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I limiti della speculazione crouchiana: l’eterno conflitto fra le istituzioni e il cittadino e la crisi dell’uomo

postmoderno.

La riflessione di Crouch è realmente innovativa? La “postdemocrazia” è un concetto che affonda le proprie radici nella contemporaneità o è una tendenza politica già vissuta in passato?

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A ben vedere, il conflitto fra istituzioni e cittadini non è un

novum dell‟attuale contesto socio-politico, ma una costante che in forme

e modi differenti ha caratterizzato l‟evoluzione dei sistemi democratici. Il rapporto fra amministratori e amministrati - e quindi fra politici e cittadini - è dominato da una logica “bipolare”175, che pone in contrapposizione due soggetti antagonisti, portatori d‟interessi confliggenti difficilmente “compromettibili”. Un pensiero, questo, già partorito da Romano176 nel 1930: l‟insigne giurista distingueva infatti fra soggetti attivi e soggetti passivi della potestà amministrativa, cui erano rispettivamente ricondotti il potere e la destinazione dello stesso.

Giannini177, sulla falsa riga delle tesi romaniane, affermava che lo Stato, in quanto comunità, si reggesse sulle spalle di due soggetti antitetici: le autorità pubbliche – espressione dell‟organizzazione statale – e i cittadini – soggetti privati titolari di alcuni diritti fondamentali. Stando al ragionamento, lo Stato sarebbe uno spazio condiviso da due forze - l‟autorità e la libertà -, ognuna delle quali sarebbe dotata di un corpo e di un linguaggio che le consentire di affrontare il “nemico” ad armi pari.

Cassese178, ripercorrendo la geneaologia delle relazioni intercorrenti fra soggetti privati e pubblici poteri, sostiene che il concetto di “Stato” poggi su un‟insolubile dicotomia, quella fra apparato statale e cittadino, due poli irriducibili in eterno conflitto tra loro. Il “paradigma bipolare” si sarebbe consolidato nel tempo, durante il passaggio dall‟ordine medievale - in cui non c‟era differenziazione fra Stato e

175 SABINO CASSESE, L‟arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Rivista trimestrale di

diritto pubblico, 2001, pag. 602.

176

SANTI ROMANO, Corso di diritto Amministrativo, Cedam, Padova, 1930.

177 MASSIMO SEVERO GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1950. 178 SABINO CASSESE, L‟arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Rivista trimestrale di

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società civile - a quello contemporaneo – che affonda le proprie radici nella separazione fra potere statale e comunità. Quello in esame è “il

paradigma fondamentale del diritto pubblico nel XX secolo: due poli separati, né convergenti né contrattanti, ma in contrapposizione, a causa della superiorità di uno sull‟altro; a compensare tale superiorità, quello più forte è astretto a regole e doveri, mentre il privato agisce secondo il proprio interesse, in modo libero, salvo limiti esterni imposti dalla legge. Intorno a questo paradigma si sono formati e sviluppati i modi dello studio e del sapere giuridico, per cui può dirsi che ogni pur remoto

suo angolo è influenzato da questa fondamentale contrapposizione”179.

Arena approfondisce la riflessione ponendo l‟accento sull‟intrinseco squilibrio del modello esaminato: “il normale modo

d‟intendere il rapporto fra amministrazioni e cittadini vede questi ultimi unicamente nel ruolo di amministrati, utenti, pazienti, assistiti, clienti, tutti termini utilizzati non a caso per indicare che nell‟ambito del paradigma bipolare l‟amministrazione può presentarsi sia come potere sia come prestazione, ma in ogni caso il destinatario della sua azione è comunque sempre un soggetto passivo, mero destinatario dell‟intervento pubblico, sia esso un‟autorizzazione, una pensione o una terapia medica. Naturalmente l‟amministrato può utilizzare nei confronti dell‟amministrazione vari strumenti di tutela, da quelli più tradizionali come il ricorso alla magistratura a quelli più recenti come il difensore civico o le associazioni per la tutela dei diritti dei cittadini, ma la sua

posizione di subordinazione nei confronti della pubblica

amministrazione non cambia” 180.

179

SABINO CASSESE, L‟arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, pag. 604.

180 GREGORIO ARENA, Cittadini attivi. Un altro modo di pensare all‟Italia, Laterza, Roma-Bari,

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Tali considerazioni riducono sensibilmente il portato innovativo della speculazione crouchiana: la mancata inclusione del cittadino all‟interno dei processi decisionali – tratto caratterizzante la “postdemocrazia” – non è una patologia dei sistemi democratici contemporanei, ma attiene alla fisiologia dei rapporti intercorrenti fra l‟autorità pubblica, detentrice del potere, e i soggetti privati, destinatari di quel potere. Di conseguenza, la “postdemocrazia” non è un‟entità a sé stante, ma un segmento socio-politico che si stende sul ventre molle dell‟universale democratico senza alterare la secolare dicotomia che contrappone i regimi democratici a quelli non democratici. Se il discrimine fra l‟ideale di “democrazia” e quello di “non democrazia” risiede nell‟uguaglianza politica, nella non tirannia e nell‟efficacia deliberativa, sarebbe pleonastico stagliare la genesi dell‟universale postdemocratico sulle ragioni di un‟antitesi già esistente: si complicherebbero i termini di una dicotomia ontologicamente consolidata e, nella migliore delle ipotesi, si darebbe al concetto un taglio prettamente nominalistico, che presenterebbe il fenomeno come mero surrogoto del concetto di “non democrazia”.

La “postdemocrazia”, invece, è uno dei tanti volti della democrazia, probabilmente il più “oscuro”, quello che le impone di aggiornarsi, di adattarsi all‟evoluzione dei contesti socio-politici e di sopravvivere nei momenti di minor tenuta democratica. Il dominio della comunicazione, il passaggio dall‟arena politica a quella massmediatica, lo strapotere della Rete e la rarefazione della partecipazione non sono i prodromi di una torsione antidemocratica, ma i sintomi del ripensamento democratico di un sistema già democratico.

Il modello in esame non è alternativa alla democrazia. Allo stesso tempo, non è il tramite che congiunge il paradigma democratico a quello

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non democratico. È una “scossa tellurica” che rimodula il sistema alla luce del perpetuo divenire socio-politico, favorendo, nell‟attuale frangente storico, la metabolizzazione del deficit partecipativo attraverso la comprensione del sinodo indissolubile che lega l‟universo virtuale a quello materiale.

L‟inclusione del cittadino all‟interno dei processi decisionali è la costante che domina i rapporti fra pubblico e privato. Il fenomeno postdemocratico, allora, non è altro che una variabile strutturale della democrazia, un modello dinamico, incline al recepimento delle incessanti sollecitazioni esterne. La conflittualità esistente fra autorità pubblica e cittadini privati permea un contesto già martoriato dalla crisi dell‟uomo postmoderno. Ed è proprio alla luce di queste tensioni che deve essere analizzato l‟impatto della Rete nella vita individuale e sociale dell‟uomo: solo così, infatti, è possibile affrontare i problemi politici, sociali, giuridici ed economici connessi allo sviluppo di Internet,

e quindi alla sovrapposizione dell‟universo virtuale a quello materiale.

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