• Non ci sono risultati.

L’evoluzione del concetto di “onore” nell’ordinamento giuridico italiano.

L’ODIO POSTMODERNO E POSTDEMOCRATICO: LA DIFFAMAZIONE ONLINE

3.6. L’evoluzione del concetto di “onore” nell’ordinamento giuridico italiano.

“Il mantenimento all‟interno del sistema codicistico della

categoria dei delitti contro l‟onore (capo II, libro II, titolo XII Codice Penale) testimonia la volontà del legislatore del 1930 di continuare a garantire agli individui, uti singuli e nelle loro aggregazioni sociali, una difesa avanzata contro le capitis deminutiones che l‟altrui aggressiva

condotta di comunicazione potrebbe comportare”368.

In proposito Musco369 ha precisato che attualmente la tutela dell‟onore affonda le proprie radici nell‟articolo 3 della Costituzione, e in particolar modo nel riconoscimento di pari dignità sociale a tutti i cittadini. Il citato principio conferisce dunque maggior valore ad un bene giuridico che, pur essendo già tutelato dall‟ordinamento prerepubblicano, con l‟avvento della Carta Fondamentale è assurto a principio inviolabile della nostra democrazia.

367

MAURIZIO MENSI – PIETRO FALLETTA, Il contrasto all‟hate speech, in Materiali didattici. Diritto dell‟Informazione e della Comunicazione. Anno accademico 2013/2014, www.luiss.it.

368 MAURIZIO FUMO, La diffamazione mediatica, Utet, Milano, 2012, pagg. 87-88. 369 ENZO MUSCO, Bene giuridico e tutela dell‟onore, Giuffrè, Milano, 1974.

171

La diffamazione si configura quindi come delitto contro l‟onore e si sostanzia nell‟offesa dell‟altrui reputazione, la quale non è altro che il volto pubblico dell‟onore, “la stima di cui l‟individuo gode in seno alla

società, per carattere, ingegno, abilità professionale, ma anche per

qualità fisiche o altri attributi personali”370. Di conseguenza, non è altro

che il senso di dignità personale conforme all‟opinione della comunità sociale cui si appartiene in un dato momento storico371.

Come è stato saggiamente rilevato372, la reputazione è “il

„prodotto‟ di una complessa alchimia sociale. Noi „valiamo‟ appunto per quel che gli altri ci „reputano‟ (e per ciò: reputazione); siamo soggetti passivi di un processo di apprezzamento che matura nei gruppi sociali nei quali siamo inseriti. Dunque: la reputazione si „riceve‟, comunque, costantemente ab extrinseco. E ciò la rende, al tempo stesso, esuberante

ed evanescente. Esuberante, perché sostanzialmente straripa

continuamente dal chiuso dell‟individualità, assumendo, inevitabilmente, un carattere pubblico: viene coram costantemente smentita o convalidata, insidiata o rafforzata. Evanescente, in quanto mutevole, incerta, inafferrabile, precaria. Senza dubbio essa è materi fragile”. Si

evince allora come essa sia un bene tangibile, alla mercé dell‟altrui pensiero, che può agevolmente sminuirla, aggredirla e addirittura distruggerla, relegandola ad uno stato di eterna precarietà. La reputazione non è dunque, come ritiene l‟Antolisei373, il riflesso oggettivo dell‟onore, ma, nutrendosi dell‟altrui opinione, si configura piuttosto come il quantum di onore che la collettività ci riconosce.

La giurisprudenza è solita ricondurre l‟onore, il decoro e la

370

Sent. Cass. Pen., sez. II, 05/12/1956, in Giust. pen., 1956, II, pag. 566.

371 Sent. Cass. Pen., sez. V, 28/02/1995-24/03/1995, n. 3247.

372 MAURIZIO FUMO, La diffamazione mediatica, Utet, Milano, 2012, pagg. 7-8.

172

reputazione alle qualità morali dell‟individuo374, concetti estremamente vaghi, pericolosamente ancorati alla personale percezione del soggetto che si ritiene leso.

Giurisprudenza recente375 ha tuttavia prescritto di accertare la lesione in relazione ad un criterio di “media convenzionale”, parametrando la pretesa violazione alla personalità dell‟offeso, dell‟offensore e al contesto di riferimento. La prescrizione non sta a significare che debbano essere considerati lesivi della reputazione i soli addebiti aventi ad oggetto comportamenti antigiuridici – violativi quindi di norme o patti giuridicamente vincolanti –, ma anche quelli che, alla stregua di canoni etici generalmente condivisi, incontrino la riprovazione della communis opinio376. Se per un verso s‟impone l‟individuazione di

criteri definitori oggettivi, dall‟altro non si nega la rilevanza di una componente di relativismo valutativo, data appunto dall‟analisi del contesto e delle personalità coinvolti.

