Come si è già accennato nell’introduzione, una parte della critica ha accostato i contenuti della ricerca annunciata da Aristotele all’inizio del De Motu (698a7ss.) al ragionamento sviluppato dallo Stagirita in Phys. Θ (in particolare Θ.5) circa la relazione tra automovimento e primo motore173: nello specifico, sembra particolarmente rilevante la presenza, in entrambi i testi, del modello tripartito motore immobile – motore mobile – mobile non motore, che è appunto il protagonista delle argomentazioni dell’ultimo libro della Fisica. Però, dal momento che il nostro trattato condivide con il De Anima un indagine sul motore dell’essere animato, e quindi sulla natura dell’automovimento degli ἔμψυχα174
, anche un confronto tra il modello tripartito della Fisica e quello del DA è sembrato utile175. I risultati, tuttavia, difficilmente lasciano intendere che esista una totale compatibilità e coerenza tra tutti e tre i trattati. Le discrepanze tra i tre resoconti, o almeno fra il discorso di Phys. Θ e quelli di MA e DA sembrano infatti abbastanza evidenti176.
Questo è quanto si dice a proposito della relazione motore-mobile in Phys. Θ:
τρία γὰρ ἀνάγκη εἶναι, τό τε κινούμενον καὶ τὸ κινοῦν καὶ τὸ ᾧ κινεῖ. τὸ μὲν οὖν κινούμενον ἀνάγκη κινεῖσθαι, κινεῖν δ' οὐκ ἀνάγκη· τὸ δ'ᾧ κινεῖ, καὶ κινεῖν καὶ κινεῖσθαι (συμμεταβάλλει γὰρ τοῦτο ἅμα καὶ κατὰ τὸ αὐτὸ τῷ κινουμένῳ ὄν· δῆλον δ' ἐπὶ τῶν κατὰ τόπον κινούντων· ἅπτεσθαι γὰρ ἀλλήλων ἀνάγκη μέχρι τινός)· τὸ δὲ κινοῦν οὕτως ὥστ'εἶναι μὴ ᾧ κινεῖ, ἀκίνητον. ἐπεὶ δ' ὁρῶμεν τὸ ἔσχατον, ὃ κινεῖσθαι
Labarrière in LAKS-RASHED 2004, 149-165 (in partic. 154-155). Infine, cf. LABARRIÈRE 2004, 218: “l’altèration tient lieu de la main humaine qui remonte le ressort ou qui relâche les cordes, ce qui introduit une nouvelle différence entre les automates et les animaux: que qui ne l’a pas vue s’étonne de ces automates qui marchent tout seuls, cette main, donc, se trouve en quelque façon en eux et non à l’éxteriéur d’eux mêmes”; 221: “Seule l’unité de ce “principe” [scil. il principio psichico] assurera donc que les mouvements qui se déroulent dans cette grandeur soient bien les mouvements d’un même être”.
.173 Cf. introduzione, 12-17 con relative note bibliografiche.
174 Esiste un ampio dibattito su quale sia il significato della discussione sull’animale semovente nella Fisica, in particolare a Θ.2 e Θ.6: si vedano, sull’argomento in contributi di Morison in LAKS-RASHED 2004, «Self-motion in
Physics VIII», 67-79 e di Furley in GILL-LENNOX 1994, «Self-movers», 3-14; cf. anche LABARRIÈRE 2004, 163ss. sui passi della Fisica.
175 Cf. ad esempio le riflessioni svolte da SHIELDS 2016, 362, sulla piena sovrapponibilità del modello di DA con quello della Fisica: “There are, contends Aristotle, three: (i) what initiates motion, identified as the good to be accomplished; (ii) that by which one initiates motion, the activity of the faculty of desire; and (iii) what is moved, the animal. This coheres closely with his account of motion in Physics 256b14-24 […] The division in the current passage, however, is not subordinate to (i). Instead, Aristotle is allowing that while both the good sought and the faculty of desire initiate motion, only the faculty does so while being itself in motion. Thus, the object of desire initiates motion without itself being in motion.”
