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L’excursus sui moti celesti: Atlante

Aristotele dichiara, prima di enunciare la seconda legge meccanica, che i suoi contenuti hanno implicazioni non limitate al solo regno animale, ma relative anche al moto del cosmo intero. Queste implicazioni vengono chiamate in causa all’inizio del capitolo 3, quando lo Stagirita si chiede se il motore del cielo sia un motore mobile in contatto con un punto d’appoggio esterno oppure un motore immobile esso stesso esterno al cielo. Vengono menzionate a questo punto due teorie, presumibilmente in voga all’epoca in cui Aristotele scriveva la sua opera, che cercano di isolare il punto della sfera celeste dal quale promana il movimento dei κύκλοι: entrambe propongono un motore interno al sistema delle sfere celesti, ed entrambe vengono confutate proprio su questo aspetto, a vantaggio di una proposta che – ovviamente – va nella direzione del motore esterno.

La prima delle due teorie individua nei poli il principio motore interno delle sfere celesti117, ed è confutata con agio dallo Stagirita. Più impegnativa è la seconda teoria, la quale condurrà Aristotele per una via di confutazione assolutamente nuova ed originale per il suo sistema fisico: si tratta dell’ipotesi del motore-Atlante118

. Come lo stesso filosofo precisa, anche questa teoria ripropone un caso di motore interno al κόσμος, in quanto Atlante muoverebbe le sfere celesti poggiando i piedi sulla superficie terrestre: innegabilmente allora il Titano diverrebbe

purpose of effecting others, but has to be an absolute origin of motion, one which can function solely as an unmoved mover. Although this absolute origin of motion is different from the magnitude represented by A in Aristotle’s diagram, that is the middle part of the body, it must be in that magnitude”.

116 20-22. 117

Una presentazione chiara della teoria si trova nella nota di Corcilius in PRIMAVESI-CORCILIUS 2018 ad loc., 81-83, che riprende anche alcune considerazioni di NUSSBAUM 1978 ad loc., 295-299.

118

Sul mito di Atlante qui evocato e su alcune importanti discrepanze rispetto alla versione tradizionale, cf. lo studio di TIÈCHE 1945, che ha cercato di ricondurre la funzione motrice della figura di Atlante ad un contesto filosofico pitagorico o anassagoreo; cf. anche BOYANCÉ 1974, che analizza analogie e discrepanze tra le varie versioni del mito e riscontra una convergenza tra la versione presentata in Virgilio (A 4.480ss; 6.795-797) e la rielaborazione qui proposta da Aristotele; NUSSBAUM 1978 ad loc., 302-304 propone una carrellata di versioni simili o dissimili del mito, e riflette anche su due menzioni ad Atlante presenti in altri luoghi del corpus aristotelico (Metaph. Δ.23.1023a20ss. e DC B.1.284a19ss.) a 300-301. Da ultimo, Lefèbvre, nel suo contributo «La critique du mythe d’Atlas DMA, 3, 699a27-b11» in LAKS-RASHED 2004, 115-137, cerca di tirare le fila di tutte queste argomentazioni a 124-126.

parte integrante del sistema di movimento, altrimenti si giungerebbe all’assurda conclusione di escludere il suo punto d’appoggio – la Terra appunto – dal cosmo (ἀλλὰ τοῖς ταῦτα λέγουσιν ἀναγκαῖον φάναι μηδὲν εἶναι μόριον αὐτὴν τοῦ παντός). Questo punto rappresenta solo un momento della contro-argomentazione di Aristotele; l’altro momento, invece, si avvale del concetto di ἰσχύς, “forza”: questo concetto è tuttavia declinato e utilizzato in modo molto ampio e lasco, dal momento che il termine ἰσχύς sembra avere una gamma di significati, “der sowohl Bewegungs- als auch Beharrungs- und Widerstandskräfte umfasst”119. Occorre pertanto ripercorrere per intero l’argomentazione, che presenta non pochi punti oscuri:

πρὸς δὲ τούτοις δεῖ τὴν ἰσχὺν ἰσάζειν τοῦ κινοῦντος καὶ τὴν τοῦ μένοντος. ἔστιν γάρ τι πλῆθος ἰσχύος καὶ δυνάμεως καθ’ ἣν μένει τὸ μένον, ὥσπερ καὶ καθ’ ἣν κινεῖ τὸ κινοῦν· καὶ ἔστιν τις ἀναλογία ἐξ ἀνάγκης, ὥσπερ τῶν ἐναντίων κινήσεων, οὕτω καὶ τῶν ἠρεμιῶν.120

Vengono menzionate qui due forze, proprie rispettivamente del corpo motore e del corpo in quiete: in virtù di questa forza, si dice, i due corpi perseverano nel loro stato di moto/quiete. Si allude poi a una proporzione che può essere stabilita tra opposti movimenti e stati di quiete: tale proporzione può essere sensatamente posta tra due corpi che possiedono specifiche quantità (a) di forza di moto in quanto motori e (b) di forza di quiete in quanto corpi fermi121. Una delle proporzioni possibili tra le forze di tali corpi è l’equilibrio, qui descritto come un caso in cui la forza di quiete del corpo fermo e la forza di moto del motore si equivalgono. In questo stato, continua Aristotele, i due corpi non patiscono nulla l’uno dall’altro. Invece, κρατοῦνται κατὰ τὴν ὑπεροχήν. Questo può significare due cose: (1) la forza di moto di un corpo motore supera quella di quiete di un corpo fermo, e quindi ne innesca il movimento; (2) la forza di quiete di un corpo fermo è maggiore di quella di moto di un corpo motore, del quale blocca il movimento stesso. Il quadro teorico di riferimento è, ovviamente, quello in cui due corpi entrano in contatto ed esercitano una pressione l’uno sull’altro:

ὡς γὰρ τὸ ὠθοῦν ὠθεῖ, οὕτω τὸ ὠθούμενον ὠθεῖται, καὶ ὁμοίως κατ’ ἰσχύν.122

Siamo qui nel primo scenario: in base alla quantità di forza di moto eccedente rispetto alla forza di quiete, il corpo motore avanza nella spinta di una lunghezza pari a quella della quale il

119 Corcilius in PRIMAVESI-CORCILIUS 2018 ad loc., 87. 120

699a33-37: “Oltre a ciò, bisogna che la forza del motore e quella del corpo fermo siano in equilibrio: esiste infatti una certa quantità di forza, di potenza, in virtù della quale il corpo fermo è in quiete, proprio come ce n’è una in virtù della quale il motore muove; ed esiste di necessità una qualche proporzione, come tra gli opposti movimenti, allo stesso modo tra gli stati di quiete”.

121

Per questa frase, è condivisibile la spiegazione di NUSSBAUM 1978 ad loc., 306, che scrive: “‘As there is a proportion between opposing motions, so also between motions and opposing states of rest’. For Aristotle, two bodies in their natural places would not act on each other, and no relation between two states of rest is in question in this passage. Just as two bodies moving with opposing motions resist each other, so does a body with certain ‘force of motion’ resist one with a certain ‘force of rest.’”.

122

corpo (precedentemente) in quiete arretra. Applicando queste riflessioni al caso di Atlante, Aristotele avverte:

διόπερ εἴτε Ἄτλας εἴτε τι τοιοῦτον ἕτερόν ἐστιν τὸ κινοῦν τῶν ἐντός, οὐ δεῖ μᾶλλον ἀντερείδειν τῆς μονῆς ἣν ἡ γῆ τυγχάνει μένουσα· ἢ κινηθήσεται ἡ γῆ ἀπὸ τοῦ μέσου καὶ ἐκ τοῦ αὐτῆς τόπου.123