Ad ogni modo è la stessa Cassazione a precisare che limiti invalicabili al reato di diffamazione sono posti dall‟articolo 2 della Costituzione377. La Corte ha posto l‟accento su quelle modalità espressive che a causa dell‟offensività intrinseca e dell‟evidente volontà vulnerativa sono oggettivamente idonee a scalfire la dignità del destinatario378.

“Così stando le cose, in un‟epoca in cui sembra che viga il

principio omnia in numero pondere et mensura, converrà iniziare chiedendosi se oggi questo concetto e questo valore effettivamente

374 Sent. Cass. Pen., sez. V, 30/11/1988-04/04/1990, n. 4845; sent. Cass. Pen., sez. V, 03/06/2005, n.

39454.

375 Sent. Cass. Pen., sez. VII, 16/10/2001-22/11/2001, n. 41752. 376

Sent. Cass. Pen., sez. V, 23/09/2008-20/10/2008, n. 40359.

377 Sent. Cass. Pen., sez. V, 14/02/2008-14/03/2008, n. 11632.

378 Fanno eccezione le ipotesi di diffamazione ioci causa, e quindi con il consenso, anche implicito,

173

sopravvivano (e concretamente che cosa significhino); il che pone subito una questione di metodo (come parlarne?); perché è ovvio che il metodo (di accertamento e di esposizione) si modula e si atteggia a seconda dell‟idea che ci siamo fatti dell‟onore. Partire però dai concetti, anzi dai (pre-)concetti, e dalle definizioni, costituisce un approccio estremamente rigido, dogmatico, accademico; nel caso di specie, è anche un approccio, a nostro parere, arbitrario, perché, in realtà, è credibile che ciascuno abbia (ammesso che la abbia) una sua concezione dell‟onore (relativismo etico, dunque, si diceva, ma inevitabilmente anche concettuale). E allora va detto che probabilmente un „comune senso dell‟onore‟ non esiste e, pertanto, se non si vuole troncare il discorso sul nascere, appare opportuno ripudiare questo metodo e abbracciarne uno molto più empirico”379.

La metodologia probabilmente più idonea a tracciare i confini dell‟attuale concetto di “onore” è legata all‟analisi delle tecniche di tutela che l‟ordinamento appresta per garantirne la salvaguardia: una prospettiva di indagine di indagine induttiva che tenta di ricostruire un‟universale partendo dallo studio di uno dei suoi attributi disposizionali, nel caso di specie la sanzione. Nel dettaglio, è possibile raggruppare le citate tecniche di tutela in tre grandi categorie: l‟autotutela, l‟eterotutela autoritativa e l‟eterotutela consensuale.

Strumento tipico di autotutela era il duello, che assolveva la duplice funzione di arrecare soddisfazione e riparare l‟offesa subita.

Mutuando le definizioni tratte dai codici cavallereschi380, la soddisfazione si sostanzia nella negazione dell‟offesa, nella sua

379 MAURIZIO FUMO, La diffamazione mediatica, Utet, Milano, 2012, pag. 10. 380

LUIGI DE ROSIS, Codice italiano del duello, Fratelli de Angelis, Napoli, 1868; ACHILLE ANGELINI, Codice cavalleresco italiano, Barbera, Firenze, 1883; JACOPO GELLI, Codice cavalleresco italiano, Hoepli, Milano, 1920; LUIGI MICELI – LUIGI SANGIOVANNI, Codice cavalleresco, Alighieri, Napoli, 1931.

174

ritrattazione, nelle scuse o in un lodo di un “consesso d‟onore”.

La riparazione consiste invece nell‟accettazione di uno scontro armato da parte dell‟offensore.

Il duello svolgeva dunque una funzione preventiva: il gentiluomo, sapendo infatti di poter essere chiamato a rispondere con le armi di un proprio comportamento, era implicitamente incentivato a mantenere una condotta retta. Allo stesso tempo, il duello, in quanto manifestazione di coraggio, certificava il grado di dignità di coloro che si sottoponevano alle sue regole. La disponibilità ad impugnare il ferro era infatti indicativa del valore dell‟individuo. Il duello assolveva infine un‟importante funzione pedagogica: se un soggetto era in grado di trattare cortesemente un uomo che si proponeva di ferirlo o addirittura di ucciderlo sarebbe stato in grado di comportarsi adeguatamente in ogni circostanza.

La sintesi delle suddette considerazioni consente di tracciare una netta linea di demarcazione fra il bonus civis e il gentiluomo, che, a differenza del primo, si riconosce portatore dell‟onore cavalleresco, un valore superiore da difendere a costo della propria vita.

Come osservato da Viola381, questa concezione “verticale” dell‟onore, “fruibile” da una ristretta cerchia di uomini, cede il passo, tra le due guerre, ad una concezione “più democratica”, coerente con lo sviluppo “orizzontale” dei diritti di cittadinanza.