176
μὲν δύναται, κινήσεως δ' ἀρχὴν οὐκ ἔχει, καὶ ὃ κινεῖται μέν, οὐχ ὑπ' ἄλλου δὲ ἀλλ' ὑφ' αὑτοῦ, εὔλογον, ἵνα μὴ ἀναγκαῖον εἴπωμεν, καὶ τὸ τρίτον εἶναι ὃ κινεῖ ἀκίνητον ὄν.177
L’uso da parte di Aristotele dell’espressione τὸ ᾧ κινεῖ è perfettamente equivalente a quella che si trova altrove, τὸ κινοῦν καὶ κινούμενον, per indicare il motore mobile: le righe successive lo chiariscono perfettamente (ὃ κινεῖται μέν, οὐχ ὑπ' ἄλλου δὲ ἀλλ' ὑφ' αὑτοῦ): pertanto, si può inferire da questo passo che Aristotele veda una chiara sovrapponibilità tra motore mobile e strumento attraverso il quale il motore immobile muove il mobile non motore. Tutto ciò è perfettamente coerente con il senso complessivo del ragionamento in cui il passo è inserito: nel corso di Phys. Θ, infatti, Aristotele tenta di dimostrare come il movimento degli ἄψυχα dipenda da quello degli ἔμψυχα semoventi, e come in ultima analisi il movimento dell’αὐτοκίνητον debba essere scomposto in movimento di una parte κινοῦν ακίνητον πρῶτον e in una che è mossa ma non muove; difatti, sin dalle prime righe dell’ultimo libro del trattato sul movimento Aristotele enuncia e difende la legge secondo cui deve esistere un principio primo di movimento immobile, onde evitare un regresso all’infinito della catena di motori mossi da altro. Dice il filosofo che tutti i motori della catena muovono in un senso meno forte e meno primo del motore che è primo nella catena, in quanto quest’ultimo muove tutti gli altri e non viceversa178
. Subito dopo, lo Stagirita esplicita ancora più chiaramente la fattuale sovrapponibilità del “mezzo con cui” il motore muove e “ciò che si muove da sé”179
: in Phys. Θ il κινοῦν καὶ κινούμενον è quel corpo che, in virtù delle sue proprietà mediane180
, trasmette – media, appunto – l’impulso motore che primariamente proviene dal κινοῦν ἀκίνητον verso tutti gli altri motori mobili e, da ultimo, ai mobili non motori. Sebbene nel passo appena citato Aristotele parli di questi corpi in maniera molto generale ed astratta, focalizzandosi esclusivamente sulle caratteristiche meccaniche e sulla relazione dinamica che ciascuno instaura con i corpi immediatamente vicini nella catena, è chiaro come questo ragionamento, calato in un contesto più concreto, spieghi la dipendenza del movimento degli ἄψυχα da quello degli esseri animati, degli animali nella dimensione sublunare, e del movimento delle sfere eteree nella dimensione