In questo quadro, allora, Atlante rappresenta il corpo motore e la Terra il corpo in quiete, ovviamente; le leggi della fisica aristotelica – che vengono qui improvvisamente evocate dopo un lungo discorso interamente incentrato su concetti meccanici124 – impediscono che la Terra sia spostata dal suo luogo naturale, ovvero dal centro. Perché ciò accada, è necessario che la forza di moto di Atlante non sia mai e in nessun caso maggiore della forza di quiete della Terra, altrimenti quest’ultima non sarà in grado di sostenere la pressione esercitata dal Titano su di essa e finirà per essere spostata. Tuttavia la stessa funzione svolta da Atlante nell’economia del movimento cosmico è in contraddizione con questo caveat: il corpo che egli muove, ovvero l’insieme dei κύκλοι, possiede esso stesso una forza di quiete che deve essere superata e che – si immagina, visto che tali forze sono tutte proporzionali alla massa di ciascun corpo – è di gran lunga maggiore della forza di quiete della Terra; ciò si traduce in un’impossibilità di fondo, rappresentata dal fatto che in questo scenario la Terra dovrebbe essere dotata di una forza di quiete maggiore della forza di moto di Atlante, a sua volta già maggiore della forza di quiete delle sfere celesti. Poste queste premesse, si può affrontare il difficile passo che conclude questa dimostrazione e il complesso del capitolo 3, che confuta definitivamente l’ipotesi di un motore interno al sistema di movimento

:

κινεῖ δὲ τὸ ἠρεμοῦν πρῶτον, ὥστε μᾶλλον καὶ πλείων ἡ ἰσχὺς ἢ ὁμοία καὶ ἴση τῆς ἠρεμίας, ὡσαύτως δὲ καὶ τοῦ κινουμένου μέν, μὴ κινοῦντος δέ. τοσαύτην οὖν δεήσει τὴν δύναμιν εἶναι τῆς γῆς ἐν τῶι ἠρεμεῖν ὅσην ὅ τε πᾶς οὐρανὸς ἔχει καὶ τὸ κινοῦν αὐτόν. εἰ δὲ τοῦτο ἀδύνατον, ἀδύνατον καὶ τὸ κινεῖσθαι τὸν οὐρανὸν ὑπό τινος τοιούτου τῶν ἐντός.125

Il passo ha suscitato un lungo dibattito, scatenato principalmente dall’ambiguità dell’espressione τὸ ἠρεμοῦν πρῶτον, che presenta un problema di sintassi (è stato interpretato sia come oggetto sia come soggetto della frase) e un problema di identificazione (vale a dire, non è possibile riferirlo univocamente e senza dubbio a un solo elemento all’interno del

123

699b1-5: “Perciò, che a muovere sia Atlante o un altro (simile a quello) dei corpi compresi entro la periferia del cielo, comunque questo non deve appoggiarsi con una pressione maggiore dell’inerzia in virtù della quale la Terra si trova in stato di quiete; altrimenti, la Terra sarà mossa dal centro, ovvero dal suo luogo naturale”.

124

Cf. su questo punto le riflessioni di NATALI 1974, 168: “Il problema sembra ridursi ad una questione puramente fisica, di misurazione delle forze: se la forza motrice necessaria a smuovere il cosmo è maggiore della forza d’inerzia terrestre, non sarà possibile che la terra sia l’elemento fermo cercato”.

125

699b6-11: “Ora, il motore muove in prima battuta il corpo che è fermo, pertanto la propria forza deve risultare maggiore (e non pari e uniforme) all’inerzia di quello, e allo stesso modo maggiore dell’inerzia di quello che diventa il mobile non motore; ma allora la forza d’inerzia della Terra dovrà essere pari alla forza propria sia del cielo intero sia del suo motore”.

ragionamento). Il primo editore italiano di questo testo, L. Torraca, interpretava il sintagma in questione come complemento oggetto del verbo ἔχει, e vi riconosceva un termine generico per indicare il mobile, sovrapponibile poi con la volta celeste126; nella stessa direzione, e proponendo un’interpretazione simile del passo, anche Farquharson, che segue le orme di Alberto Magno, ma altera significativamente il testo in un punto: legge infatti a 699b7-8 ἡ τοῦ κινουμένου <καὶ κινοῦντος τῆς τοῦ κινουμένου> μὲν μὴ κινοῦντος δέ, traducendo quindi: “But the prime mover moves that which is to begin with at rest, so that the power it exerts is greater, rather than equal and like to the power which produces absence of motion in that which is moved. And similarly also the power of what is moved and so moves must be greater than the power of that which is moved but does not initiate movement”127.

