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L’ODIO POSTMODERNO E POSTDEMOCRATICO: LA DIFFAMAZIONE ONLINE

3.4. La declinazione europea del principio di non discriminazione.

È però incontestabile che la tutela di un fenomeno planetario non possa essere circoscritta all‟estensione analogica o all‟interpretazione estensiva di normative regolanti fattispecie giuridiche similari: la discriminazione virtuale tange infatti la dignità umana e una tutela di

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stampo civilistico mal si concilia con la responsabilità personale di chi pone in essere condotte discriminatorie penalmente rilevanti.

Il divieto di discriminazione, espressamente sancito dall‟articolo 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell‟Uomo337, non è altro che una declinazione particolare del più generale principio di eguaglianza, ed è senza dubbio il cardine del moderno diritto europeo. La rilevanza del divieto in esame, già consacrata nel 1980 da una sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee338, ha trovato compiuto e formale riconoscimento con il Trattato di Amsterdam, che ha modificato l‟articolo 13 del Trattato sulla Comunità Europea, oggi trasfuso nell‟articolo 19 del Trattato sul Funzionamento dell‟Unione Europea. L‟articolo recita espressamente: “Fatte salve le altre disposizioni del

presente Trattato e nell‟ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all‟unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l‟origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l‟età o le tendenze sessuali”. La

lotta alle discriminazioni si configura quindi come uno strumento atto a garantire il miglioramento del tenore e della qualità della vita dei cittadini, favorendone la coesione sociale, culturale ed economica.

Tali previsioni normative sono rafforzate dall‟articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell‟Unione Europea, il quale,

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“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l‟origine nazionale o sociale, l‟appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.

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Nella sentenza “Peter Uberschar vs. Bundesversicherungsanstalt fur Angestellte” la Corte precisò che il divieto di discriminazione a motivo della cittadinanza è specifica espressione dell‟inviolabile principio di uguaglianza, che impone di trattare allo stesso modo situazioni analoghe, fatta salva la sussistenza di ragioni che giustifichino trattamenti differenti.

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conformemente ai convincimenti comunitari, prevede il divieto di qualsiasi discriminazione, e in particolar modo di quelle fondate sul sesso, sulla razza, sul colore della pelle, sull‟origine etnica o sociale, sulle caratteristiche genetiche, sulla lingua, sulla religione, sulle convinzioni personali, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, sull‟appartenenza ad una minoranza nazionale, sul patrimonio, sulla nascita, sugli handicap, sull‟età, sulle tendenze sessuali e, nell‟ambito dei trattati sull‟Unione Europea, sulla cittadinanza.

L‟UE ha ampliato il raggio della propria tutela emanando due direttive, la n. 2000/43/CE e la n. 2000/78/CE, rispettivamente orientate a vietare ogni discriminazione etno-razziale in ambito sia pubblico che privato e, per quanto concerne i contesti lavorativi, anche per motivi legati alla religione, all‟età, all‟orientamento sessuale e alle convinzioni personali. Il combinato disposto delle direttive consente di ancorare il principio di non discriminazione a quello di eguaglianza, perché, come statuito dal terzo e dal quarto Considerando ai citati atti normativi, “il

diritto all‟uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione di tutte le persone contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell‟Uomo, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sull‟eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dalla Convenzione Internazionale sull‟eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, dai Patti delle Nazioni Unite relativi rispettivamente ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell‟Uomo e delle Libertà Fondamentali, di cui tutti gli Stati membri sono firmatari”.

Nello dettaglio, entrambe le direttive individuano forme di discriminazione diretta, indiretta, molestie e ordini a discriminare.

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Una discriminazione si definisce diretta nell‟ipotesi in cui un soggetto, conformemente ad uno dei motivi specificamente enunciati nelle direttive, sia trattato meno favorevolmente di un altro che si trovi in una situazione ad esso analoga.

È invece indiretta la discriminazione legata a una disposizione, una prassi o un criterio apparentemente neutri ma in astratto idonei a porre in situazione di svantaggio i soggetti tutelati.

La molestia si sostanzia in un comportamento indesiderato adottato violando uno dei divieti normativamente sanzionati ed avente lo scopo o l‟effetto di ledere la dignità di un soggetto e di ingenerare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Se la ratio delle discriminazioni affonda le proprie radici nella necessità di instaurare un confronto tra due situazioni giuridiche soggettive, quella delle molestie ruota attorno alla mera idoneità di un atto o di un fatto a ledere il bene giuridico protetto.

L‟ordine di discriminare si configura come la prescrizione impartita a terzi di adottare uno dei comportamenti discriminatori individuati dalle direttive in esame.

Come anticipato, l‟ambito di applicazione delle direttive non è circoscritto ad una ristretta cerchia di destinatari ma s‟irradia ai settori pubblico e privato nella loro interezza.

Le direttive impongono agli Stati membri d‟introdurre appositi rimedi giudiziari che garantiscano la rimozione delle discriminazioni perpetrate e il consequenziale ristoro del danno morale patito da chi ne è stato vittima. La normativa precisa inoltre che l‟onere probatorio dell‟evento lesivo gravi sul convenuto, il quale è quindi tenuto a dimostrare che i comportamenti da lui posti in essere non abbiano violato il principio della parità di trattamento. La differenza di trattamento legata

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ad uno dei motivi legislativamente sanzionati non costituisce discriminazione, molestia o ordine a discriminare qualora la peculiare natura di un‟attività lavorativa o la singolarità del contesto in cui essa viene svolta impongano la necessaria adozione di un comportamento che di regola integrerebbe gli estremi della violazione. L‟adozione di tale comportamento è comunque subordinata all‟ipotesi in cui esso costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell‟attività lavorativa, purché l‟obiettivo che ci si propone di raggiungere sia legittimo e il requisito proporzionato.

La direttiva n. 2000/43/CE obbliga gli Stati membri a dotarsi di uno o più organismi che garantiscano gli individui da qualsiasi discriminazione etnica o razziale. La norma impone in sintesi l‟istituzione di autorità indipendenti che esercitino le proprie funzioni in totale autonomia rispetto agli organi di indirizzo politico, predisponendo strutture di assistenza, inchieste e relazioni periodiche in materia di discriminazione339.

La normativa europea si propone quindi di stilare una serie di prescrizioni generali che, armonizzando le singole discipline statali, consentano ai membri dell‟Unione di cooperare attivamente alla lotta contro le discriminazioni, garantendo piena effettività al principio di parità di trattamento anche tramite l‟abrogazione di tutte le normative nazionali che violino l‟uguaglianza e la dignità umana.

In Italia le direttive nn. 2000/43/CE e 2000/78/CE sono state rispettivamente recepite con i decreti legislativi nn. 215 e 216 del 9 Luglio del 2003, che hanno ripensato in termini europei il concetto di “discriminazione” – articolandolo quindi in discriminazione diretta,

339 In Italia è stato istituito l‟Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) presso il

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indiretta, molestia e ordine discriminatorio impartito a terzi – e posto l‟accento sulle discriminazioni “doppie” o “multiple”, legate alla combinazione di due o più comportamenti lesivi, uno dei quali costantemente rappresentato dal genere.