177
256b14-24: “infatti, è necessario che si diano tre cose: ciò che è mosso, il motore e ciò con cui muove. Ebbene, ciò che è mosso è necessario che sia mosso, ma non è necessario che muova; ciò con cui muove, necessariamente e muove ed è mosso (questo, infatti, muta assieme a ciò che è mosso, essendo assieme a esso e nello stesso rapporto rispetto al motore); è chiaro nel caso di ciò secondo il luogo, giacché sono necessariamente in contatto l’un con l’altro fino a un certo punto; ciò che muove così da non essere la cosa con cui muove, è immobile. E poiché vediamo il motore ultimo, il quale può sì essere mosso, ma non possiede il principio del movimento, e ciò che è mosso, ma non da altro, bensì da se stesso, è logico, per non dire necessario, che vi sia anche la terza cosa che muove essendo immobile” (tr. Zanatta.) 178 Phys. Θ.5.256a8-13: ἄμφω δὴ κινεῖν φαμέν, καὶ τὸ τελευταῖον καὶ τὸ πρῶτον τῶν κινούντων, ἀλλὰ μᾶλλον τὸ πρῶτον· ἐκεῖνο γὰρ κινεῖ τὸ τελευταῖον, ἀλλ' οὐ τοῦτο τὸ πρῶτον, καὶ ἄνευ μὲν τοῦ πρώτου τὸ τελευταῖον οὐ κινήσει, ἐκεῖνο δ' ἄνευ τούτου, οἷον ἡ βακτηρία οὐ κινήσει μὴ κινοῦντος τοῦ ἀνθρώπου. 179256a22-b2: πᾶν γὰρ τὸ κινοῦν τί τε κινεῖ καὶ τινί. ἢ γὰρ αὑτῷ κινεῖ τὸ κινοῦν ἢ ἄλλῳ, οἷον ἄνθρωπος ἢ αὐτὸς ἢ τῇ βακτηρίᾳ, καὶ ὁ ἄνεμος κατέβαλεν ἢ αὐτὸς ἢ ὁ λίθος ὃν ἔωσεν. ἀδύνατον δὲ κινεῖν ἄνευ τοῦ αὐτὸ αὑτῷ κινοῦντος τὸ ᾧ κινεῖ· ἀλλ' εἰ μὲν αὐτὸ αὑτῷ κινεῖ, οὐκ ἀνάγκη ἄλλο εἶναι ᾧ κινεῖ, ἂν δὲ ᾖ ἕτερον τὸ ᾧ κινεῖ, ἔστιν τι ὃ κινήσει οὐ τινὶ ἀλλ' αὑτῷ, ἢ εἰς ἄπειρον εἶσιν. εἰ οὖν κινούμενόν τι κινεῖ, ἀνάγκη στῆναι καὶ μὴ εἰς ἄπειρον ἰέναι […] ὅταν δή τινι κινῇ ἀεὶ ἕτερον, ἀνάγκη εἶναι πρότερον τὸ αὐτὸ αὑτῷ κινοῦν. εἰ οὖν κινεῖται μὲν τοῦτο, μὴ ἄλλο δὲ τὸ κινοῦν αὐτό, ἀνάγκη αὐτὸ αὑτὸ κινεῖν· ὥστε καὶ κατὰ τοῦτον τὸν λόγον ἤτοι εὐθὺς τὸ κινούμενον ὑπὸ τοῦ αὑτὸ κινοῦντος κινεῖται, ἢ ἔρχεταί ποτε εἰς τὸ τοιοῦτον.
celeste: in particolare, il ruolo mediatore del primum mobile emerge chiaramente a spiegare non solo l’eterna rotazione dei cieli ma anche l’eterno prodursi dei cicli di generazione e corruzione in ambito sublunare181. Il carattere tripartito del modello della Fisica, composto da motore primo, motore mediatore e recettore ultimo dell’impulso cinetico è esplicito.