Nussbaum, invece, prende le distanze da queste posizioni e vede in τὸ ἠρεμοῦν πρῶτον il soggetto della proposizione, da identificarsi con Atlante stesso (in linea con la lettura di Michele di Efeso)128. Inolte, la studiosa offre ulteriori argomenti contro le ipotesi di Torraca e Farquarson, rilevandone numerosi motivi di debolezza: innanzitutto, Farquharson necessita di intervenire pesantemente sul testo, con un’aggiunta ope ingenii, non economica e non richiesta dal contesto; oltre a ciò, le argomentazioni del critico non paiono comunque condurre a una conclusione perfettamente coerente con le premesse poste; da ultimo, le teorie dei due studiosi implicano alcune deduzioni scorrette, come (a) l’attribuzione di una presunta forza di movimento alle sfere celesti, mai menzionata da Aristotele né in questo passo né altrove; (b) l’interpretazione del sintagma ἐν τῶι ἠρεμεῖν come riferito alla sola Terra, in opposizione al cielo e al suo motore quali dotati di una forza diversa, quella di moto appunto. Da ultimo, anche Corcilius ha preso posizione allineandosi al punto di vista di Nussbaum129.

126

Cf. TORRACA 1958B, 41 n. 11: “Atlante – forza motrice – imprime movimento al cielo, che ha, quando inizialmente è immobile, una certa energia di quiete. Perciò la forza che è sviluppata da Atlante, deve essere maggiore dell’energia di quiete del cielo. Questo poi, una volta messo in movimento, acquista un’energia di moto che è inferiore a quella esercitata da Atlante: infatti, se non fosse inferiore, annullerebbe l’energia sviluppata da Atlante, e questi sarebbe travolto dal movimento del cielo. La terra, che sostiene Atlante, dovrà avere un’energia di quiete superiore alla somma dell’energia di Atlante, che muove non mosso, e dell’energia del cielo, che è mosso, ma non muove. In tutto il passo sono adombrati i principi di statica, la legge di inerzia, i principi della cinematica”.

127

FARQUHARSON 1965 ad loc., n. 3 per la lezione integrata. 128

Cf. NUSSBAUM 1978, 307 ad loc: “The inference drawn from this obscure argument, at lines 8-10, is that the earth's ‘force of rest’ must be equal to the ‘force of rest’ of the whole heaven and of its mover. The argument then seems to be as follows: Atlas, who is the mover, is initially at rest […] So the force he exerts must be greater than his own ‘force of rest’ — i.e., he must be able to overcome his own inertia and have some force left over to move the heavens. Similarly he must also be able to overcome the ‘force of rest’ of the heavens: i.e., his ἰσχύς must also be greater than that which is moved by him, but is not, like him, a mover. In consequence (οὖν) (given that whatever force he exerts against the heavens results in a corresponding downward push against the earth […]), the resistance offered by the earth must be sufficient to balance the force required to move both Atlas himself and the heavens, or it will be moved from its place”.

