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Un’evoluzione urbana senza precedenti

1. Dubai: la città degli epìteti

1.3 Un’evoluzione urbana senza precedenti

Il mito che più di tutti accompagna costantemente l’immagine di Dubai nell’immaginario collettivo, è quello di una città del petrolio, emersa ex nihilo nel deserto.

Se nel paragrafo precedente si è tentato di riscattare Dubai dal suo legame stereotipato con la risorsa petrolifera, si cerca ora di sfatare il mito della città nata dal nulla e priva di storia.

Questa infatti risulta in ultima analisi una visione tipicamente occidentale42 e molto lontana dalla realtà.

Dubai infatti possiede una storia alquanto unica e non convenzionale, sicuramente recente, ma nondimeno una storia.

La sua posizione geografica e la sua spiccata abilità nell’ottimizzare efficacemente le limitate risorse, hanno giocato un ruolo fondamentale nel ‘miracoloso’ sviluppo urbanistico della città.

A seguito di un’accurata ricerca sulle fonti da consultare per delineare lo sviluppo urbano dell’emirato e dopo aver constato la carenza di studi accademici, si è deciso di consultare principalmente l’opera di Yasser Elsheshtawy43, unica, a detta dell’autore, per la materia trattata, con alcune integrazioni tratte

da fonti giornalistiche.

Ergo, laddove si citano dati e informazioni dettagliate prive di fonti, è ora chiaro che provengono dall’opera sopra citata.

D’altro canto sono stati innumerevoli gli articoli che hanno messo in luce la velocità e la natura spettacolare della sua crescita.

Si ricordi per esempio il titolo comparso su The New Yorker “The mirage: the architectural insanity of Dubai”44.

Dall’iconico hotel a vela Burj Al-Arab, ai megaprogetti, fin dall’inizio la città sembrava impegnata in una ricerca ossessiva per “darsi un significato”45.

Questa considerazione può essere validata a livello universale ma nel caso di Dubai, costantemente sotto i riflettori, l’impiego delle forme di spettacolarizzazione urbana per segnalare la sua entrata nella scena globale, ha catturato da sempre un’attenzione istantanea: ogni progetto annunciato o realizzato diventava un’icona isolata nel deserto che, assieme alle altre, formava un arcipelago iconografico. Ciò sembrerebbe alludere ad una mancanza di consapevolezza e cognizione di causa nella pianificazione urbana della città. Tuttavia è corretto parlare di storia dello sviluppo urbano a partire dal XX° secolo.

42 ELSHESHTAWY Y., Dubai: Behind an Urban Spectacle, UK, Routledge, 2010, p. 60 43Ibidem

44

PARKER I., “The mirage: the architectural insanity of Dubai”, The New Yorker, 17 ottobre 2005, pp. 128- 143

45

ROSE. S., “San and freedom”, The Guardian, 28 novembre 2005

Alla fine del 1800 infatti la popolazione di Dubai era costituita da 10.000 persone concentrate in tre aree: Deira, formata da 1600 case, 350 negozi e una popolazione costituita da arabi e persiani; Shindagha, con 250 case e prevalentemente arabi; Bur Dubai con 200 case e 50 negozi, abitata da persiani e commercianti indiani.

La prima fase di sviluppo copre un arco temporale dal 1900 al 1955.

La crescita e l’espansione urbana di questo periodo fu lenta e limitata. L’intera popolazione era confinata in tre piccoli enclave situati alle soglie della bocca del Creek.

Il Creek e il Golfo Arabo infatti erano considerati le fonti di reddito privilegiate legate alle attività di pesca e al commercio di perle.

All’alba degli anni ’60, il territorio era ancora in una fase quasi ‘primitiva’: non c’erano strade asfaltate, nessuna rete pubblica e le uniche fonti d’acqua potabile erano quattro pozzi ai margini della città. Il primo vero, formale piano urbanistico fu pensato nel 1960 dall’architetto inglese John Harris da cui prese poi il nome.