Sembra invece essere diversa la situazione nel De Anima, dove questa tripartizione viene scompaginata, a vantaggio dell’adozione di un modello chiaramente quadripartito:
ἐπεὶ δ' ἔστι τρία, ἓν μὲν τὸ κινοῦν, δεύτερον δ' ᾧ κινεῖ, ἔτι τρίτον τὸ κινούμενον, τὸ δὲ κινοῦν διττόν, τὸ μὲν ἀκίνητον, τὸ δὲ κινοῦν καὶ κινούμενον, ἔστι δὴ τὸ μὲν ἀκίνητον τὸ πρακτὸν ἀγαθόν, τὸ δὲ κινοῦν καὶ κινούμενον τὸ ὀρεκτικόν (κινεῖται γὰρ τὸ κινούμενον ᾗ ὀρέγεται, καὶ ἡ ὄρεξις κίνησίς τίς ἐστιν, ἡ ἐνεργείᾳ), τὸ δὲ κινούμενον τὸ ζῷον· ᾧ δὲ κινεῖ ὀργάνῳ ἡ ὄρεξις, ἤδη τοῦτο σωματικόν ἐστιν182
In questo caso, non è possibile alcuna identificazione tra motore mobile e mezzo di locomozione, dal momento che il primo è una facoltà della ψυχή, mentre il secondo è definito σωματικόν. Come si è visto, il ruolo dell’ὀρεκτικόν non è quello di semplice mediatore dell’impulso cinetico, ma è quella facoltà che consente la rielaborazione dell’impulso esterno, di tipo percettivo/rappresentativo, in un impulso interno al movimento, di tipo appetitivo e quindi cinetico. Un siffatto motore non ha nessun valore strumentale; al contrario, è esso stesso (la ὄρεξις nel testo) ad avvalersi di qualcosa di ὀργανικόν: ma se non è possibile ridurre il motore mobile allo “strumento” – come pare evidente – allora non c’è totale sovrapponibilità tra lo schema della Fisica e quello del De Anima. O meglio: anche in questa sede Aristotele impiega il modello relazionale motore immobile – motore mobile – mobile non motore che compare ogniqualvolta si debba spiegare il rapporto tra soggetto motore e oggetto mosso, qualunque sia il suo statuto ontologico e metafisico; tuttavia, dal momento che il caso particolare dell’anima si caratterizza per l’interazione di elementi corporei ed elementi incorporei (facoltà dell’anima), in sede psicologica tale schema necessita di essere arricchito di un quarto agente, che renda tale interazione possibile183.
Come è già stato detto, l’ὄργανον in questione viene descritto nel De Motu, proprio come le righe di DA immediatamente successive a questo passaggio annunciano184. È ragionevole
181
ROSS 1936, 699, propone infatti di accostare, nel passo sopra citato, “ciò che è mosso ma non possiede il principio di movimento” al reame degli ἄψυχα e “ciò che è mosso non da altro, bensì da se stesso” all’insieme degli ἔμψυχα: nulla nel testo rende questa interpretazione necessaria alla comprensione del significato, in ragione di quel tono molto astratto e generalizzante di cui si è detto (anche perché, non è detto che nessuno degli esseri inanimati possa essere motore, anche solo contro la propria natura, come nel caso della leva che solleva il peso a Θ.4.255a21-22); ciononostante, è chiaro come tale identificazione sia certamente corretta e possibile in linea generale: cf. GA IV.10.777b17-778a4, GC II.10.336a23-b5 e da ultimo anche Phys. Θ.6.258b16-259a6.
182 433b13-18: “Poiché ci sono tre cose: una il motore, la seconda ciò con cui muove, la terza ciò che è mosso e il motore è duplice: uno immobile, l’altro motore e mosso, il motore immobile è allora il bene che è oggetto dell’azione, il motore mosso è la facoltà appetitiva (giacché ciò che è mosso, è mosso in quanto appetisce, e la tendenza è una specie di movimento o un’attività), e ciò che è mosso è l’animale, mentre lo strumento con cui la tendenza muove è senz’altro corporeo” (tr. Movia)
183
Questa necessità, ovviamente, è un portato dell’ilemorfismo psicologico difeso da Aristotele nel trattato: infatti, sull’argomento si tornerà nuovamente nel capitolo III, dedicato appunto all’ilemorfismo del De Motu.
184
aspettarsi, quindi, qualcosa di molto simile anche in MA, in ragione della perfetta complementarietà dei due progetti; ma è anche ragionevole supporre che nella prima parte del trattato il nostro schema venga utilizzato per spiegare il rapporto tra motore e mobile nell’ambito della dimostrazione delle due leggi meccaniche fondamentali.
