può essere inserito in un organo consiliare per diminuire il controllo effettivo della famiglia sull’impresa, anche se questo porta avanti il volere della famiglia. Una situazione del genere si ha quando un membro esterno che ha una posizione debole all’interno dell’azienda si trova in un contesto dove la famiglia ha un potere forte e, complice l’assetto così composto, lascia la metà delle decisioni nelle mani dei membri familiari il cui potere risulterà pertanto accresciuto. Al contrario, quando un membro esterno si trova in una posizione di dominio rispetto alla famiglia, quest’ultima potrà notare una diminuzione dei suoi poteri data dal fatto che la terza persona è in grado di influenzare da sola l’andamento dell’impresa.

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La dimensione esperienza: la generazione in carica

“Experience: esprime il grado di coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nella gestione. E una misura tanto del grado di “resource provision” (i dialoghi tra genitori e figli, la possibilità di avviare network relazionali con soggetti esterni attraverso i legami famigliari, le attività imprenditoriali dei figli presenti nell’impresa sono esempi di come la plurigenerazione possa apportare un “valore aggiunto” al business e alla famiglia stessa), quanto dell’intenzione di garantire continuità alla famigliarità del business” (Lattanzi 2012)”

Figura 7: La sotto-scala Esperienza nella scala F-PEC (Astrachan et al. 2002)

Fonte: Astrachan et al. 2002.

La sottoscala esperienza si riferisce alla successione e al numero dei membri della famiglia che contribuiscono al business. Un certo numero di ricercatori (ad esempio, Barach, Ganitsky 1995; Birley 1986; Heck, Scannell Trent 1999; Ward 1987, 1988) sostengono che un'impresa può essere intesa come familiare sole se è previsto un trasferimento della proprietà alla generazione successiva. Altri autori (per esempio, Daily, Thompson 1994) ritengono che deve essersi verificato almeno un passaggio generazionale. Per altri (ad esempio, Klein 2000), un ente a conduzione del fondatore può essere considerato come un caso specifico di gestione familiare. Nonostante queste differenze, sono tutti d'accordo nell’affermare che ogni successione contribuisce ad apportare un valore aggiunto sia alla famiglia che alla società (Cabrera-Suárez, de Saá-Pérez, García-Ameida

Esperienza Generazione della proprietà Generazione attiva nel management Generazione attiva nella governance Membri familiari partecipanti

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2001). Si può sostenere che il livello di esperienza che si acquisisce da un processo di successione è maggiore durante il passaggio dalla prima alla seconda generazione. La prima generazione di proprietari riesce ad iniettare nel business molti elementi innovativi che contribuiscono a conferire a quest’ultimo caratteri di unicità, mentre la seconda generazione e quelle successive possono contribuire proporzionalmente meno a valorizzare questo processo. Klein et al. (2005) asseriscono che l'elemento “experience” riguardante la successione nelle aziende di famiglia può essere considerato come una funzione esponenziale, di conseguenza, per valutare questa dimensione, si ponderano la generazione presente nella proprietà, quella attiva nel management e quella attiva nell’organo di governance in base ad un algoritmo non lineare.

Figura 8: Incremento dell'esperienza attraverso la successione

Fonte: Astrachan et al. 2002.

0 20 40 60 80 100

Incremento dell'esperienza attraverso la successione

Generazioni Va lo re d el l'e sp er ie nz a (i n pe rc en tu al e)

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La dimensione cultura: famiglia e valori dell’impresa

“Culture: esprime il grado di sovrapposizione tra valori aziendali e famigliari, nonché il grado di impegno dei famigliari tanto nel supportare una gestione improntata al perseguimento degli obiettivi economici del business, quanto nel garantire lo sviluppo di interrelazioni reciproche tra la famiglia, l’organizzazione e l’ambiente. La “culture” è frutto dell’interazione di molteplici fattori tra i quali possiamo ricordarne vari: i valori (personali ed economici) a cui si ispirano i fondatori dell’impresa; la cultura del paese di origine del business e della famiglia; le condizioni competitive che l’impresa si trova ad affrontare nel suo settore industriale, ecc.” (Lattanzi 2012).

Figura 9: La sotto-scala Cultura nella scala F-PEC

Fonte: Astrachan et al. 2002.