Il piano regolatore di fondava sullo sviluppo di un’architettura “rispettata e rispettosa46” in linea con le

ambizioni modeste, non visionarie, del regnante Sheikh Rashid.

La filosofia di Harris si incentrava sul rispetto per il passato e, a partire da questo, sull’integrazione della città vecchia all’interno di un progetto di crescita futura.

Il piano prevedeva la conformazione di una mappa e di un sistema stradale, oltre a fornire una modello di direzione di crescita della città.

La seconda fase di sviluppo copre un arco temporale dal 1955 al 1970.

A fronte di uno sviluppo urbano più compatto ed evidente, si continuò a seguire il piano di Harris in particolare nella realizzazione di un sistema stradale, in un processo di zonizzazione della città in area adibite a fini specifici, nella realizzazione di quartieri residenziali e nella creazione di un nuovo centro. Questi obiettivi alquanto modesti rispecchiavano la situazione economica di Dubai.

Si ricordi che il petrolio non era ancora stato scoperto.

La situazione cambiò proprio a seguito delle ingenti entrate petrolifere.

Nel 1971, spinto da una travolgente espansione della città e supportato da risorse economiche, il governo decise di introdurre un nuovo piano regolatore di Harris.

Il nuovo progetto prevedeva la costruzione di due ponti che avrebbero collegato Bur Dubai e Deira, la progettazione del futuro porto Rashid, la trasformazione di Jumeirah da quartiere povero a distretto residenziale collegato al porto Jebel Ali, e a sud, la realizzazione di aree dedicate al benessere della persona, all’educazione e ad attività di svago e ricreative.

Questa fase inoltre si distinse per la costruzione del Dubai World Trade Center, disegnato da John Harris e divenuto primo emblema della vera nascita della città ufficializzata dalla presenza della Regina Elisabetta II all’inaugurazione dell’edificio nel 1979.

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Da quel momento la crescita della città subì un’impennata tale che il piano urbanistico di Harris non era più sufficiente a sostenerne la portata.

Nel 1995 il governo introdusse un nuovo programma ventennale nominato ‘Piano Strutturale’ il cui carattere principale doveva essere la flessibilità e il cui obiettivo per il 2015 doveva consistere nel rendere l’area urbana capace di ospitare 2.7 milioni di persone.

Questo piano era accompagnato ulteriori iniziative strategiche complementari tra cui il ‘Comprehensive Development Plan’, ‘Strategic Urban Growth Plan for the Emirate of Dubai’, ‘First Five Year Plan for Dubai Urban Area’ e infine ‘Structural Plan for Dubai Urban Area’.

Si può tuttavia affermare che la forma urbana attuale di Dubai è prevalentemente responsabilità del solo Piano Strutturale47.

Seguendo le direttive di quest’ultimo dunque, il modello radiale su cui si radicava la città storica, venne trasformato in una griglia composta da assi e punti di snodo che costituiscono per la maggior parte la forma attuale della città.

Accanto alla trasformazione dell’impianto urbanistico si aggiunsero tre nuovi centri ricreativi ovvero Palm Jumeirah, Ras Al Khor e Jebel Ali. I primi due dovevano caratterizzarsi come centri multi-uso, ovvero come combinazioni di attività istituzionali, culturali e pubbliche.

Palm Jumeirah in particolare avrebbe dovuto focalizzarsi sulla funzione di supporto turistico.

Lo sviluppo urbano legato a quello commerciale fu invece immaginato correttamente all’interno dell’area Central Business City (CBD) con i suoi maggiori centri dedicati alle attività commerciali compresi i centri dedicati allo shopping.

Importanti furono poi le politiche riguardanti la distribuzione della terra ai nationals in quanto ebbe un impatto significativo nello sviluppo urbano. L’allocazione della terra avrebbe infatti comportato un drammatico aumento dei lotti, in eccedenza rispetto alla reale esigenza, causando alcuni effetti collaterali dannosi.