Dopo l’affermazione iniziale relativa alla dipendenza di tutti i movimenti dal motore primo per tramite della mediazione dell’automotore (perfettamente in linea con quanto si è appena visto a proposito di Phys. Θ), Aristotele applica di fatto il modello del semovente di Θ.5 alla dimostrazione del primo principio meccanico del punto d’appoggio interno. Nell’ambito della dimostrazione relativa al secondo principio, invece, dal momento che il punto d’appoggio è assolutamente esterno e diverso dal sistema di movimento, dobbiamo piuttosto pensare ad un motore immobile; quanto viene detto a proposito della sfere celeste nell’ambito dell’excursus cosmologico, specie in relazione alla confutazione del μῦθος di Atlante, non sembra essere particolarmente d’aiuto al nostro scopo; alla fine del discorso sulla seconda legge meccanica, a MA 4.700a16ss.185, si ripresenta di nuovo la dimostrazione della catena gerarchica che coinvolge mobili non motori, automotori e motore primo (presentato in questo caso con atipica vaghezza e incertezza, ma forse solo perché non è tra gli obiettivi di MA dimostrare alcunché sul Motore Immobile). Il primo, vero riferimento al modello tripartito è alla fine di MA 6, nel già menzionato passo immediatamente successivo alla comparazione tra πρώτως ἀγαθόν e ἀγαθόν del reame sublunare:
τὸ μὲν οὖν πρῶτον οὐ κινούμενον κινεῖ, ἡ δὲ ὄρεξις καὶ τὸ ὀρεκτικὸν κινούμενον κινεῖ. τὸ δὲ τελευταῖον τῶν κινουμένων οὐκ ἀνάγκη κινεῖν οὐθέν.186
Non siamo ancora nel vivo della discussione sul principio motore dell’animale, pertanto il discorso aristotelico è decisamente vago: in particolare, se è certo a cosa corrispondano il motore mobile e il mobile τελευταῖον, rimane per ora abbastanza oscuro il relatum di τὸ πρῶτον, del motore immoto. Le identificazioni possibili non sono più di due: da una parte la ψυχή, dall’altra l’ὀρεκτόν: stando al modello appena menzionato di DA Γ.10, l’identificazione più plausibile dovrebbe essere con il secondo; tuttavia, la riserva non è affatto sciolta da Aristotele nel corso del trattato, anzi la dicotomia tra oggetto del desiderio e anima quali motori immobili sembra solo amplificarsi e complicarsi. Entrambi vengono descritti nel corso del trattato come motori immobili e motori primi, cosicché risulta davvero arduo ridurre ad un unico concetto due enti così diversi tra loro. Un secondo problema è poi rappresentato dalla mancanza di ogni pur minimo riferimento all’ὄργανον il cui studio in questo trattato era stato annunciato in DA Γ. Quest’ultima questione rappresenta, in realtà, solo un falso problema: è
185 πάντα γὰρ ὑπ’ ἄλλου κινεῖται τὰ ἄψυχα, ἀρχὴ δὲ πάντων ὁμοίως τῶν οὕτως κινουμένων τὰ αὐτὰ αὑτὰ κινοῦντα. τῶν δὲ τοιούτων περὶ μὲν τῶν ζώιων εἴρηται· τὰ γὰρ τοιαῦτα πάντα ἀνάγκη καὶ ἐν αὑτοῖς ἔχειν τὸ ἠρεμοῦν καὶ ἔξω πρὸς ὃ ἀπερείσεται. εἰ δέ τί ἐστιν ἀνωτέρω καὶ πρῶτον κινοῦν, ἄδηλον, καὶ ἄλλος λόγος περὶ τῆς τοιαύτης ἀρχῆς. 186
probabile che in questa sezione del trattato Aristotele sia maggiormente concentrato sulla presentazione delle facoltà psicologiche coinvolte nel meccanismo di locomozione e sulle loro proprietà essenziali alla realizzazione della κίνησις κατὰ τόπον; di certo, un tale strumento corporeo andrà cercato nell’ultima parte del De Motu (dalla metà del capitolo 7 in poi), in cui il dato fisiologico e maggiormente ancorato alle realtà corporee che animano il processo di locomozione emerge con maggior costanza e significatività187.