129

Corcilius in PRIMAVESI-CORCILIUS 2018 ad loc., 88: “Da das Bewegende (Atlas) vom Ruhezustand in den Bewegungszustand übergeht, argumentiert Aristoteles, ist anzunehmen, dass seine bewegende Kraft (KA) größer ist als die Kraft, mit der es ruht (KAR). Die Kraft des Bewegenden (KA) ist daher größer sowohl als die Kraft, mit der es selbst ruht (KA > KAR), als auch größer als die Kraft, mit der das zu Bewegende (der Himmel) ruht (KA > KHR), und also auch größer als beide (KA > KAR + KHR). Daraus lassen sich zwei verschiedene Resultate ableiten, je nachdem, ob man das Eigengewicht der Teile der Himmels in die Rechnung einbeziehen möchte oder nicht. Falls ja, ergibt sich, dass die stützende Kraft der Erde mindestens so groß sein muss wie alle genannten Kräfte zusammengenommen: KER ≥ K + K + K . Falls nein, ergibt sich, dass die stützende Kraft der Erde nur größer sein muss als die von Atlas

Di taglio ancora diverso rispetto a quanto esposto finora è invece la proposta di Lefèbvre, che addirittura propone di vedere in ciò che traduce come “punto fermo primo” (τὸ ἡρεμοῦν πρῶτον) la Terra, intesa quale punto d’appoggio di Atlante, sulla base di una considerazione di natura lessicale: il termine ἡρεμοῦν non indica mai un motore, ma solo un punto d’appoggio, il supporto del movimento. Oltre a ciò, aggiunge lo studioso francese, da nessuna parte in questo capitolo Aristotele fa menzione di una forza di moto con cui un motore muove se stesso130.

Non è facile districarsi tra tutte queste ipotesi di interpretazione, in quanto ciascuna di esse presenta degli argomenti degni di attenzione e condivisibili così come degli elementi di debolezza. I rilievi di Nussbaum contro le letture di Torraca e Farquaharson sono sicuramente condivisibili: in particolare, è scorretto affermare che l’οὐρανός, oltre a una forza di quiete, possieda anche una forza di moto, in quanto Aristotele ha qualche riga sopra esplicitamente descritto la forza di moto come quella in virtù della quale il motore muove, mentre a proposito del cielo – altrettanto chiaramente – si dice proprio in questa frase che esso è un mobile non motore; se, quindi, si deve attribuire al cielo una ἰσχύς, questa deve essere per forza una ἰσχύς di quiete. Meno immediato risulta invece desumere che anche l’inerzia propria del corpo di Atlante sia chiamata in causa: è vero che Atlante non può che essere un motore mobile131 e che per questo lui stesso deve mettersi in moto per svolgere la funzione di motore; tuttavia, nella sezione precedente del testo al κινοῦν viene associata solo la forza di moto, e non viene mai esplicitato che essa possa essere esercitata anche in senso riflessivo contro la (presunta) forza di quiete propria del motore medesimo, spiegando così l’innesco del movimento nell’ αὐτοκίνητον132

; piuttosto, tutto il contesto sembra rimandare ad una situazione in cui due corpi si fronteggiano in un sistema in cui le forze rispettive interagiscono in base ad una proporzionalità di azione-reazione. Se in questa ultima proposizione Aristotele avesse voluto cambiare le coordinate del quadro precedentemente proposto e riferire l’inerzia non ad un puro mobile ma a un motore, forse lo avrebbe fatto segnalando questo mutato orizzonte con qualche parola in più, e non impiegando un’espressione tanto ambigua e generica quanto lo è quella prescelta. Quanto invece all’ipotesi di Lefèbvre, stando alla quale τὸ ἡρεμοῦν πρῶτον sarebbe niente meno che la Terra stessa, intesa come punto d’appoggio immobile del moto in questione, è facile notarne la scarsa spendibilità: dal punto di vista testuale, infatti, una volta posto che la Terra è ciò che muove primariamente, in quanto punto immobile d’appoggio, non sussiste

130

Lefèbvre in LAKS-RASHED 2004, 133-134. Si veda inoltre la sua conclusione a proposito del passo, a 134-135: “pour que le mythe d’Atlas puisse expliquer le mouvement du ciel, il faut, selon la troisième condition, qu’il existe un équilibre entre la force de mouvement et celle de repos: Atlas doit donc faire mouvoir le ciel sans mouvoir la Terre sur laquelle il s’appuie; il doit donc avoir plus de force du mouvement que le ciel n’a de force de repos, pour que celle-ci soit «dominée», mais il doit avoir autant de force de mouvement que la Terre a de force de repos, pour maintenir entre eux une isosthénie. Aristote explique donc seulement qu’Atlas ne peut pas avoir autant de force de mouvement que la Terre a de force de repos, s’il doit en avoir plus que le ciel”.