Molte abitazioni antiche furono abbandonate e condannate al deterioramento e nacquero nuove zone in aree suburbane, lontane dal centro città, con tuttavia un quoziente di vivibilità molto basso. Ciò significava il verificarsi di un fenomeno di ‘suburbanizzazione dei nationals’ considerato come un trend negativo che rappresentava l’alienazione dei locali dalla loro stessa città48.

Il Piano Strutturale dava prova dunque di una discrepanza evidente tra la visione iniziale e la sua realizzazione.

Anche il Piano Strutturale col tempo divenne datato e il governo si preparò a sostituirlo nel 2007 con il ‘Modello di Sviluppo Urbano di Dubai’ (DUDF) che nasceva con il compito principale di correggere la presente situazione caotica.

47DUBAI MUNICIPALITY, Structure Plan for the Dubai Urban Area, 1995, report redatto da Parsons

Harland Bartholomew&Associates, Inc.

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Nello specifico, lo scopo era quello di creare un modello di pianificazione e gestione innovativo, flessibile e pienamente integrato per lo sviluppo di Dubai da qui al 2020 e oltre.

Il programma prevedeva tre moduli chiave: una vision per Dubai, una città integrata e un modello di pianificazione per lo sviluppo regionale e infine un modello legale e istituzionale.

Questa concezione cercava di rafforzare la sostenibilità ambientale, economica e sociale, sviluppando contemporaneamente obiettivi di qualità della vita e una posizione consolidata di Dubai nella classifica dei luoghi più vivibili al mondo.

Un altro punto affrontato dal DUDF riguardava il tentativo di costituire una coordinazione tra le differenti industrie immobiliari per assicurare una visione progettistica più armoniosa e in linea con i piani governativi.

Storicamente infatti Dubai è sempre stata connessa alla vita dei mercanti, considerazione facilmente dimostrabile dalla dichiarazione di Sheikh Rashid: ‘Ciò che è buono per i mercanti, è buono per Dubai’. A loro si deve la prosperità della città, ma la mancanza di coordinamento di queste nuove compagnie, ha contribuito alla frammentazione della stessa.

Nonostante un’apparente assenza di visione globale organicistica, non si può tuttavia non considerare la messa in atto di una strategia accorta e volta a posizionare Dubai come centro mondiale.

Il suo modello urbano frammentato ha infatti prodotto dei nuovi ‘spazi di flusso’ che alimentano il movimento di lavoratori transnazionali. Ciò rende la città in procinto di incarnare perfettamente questo nuovo spazio urbano transnazionale nel quale ad operare sono i nuovi moderni nomadi.

Attraverso l’elaborazione di punti di riferimento iconici rappresentati al massimo grado dai cosiddetti megaprogetti, la città si voleva inoltre piazzare nella mappa dei centri urbani più riconosciuti al mondo. Oltre a definirsi la ‘capitale dello sfarzo’ e la ‘Monaco del Medio Oriente’ adottò la strategia di puntare su un’architettura spettacolare che divenne ben presto un marchio di fabbrica fondato sul concetto di ‘superlativo’ (il più grande, il più alto..) e per il quale si conquistò nel bene e nel male il titolo di ‘Las Vegas del Medio Oriente’.

Quest’emergenza legata alla creazione di edifici iconici, secondo il report dell’OBG, sembra esser nata attorno al 1990 con l’edificazione dell’hotel simbolo di Dubai, il Burj Al Arab che aveva il compito di accelerare il riconoscimento della città come luogo dell’innovazione e della modernità.

Più di ogni altra città ha saputo quindi formulare una nozione di brand preciso prendendo in prestito gli stili degli altri paesi e delle altre culture e ri-marchiandoli come propri al fine di raggiungere uno status di città globale.