La cultura dell'impresa familiare è formata dai valori radicati nell'organizzazione (Klein 1991). Secondo Koiranen (2002), "I valori dimostrano quello che la famiglia e la loro impresa reputano importante". Anche se l'ancoraggio dei valori in un'organizzazione richiede tempo, sono i valori fondamentali delle persone chiave che di solito formano la parte principale della cultura organizzativa (Klein 1991). Possiamo ritrovare i valori dei membri di spicco dell’azienda nelle questioni politiche interne, nello stile di comunicazione, nei modi in cui vengono gestiti i conflitti, e rispetto al grado di centralizzazione o meno dell’attività. Valutare se vi è una sovrapposizione tra valori aziendali e familiari può essere difficile, in quanto devono essere considerate questioni relative alla definizione e

Cultura

Sovrapposizione tra i valori della famiglia e quelli

aziendali

Impegno nell’impresa familiare

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al tempo. Non esiste una soluzione semplice per la valutazione dei valori di un individuo o di un’organizzazione. La scala F-PEC indaga sul punto di vista dei proprietari e dei gestori per valutare la misura in cui i loro valori familiari e quelli dell’azienda si sovrappongono, così come l'impegno della famiglia verso il business. In conclusione, qualsiasi teoria sulle family business dovrebbe descrivere il motivo per cui queste sono distinte, come questa unicità porta ad un vantaggio competitivo e in quali condizioni. Il modello F-PEC mostra un carattere distintivo imperativo, cioè l’influenza della famiglia. La famiglia è una fonte di risorse distinguibili attraverso le dimensioni potere, esperienza e cultura. Tutte e tre le fonti combinate tra loro conferiscono all’impresa quel ricercato grado di unicità e un valore aggiunto.

Figura 10: La scala F-PEC

Fonte: Astrachan et al. 2002.

Membri familiari partecipanti Generazione attiva nel management Impegno nell’impresa familiare

Proprietà Generazione della

proprietà

Sovrapposizione tra valori della famiglia

e aziendali

Management Generazione attivanella governance Scala F-PEC

Potere Esperienza Cultura

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1.2.4 Una definizione teorica basata sul comportamento

Come abbiamo sostenuto fino ad ora, è generalmente accettato che il coinvolgimento di una famiglia nel business rende l'azienda unica, ma la letteratura continua ad avere difficoltà a definire l'attività di famiglia. Chua, Chrisman, Smarma (1999), propongono una distinzione tra le definizioni teoriche e quelle operative. La definizione teorica deve identificare l’essenza che contraddistingue l'azienda di famiglia dalle altre imprese e questo è lo standard rispetto al quale devono essere formulate le definizioni operative.

Gli autori costruiscono una definizione teorica partendo dall’assunto che il comportamento rappresenti l’essenza del family business e finiscono col dimostrare che la maggior parte delle definizioni operative che si basano sul family involvment, si sovrappongono con quella teorica.

Tuttavia, i risultati empirici ai quali giungono gli autori suggeriscono che le componenti del coinvolgimento della famiglia tipicamente utilizzate nelle definizioni operative sono indicatori deboli nel predire le intenzioni e, di conseguenza, non sono sempre affidabili per distinguere le imprese familiari da quelle non familiari.

Lo scopo di Chua et al. (1999) è quello di giungere ad una definizione teorica di azienda di famiglia che faccia sì di distinguerla dalle altre imprese. Dalla letteratura possiamo apprendere che si crea una notevole ambiguità sull’identificazione di un family business dal momento in cui il nucleo familiare si scosta dalla proprietà o dalla gestione e, ancora, che aziende con lo stesso livello di family involvment nella proprietà e nella gestione possono non considerarsi come imprese di famiglia e, soprattutto, non comportarsi come tali. Secondo gli autori, la natura di una azienda di famiglia deve trascendere dal coinvolgimento dei membri della famiglia nella proprietà e nella gestione. Con questo, non si intende che queste componenti non siano necessarie, piuttosto si rimarca il fatto che una definizione teorica deve catturare l'essenza delle imprese

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familiari, ovvero ciò che le differenzia da tutte le altre imprese. Il fatto che i membri della famiglia siano coinvolti nella proprietà e nella gestione rende solo possibile il manifestarsi dell’essenza del family business, è una condizione necessaria ma non sufficiente. Quello che permette di qualificare le imprese con lo stesso coinvolgimento della famiglia come familiari è, appunto, l’essenza della stessa.

Detto questo, gli autori asseriscono che una società è considerata familiare se si comporta come tale e che questo comportamento differisce da quello delle imprese non familiari.