131

Questo sembra chiaro anche sulla base della corrispondenza di questo esperimento mentale con la prima delle due ipotesi presentate all’inizio del capitolo sul rapporto tra motore celeste e punto immobile: εἴτε γὰρ αὐτὸ κινούμενον κινεῖ αὐτόν, ἀνάγκη τινὸς ἀκινήτου θιγγάνον κινεῖν καὶ τοῦτο μηθὲν εἶναι μόριον τοῦ κινοῦντος (699a14-16). 132

alcuna relazione di consequenzialità tra questo assunto e la proposizione successiva, né tra questa e quello che segue ancora, né infine tra i ruoli di tutti gli attori di questo esperimento mentale; tuttavia, anche questa ipotesi possiede il merito di richiamare l’attenzione su un dato particolare, ovvero sul fatto che l’obiettivo ultimo dell’argomentazione di Aristotele sta nel presentare l’ipotesi assurda di una Terra dotata di una forza di quiete capace di bilanciare la forza di moto di Atlante – ipotesi sulla quale la validità di tutta la teoria avanzata da questi anonimi proponenti si sorregge – e poi agilmente confutarla mostrandone la non plausibilità. È importante sottolineare il fatto che anche nello scenario del motore-Atlante deve ripresentarsi il caso di un confronto tra una forza di moto da una parte e una di quiete dall’altra, perché solo così quest’ultima sezione del testo può configurarsi come coerente conclusione e coronamento di tutto il ragionamento avviato a metà del capitolo 3; nell’ipotesi di Nussbaum, infatti, alla fine il confronto tra forze sembra riguardare esclusivamente la δύναμις ἐν τῷ ἡρεμεῖν della Terra da un lato e la somma delle relative forze di quiete di Atlante e volta celeste dall’altra – se è vero che “it is surely most natural to understand ὅσην to refer to the whole phrase δύναμις ἐν τῷ ἡρεμεῖν”133

.

Dal punto di vista sintattico, la costruzione fortemente ellittica ed ambigua della frase consente – come si è visto – molteplici letture. Il sintagma più complesso da interpretare è appunto τὸ πρῶτον ἡρεμοῦν: secondo Nussbaum e Corcilius, che in esso vedono un riferimento ad Atlante, esso deve essere il soggetto di κινεῖ. Ma non è sbagliato intenderlo come complemento oggetto, come fanno Torraca e Farquharson: in tal caso, la frase significherebbe “ma muove in prima battuta ciò che è in quiete”134

: il soggetto mancante, che pure potrebbe essere un motore generico nel contesto di un’affermazione di per sé di carattere molto generale, può essere forse ricercato nella frase precedente, dove Aristotele precisa le condizioni alle quali un motore (Atlante, ma anche un altro motore qualsiasi: εἴτε Ἄτλας εἴτε τι τοιοῦτον ἕτερόν ἐστιν τὸ κινοῦν τῶν ἐντός) deve muovere la volta celeste poggiando sul cielo, vale a dire senza esercitare una forza maggiore dell’inerzia della Terra. Se poniamo che il soggetto dell’ultima frase debba ricavarsi da quello della precedente, il referente rappresentato dal corpo in quiete cambia: anche in questo caso, l’intuizione di Torraca e Farquharson di vedere in esso la volta celeste, l’οὐρανός, non sembrerebbe poi così scorretta. Peraltro, per dimostrare l’assurdità di tutta la teoria del motore-Atlante, è necessario dimostrare che la forza di moto di quest’ultimo