La difficoltà relativa al motore immobile dell’essere animato, invece, è particolarmente insidiosa in quanto reca con sé un grosso problema di ordine psicologico ed etico (nel caso degli esseri umani). Risolvere il dilemma in una direzione o in un’altra comporta, infatti, un’interpretazione in termini gerarchici, che assegna una priorità all’uno piuttosto che all’altro dei due motori e che lascia all’essere animato un maggiore o minore spazio di indipendenza e “protagonismo” nella decisione di accordare o meno l’assenso all’oggetto di desiderio. Detto in termini più semplici, la domanda che ci si pone è questa: è l’oggetto esterno a plasmare e determinare la ὄρεξις del soggetto, in un certo senso ad imporre le proprie caratteristiche all’attenzione e al desiderio dell’animale, o è il soggetto con la sua facoltà appetitiva a rielaborare le caratteristiche di un oggetto esterno di per sé neutro, in maniera tale da renderlo desiderabile (o non desiderabile) per il soggetto in una determinata situazione e in vista di un determinato obiettivo? Sostenitori di questa seconda ipotesi sono S. Sauvé Meyer188, M. Canto- Sperber189 e più recentemente Corcilius e Gregoric (sebbene si mostrino meno scettici riguardo alla possibilità che l’oggetto esterno in sé e per sé giochi comunque un ruolo non trascurabile ai fini dell’elaborazione del desiderio)190
; invece, R. Richardson191, J.-L. Labarrière192 e D. Charles193 hanno proposto di rivalutare positivamente la prima ipotesi. Quello che si cercherà di fare ora è, quindi, esaminare alcuni luoghi di MA e DA per capire se essi siano in accordo o meno su questo argomento e quale possa essere più plausibilmente la posizione di Aristotele in merito. Partiamo allora dal De Motu.
187
Come già anticipato, si affronterà l’argomento dell’identificazione di questo ὄργανον nel capitolo III, dedicato alla dottrina ilemorfica del De Motu.
188
Nel suo contributo pubblicato in GILL-LENNOX 1994, 65-80. 189
CANTO-SPERBER 1997.
190 CORCILIUS-GREGORIC 2013, 76 e 92; entrambi, poi, si esprimono in questi termini nei capitoli da loro firmati in PRIMAVESI-RAPP FORTH. Diversamente invece in CORCILIUS 2008, 268-270, dove il critico si esprime piuttosto per l’irriducibilità del dualismo e per l’impossibilità di dare una risposta univoca a quale sia il motore dell’animale. è da dire anche, però, che nel volume del 2008 Corcilius sta considerando la dialettica tra ὀρεκτόν e ὀρεκτικόν, mentre nei lavori successivi parla di ὀρεκτόν da un lato e ψυχή, in qualità di motore immobile, dall’altro; per questo, nel lavoro del 2008 può sostenere la sovrapponibilità degli schemi di Phys. Θ e DA, mentre altrove tale sovrapposizione non viene ulteriormente riproposta.
191
Nell’articolo presentato in NUSSBAUM-RORTY 1992, 381-399. Nella stessa direzione va, in una certa misura, anche il contributo di C.A. Freeland, «Aristotle on Perception, Appetition, and Self-Motion» in GILL-LENNOX 1994, 35-63, con il suo c.d. “Final Cause Escape”.
192
LABARRIÈRE 1997, partic. 111-113, in risposta a CANTO-SPERBER 1997 che, adottando una interpretazione esclusivamente “desiderantista” di DA Γ.10 nega che tanto l’intelletto quanto l’ὀρεκτόν abbiano un ruolo significativo in questo processo.