Se si definisce un’impresa “familiare” sulla base del comportamento delle persone che la possiedono e/o governano e/o gestiscono, allora queste devono comportarsi come se servissero ad uno scopo, ovvero quello di modellare e perseguire la “vision” di una o poche famiglie che controllano la coalizione dominante in azienda. Per “vision” si intende la volontà di dare un futuro migliore alla famiglia quindi il business è gestito come un veicolo per contribuire a realizzare questo desiderio.

Il concetto di coalizione dominante è inteso come l’inclusione nell’azienda di potenziali attori che controllano giornalmente l’organizzazione nel suo complesso. Con il pieno controllo della proprietà, lo sforzo della famiglia di formare e perseguire la propria vision può avere una maggiore possibilità di perdurare nel tempo, cosa che può avvenire anche senza il totale controllo fino a quando i proprietari permettono alla coalizione dominante di tendere a questo obiettivo gestendo l’impresa.

Per riassumere, Chua et al. (1999) ritengono che l'essenza di un'impresa familiare consista in una vision sviluppata da un coalizione dominante controllata da una o poche famiglie e l'intenzione di tale coalizione dominante è quella di continuare a modellare e perseguire la vision in modo tale che sia potenzialmente sostenibile attraverso le generazioni future della famiglia. Viene utilizzato il termine “intenzione” invece di “capacità” perché un’impresa familiare non cessa di essere

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tale in mancanza di risorse finanziarie. La definizione che ne scaturisce vede “l’azienda di famiglia come un’azienda regolata e/o gestita con l'intenzione di modellare e perseguire la vision del business, controllato da una coalizione dominante composta da membri della stessa famiglia o di un piccolo numero di famiglie, così da essere potenzialmente sostenibile attraverso le generazioni future della famiglia o delle famiglie in questione” (Chua et al.1999).

La definizione non specifica se i membri della famiglia a cui appartiene la vision debbano essere i proprietari o il gruppo manageriale, né prevede che questa vision debba tendere solo agli interessi della famiglia in senso stretto in quanto la continuazione dell’impresa nel tempo può richiedere di avere uno sguardo rivolto agli interessi della stessa impresa, tralasciando quelli della famiglia.

La definizione mostra la proprietà familiare e la gestione familiare come parti che contribuiscono al possibile perseguimento della vision, quindi, secondo questo principio, è sufficiente che la famiglia controlli la coalizione dominante, senza necessariamente avere il controllo della proprietà.

Dal momento in cui ci deve essere solo il potenziale per la sostenibilità attraverso le generazioni, la definizione include imprese familiari di proprietà di coppie con figli giovani o senza figli, o di coloro che intendono la vision come un veicolo per educare la prossima generazione ad una carriera che esclude il coinvolgimento nel business. Infine, poiché è il potenziale sostenibilità della vision che è importante, questa definizione permette anche alla vision di cambiare, pertanto, una società che cambia la sua vision non cessa di essere un'azienda a conduzione familiare, a condizione che due condizioni siano soddisfatte: che la coalizione dominante che ha istituito il cambiamento sia controllata da membri della famiglia, e che la vision continui a funzionare come veicolo per raggiungere lo stato desiderato di benessere della famiglia.

La definizione non implica che la vision sia o debba essere condivisa da tutti o anche dalla maggioranza dei membri del gruppo familiare, infatti, il concetto di una coalizione dominante suggerisce una certa quantità di opposizione. Ciò che è

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necessario, tuttavia, è il potere da parte dei sostenitori della vision per poterla mettere in pratica.

In certi stadi di sviluppo di un’impresa familiare può risultare più ostico dare forma alla vision piuttosto che perseguirla. In questi momenti può sembrare che ci siano solo delle fazioni, ma nessuna coalizione dominante. La definizione proposta da Chua et al. (1999) sembrerebbe accogliere questa situazione in quanto gli attori con maggiori poteri che controllano giornalmente l’organizzazione e sui quali si basa la definizione di coalizione dominante, saranno impegnati, insieme anche se non necessariamente in modo cooperativo, a plasmare il futuro della ditta definendo, quindi, una vision da perseguire.