L‟“estinzione sociale” del duello ha segnato il passaggio dall‟autotutela all‟eterotutela, che si realizza tramite processo giudiziario.

Come anticipato, il Codice Rocco annovera i reati contro l‟onore tra i delitti contro la persona, aderendo ad una prospettiva metodologica

175

che intende l‟onore come un valore la cui sola messa in pericolo è ritenuta meritevole di tutela. Antecedente logico di questa nuova impostazione è il superamento giuridico della figura del gentiluomo, il quale era interprete e custode di una concezione decisamente elitaria del sentimento in esame382. Appare allora evidente come l‟onore non possa più identificarsi con la considerazione che il singolo individuo ha di se stesso, ma debba affondare le proprie radici nel senso di dignità personale in conformità all‟opinione di un gruppo sociale di riferimento in un dato momento storico.

L‟esasperazione solipsista della speculazione cavalleresca è crollata sotto i colpi dell‟oggettivizzazione concettuale: “cosa sia

l‟offesa (e quindi cosa sia l‟onore) non lo decide più chi si sente offeso – in sintonia, più o meno completa, con il contesto sociale cui appartiene –

ma lo decide il giudice, interpretando la legge”383.

La ragion d‟essere dell‟onore non risiede più nell‟affermazione della propria nobiltà, ma si sostanzia nella democratica pretesa di rispetto, che impone l‟eguale distribuzione sociale della dignità. L‟onore, dapprima inteso come dovere del gentiluomo, è oggi quel diritto che consente ai cittadini di essere parte di un corpo sociale, condividendone i valori e mantenendo al contempo intatta la propria individualità.

Gli articoli 2 e 3 della Costituzione riconoscono il diritto di tutelare gli attributi morali della persona e rafforzano la rilevanza giuridica e socio-politica dell‟onore, che, pur non essendo considerato, come in passato, alla stregua della vita, è ancor‟oggi uno dei cardini della nostra società.

382 Sent. Cass. Pen., sez. V, 05/03/2004-16/04/2004, n. 1766.

176

L‟eterotutela consensuale ha le forme del giurì d‟onore384

, un organo collegiale composto da un minimo di tre membri che può superare o sostituire il giudizio di un singolo arbitro.

Un collegio giudicante composto da uomini di comprovata caratura morale costituisce una solida alternativa alla giurisdizione. Condizioni essenziali ai fini dell‟attivazione del giurì d‟onore sono la natura del presunto reato e la volontà delle parti.

L‟istituzione e il funzionamento di quest‟organo giudicante presuppongono il definitivo superamento della dimensione privata della tutela, ma, al contempo, anche l‟oscuramento del suo volto pubblico: attribuire la cognizione di un fatto ad un organo semipubblico equivale infatti a rinunciare al giudice, e quindi all‟intervento dello Stato in ambito latu sensu giudiziario. In tal modo il diffamato avrebbe immediata ed efficace possibilità di replica e affiderebbe la risoluzione della propria controversia ad un organo terzo e imparziale. L‟approccio consensualistico conferisce all‟onore un‟interfaccia moderna e laica, e garantisce, in un‟epoca di elefantiasi giudiziaria, l‟effettiva deflazione del carico giudiziario.

384 “L‟art. 596 c.p., com‟è noto, prevede che, quando l‟addebito consista in un fatto determinato, le

parti possono deferirne l‟accertamento ad un giurì d‟onore. (…) Condizione per l‟attivazione del giurì d‟onore, oltre alla natura del presunto reato (diffamazione o ingiuria per fatto determinato), è la volontà delle parti, con la conseguenza che, se esse sono più di due (offese collettive), tutte devono essere d‟accordo nel derogare alla giurisdizione e nel richiedere l‟intervento di un giurì. Secondo le disposizioni di attuazione del vigente codice di rito, la scelta dei componenti del giurì d‟onore può anche essere effettuata da un „ente morale‟ (art. 177, c.4); si tratterà comunque di un collegio sempre composto da un numero dispari di elementi (art.178); le sue sedute non possono essere pubbliche, né possono essere pubblicati gli atti (tranne il verdetto). La violazione di tali prescrizioni costituisce reato (artt. 684 e 685 c.p.), per esplicita disposizione del terzo comma dell‟art.179 disp. att. c.p..Il giurì ha la possibilità di convocare e ascoltare testi (ma solo se è stato nominato dal Presidente del Tribunale o da „ente morale‟), può chiedere alla Pubblica Amministrazione di fornire notizie (art. 179 disp. att.). Infine l‟art. 180 disp. att. prevede sanzioni pecuniarie per i componenti del giurì che violino i loro obblighi o per i testi che ingiustificatamente non compaiono, MAURIZIO FUMO, La diffamazione mediatica, Utet, Milano, 2012, pagg. 24-25.

177