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1.2.5 Una definizione istituzionale

Secondo quanto già discusso in precedenza, la letteratura non è ancora stata in grado di dare una definizione univoca di impresa familiare. Zavani, Di Toma (2012), propongono una distinzione tra ambito istituzionale e scientifico. Il Family Business Group, organo nato per la volontà della Commissione europea, ha elaborato tra il 2007 e il 2009 un documento nel quale evidenzia una definizione del fenomeno e le problematiche che vi vanno ad impattare in quanto queste costituiscono oltre il 60% di tutte le imprese in Europa e la Commissione europea vuole riconoscerle un ruolo significativo promuovendo la creazione di un ambiente favorevole in cui le imprese familiari possano crescere e svilupparsi.

Il Family Business Group definisce familiare un’impresa in cui:

• la maggior parte dei poteri decisionali sono in possesso della persona

fisica (persone fisiche) che ha (hanno) fondato l'azienda, o in possesso della persona fisica (persone fisiche) che ha (hanno) acquisito il capitale sociale della società, o in possesso dei loro coniugi, genitori, figli, o eredi diretti dei figli;

• la maggior parte dei poteri decisionali sono esercitati in via diretta o

indiretta;

• Almeno un rappresentante della famiglia o dei parenti è coinvolto

formalmente nel governo della società;

• Le società quotate soddisfano la definizione di impresa familiare, se la

persona che ha fondato o ha acquisito la società (capitale sociale) o le loro famiglie o discendenti possiedono il 25% dei poteri decisionali derivanti dal capitale sociale in loro possesso.

Le conclusioni alle quali sono giunti gli autori prendono in considerazione il fatto che non esistono limiti dimensionali perché un’impresa sia definita familiare; un’azienda posseduta da due famiglie può essere considerata family business;

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l’effettivo potere decisionale è determinante per le aziende non quotate mentre per quelle quotate è sufficiente un potere di fatto dato dal possesso delle azioni e, infine, è necessario che almeno un membro della famiglia faccia parte del management o della governance.

In ultima analisi, possiamo dire che il Family Business Group non esplicita due aspetti rilevanti che hanno portato alla creazione di discrepanze nella letteratura. Per impresa familiare così definita si intendono anche “quelle imprese di prima generazione in cui il fondatore o i soci non hanno ancora coinvolto in nessun modo né i coniugi, né i figli nei processi decisionali, vuoi per la giovane età dei figli, vuoi per il disinteresse che i membri della famiglia possono avere verso l’impresa. Se queste aziende venissero vendute prima che i membri della famiglia prendano in considerazione l’ipotesi di impegnarsi nell’azienda, i tratti familiari potrebbero non manifestarsi mai” (Zavani, Di Toma 2012).

Zavani, Di Toma (2012) asseriscono che, nella precedente definizione, non viene considerata neanche l’intenzione di voler tramandare il business agli eredi o meno sostenendo, invece, che il comportamento di chi è a capo dell’azienda varia in relazione a questa volontà, determinando le peculiarità del business. A questo proposito concludono che un’impresa può essere connotata come familiare solo nel primo caso poiché, all’opposto, l’azienda in questione non presenterà le caratteristiche associate alla presenza della famiglia.

Tralasciando questi due elementi, gli autori concludono che i concetti trattati nella definizione esposta dal Family Business Group sono ampiamente riconosciuti dalla letteratura prevalente sulla materia, quindi è possibile affermare che siamo in presenza di un allineamento dell’ambito istituzionale e di quello scientifico.

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1.3 Agency theory

“La “speciale natura” del business familiare è stata oggetto d’indagine già dai primi anni sessanta. Calder (1961), Donnelley (1964) e, più di recente, Schulze et al. (2001), Gomez-Mejia et al. (2001) la associano, principalmente, agli elementi “non razionali” (legami di parentela, nepotismo, aspetti emozionali nella gestione ecc.) dell’impresa familiare, che vengono posti in relazione (anche in contrasto) con quelli “razionali” (efficienza ed efficacia nella gestione del business). Questo nesso, originariamente visto unicamente come penalizzante per la gestione aziendale, valutando la sovrapposizione delle due dimensioni (quella razionale e quella emozionale) come un fattore potenzialmente danneggiante il perseguimento degli obiettivi economici propri del business (profittabilità e creazione di valore), promosse una “view” del business familiare come “differente”.” (Morresi 2008)

Dopo aver dato ampio spazio alla definizione di quello che è un’impresa familiare, passiamo ad analizzare i vari problemi legati alla teoria dell’agenzia che vi possono impattare.

Nei primi lavori che analizzeremo di seguito (Jensen, Meckling 1976, Fama, Jensen 1983 e Morck, Shleifer, Vishny 1988), l’impresa familiare è vista come un modello in grado di sopperire ai vari problemi che riscontriamo nelle public company a proprietà diffusa.

Successivamente cercheremo di inquadrare il rapporto tra agency theory e altruism e, infine, faremo un piccolo confronto con la Resource- Based View.

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1.3.1 Impresa familiare vs. proprietà diffusa

Jensen, Meckling (1976) definiscono i costi di agenzia come le spese associate al monitoraggio, da parte del principale verso l'agente, e la conseguente perdita residua per gli interessi divergenti e le imperfezioni nell’amministrazione. Notano, inoltre, che i costi di agenzia possono esistere ad ogni livello organizzativo, anche quando la distinzione tra principale e agente è ambigua. Gli autori chiariscono che essi considerano la commistione tra proprietà e management in un’unica persona come un fattore che massimizza l’utilità e che questa deriva da una combinazione di vantaggi pecuniari e non pecuniari. I potenziali azionisti o detentori di obbligazioni sopportano una parte dei costi, ma non condividono proporzionalmente i benefici che riscontra, invece, in maniera piena, un proprietario-gestore. E importante sottolineare che essi sostengono che il valore di un'impresa sarà maggiore quando la proprietà è concentrata piuttosto che dispersa. Quando si considera un’impresa in cui il proprietario è anche gestore, il valore di questa è rappresentato dalla confluenza dei vantaggi pecuniari e non pecuniari che volgono al proprietario. A questo proposito Jensen, Meckling (1976) concludono asserendo che, per giudicare le prestazioni di un’azienda familiare, è necessario: considerare sia gli obiettivi economici che quelli non economici; che i costi di agenzia sussistono a qualsiasi livello dell’organizzazione e, infine, che il perseguimento di obiettivi non economici quali il principio dell'altruismo, il desiderio per la continuazione del business attraverso le generazioni, la famiglia e la sua reputazione sembrano avere dei benefici economici compensativi ai relativi costi.

Anche se la separazione tra proprietà e controllo di gestione può portare a problemi di agenzia, Fama, Jensen (1983) sostengono che in organizzazioni complesse le efficienze acquisite da questa separazione superano i costi. Questi benefici includono un più efficiente processo decisionale grazie alla specializzazione a tutti i livelli organizzativi e alla volontà di accettare il rischio a causa della condivisione di questo senza restrizioni. Più una partecipazione al

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capitale da parte del gestore è grande, maggiore è la possibilità che diminuisca la performance dell’impresa in quanto i manager con grandi quote di proprietà possono essere così potenti che non hanno interesse a prendere in considerazione altri stakeholders oppure essi possono anche essere così ricchi che non intendono più di massimizzare il profitto, ma ottengono più utilità a massimizzare la quota di mercato (ipotesi di entrenchment). In questo articolo gli autori asseriscono che risulta più facile trovare una governance familiare tra le piccole imprese che tra le grandi imprese in quanto si riscontra una maggiore capacità di monitorare e disciplinare i manager familiari. Per concludere, secondo Fama, Jensen, la possibilità di una valutazione sbilanciata delle prestazioni in favore dei membri della famiglia potrebbe ridurre la propensione dei dipendenti non familiari a monitorarsi l'un l'altro, cosa che permetteva di ridurre l’incertezza nell’assegnazione di ricompense a chi ha svolto un buon lavoro, portando quindi ad un aumento dei costi di agenzia.

Morck et al. (1988) indagano sul rapporto che intercorre tra l’allineamento di proprietà e gestione e la performance aziendale attraverso la Q. di Tobin, confrontando l’ipotesi della convergenza di interessi (Jensen, Meckling 1976) con l'ipotesi di “entrenchment” (Fama, Jensen 1983). Scoprono che per bassi livelli di gestione proprietaria (5%), l’effetto positivo della convergenza di interessi supera quello negativo dell’entranchment, per livelli di allineamento tra proprietà e gestione che vanno dal 5% al 25% la situazione si ribalta e, infine, quando la gestione proprietaria diventa più grande, superando il 30%, si torna alla situazione iniziale dove il primo effetto risulta dominante. Hanno anche dimostrato che la gestione familiare ha un rapporto negativo con le prestazioni nelle aziende più vecchie e un rapporto positivo nelle imprese più giovani. Essi suggeriscono, infine, che l’entrenchment potrebbe non implicare l'inefficienza, ma piuttosto perseguire la strategia di un proprietario-manager che equilibra i profitti aziendali e i benefici privati.

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