193
Come si è detto, la dicotomia tra i due motori in questo trattato sembra essere irrisolvibile. Nel già citato capitolo 6, quando Aristotele descrive le caratteristiche delle facoltà psicologiche coinvolte nella produzione della locomozione e dei loro rispettivi oggetti, il filosofo parla anche dell’oggetto del desiderio e di quello del pensiero come strettamente implicati in questo processo: a proposito dei “motori” dell’essere animato, lo Stagirita dice che tutti si lasciando ricondurre o alla ὄρεξις o al νοῦς, i quali – esattamente come in DA Γ.10-11 – sono i veri protagonisti della locomozione, essenzialmente costituita di un aspetto/momento cognitivo e di uno appetitivo194; e poi conclude: ὥστε κινεῖ πρῶτον τὸ ὀρεκτὸν καὶ τὸ νοητόν195. Il che è perfettamente coerente con quanto poi viene ribadito più avanti: Ἀρχὴ μὲν οὖν, ὥσπερ εἴρηται, τῆς κινήσεως τὸ ἐν τῶι πρακτῶι διωκτόν τε καὶ φευκτόν196
. Poco più avanti, però, Aristotele parla anche di ἀρχὴ τῆς ψυχῆς ἡ κινοῦσα197, di una ἀρχὴν τῆς ψυχῆς τῆς κινούσης198, e in generale si parla di una ἀρχὴ ψυχική collocata nella stessa sede centrale occupata dal cuore, pur non essendo essa alcunché di corporeo: queste proposizioni ed espressioni, dunque, inducono a ritenere maggiormente che l’ἀρχή del movimento animale sia proprio l’anima, non da ultimo in quanto essa è la responsabile di entrambi gli aspetti dell’evento locomotorio: di quello cognitivo, la cui sede è il cuore, e di quello appetitivo, la cui diretta conseguenza sono le alterazioni termiche in sede centrale (περὶ τὴν καρδίαν) che si riverberano poi sul pneuma (ἐπεὶ δ’ ἡ ἀρχὴ τοῖς μὲν ἐν τῆι καρδίαι τοῖς δ’ ἐν τῶι ἀνάλογον, διὰ τοῦτο καὶ τὸ πνεῦμα τὸ σύμφυτον ἐνταῦθα φαίνεται ὄν199). Va da sé che l’anima in queste occorrenze vada intesa come motore immobile dell’essere animato, per questo motivo in competizione con l’oggetto del desiderio, che presenta anch’esso questa caratteristica.
A ben vedere, però, anche nel De Anima questa dialettica tra i due motori immobili esiste, anche se, nel passo poco sopra citato, Aristotele non la porta all’attenzione del lettore. Se, infatti, a 433b13ss. il filosofo assegna all’ὀρεκτόν il ruolo di motore immobile nello schema quadripartito, non bisogna assolutamente dimenticare quei luoghi in cui è la ψυχή ad essere accostata a tale definizione. Una lunga discussione è dedicata alla confutazione della dottrina dell’anima motrice in quanto semovente (DA A.3.405b31-407b11), e la sua conclusione è molto perentoria: κατὰ συμβεβηκὸς δὲ κινεῖσθαι, καθάπερ εἴπομεν, ἔστι, καὶ κινεῖν ἑαυτήν, οἷον κινεῖσθαι μὲν ἐν ᾧ ἐστι, τοῦτο δὲ κινεῖσθαι ὑπὸ τῆς ψυχῆς· ἄλλως δ' οὐχ οἷόν τε κινεῖσθαι κατὰ τόπον αὐτήν.200 194
Sulla natura composita di ciascun evento locomotorio, e sulla precisione con cui questo dato viene presentato a
MA 6-8, cf. CORCILIUS 2008, 259ss. 195 700b24-25. 196 701b33-34. 197 702a32. 198 702b16. 199 703a14-16. 200
408a30-35: “Tuttavia, come si diceva, è possibile che sia mossa e che muova se stessa accidentalmente, e cioè che si muova nel corpo in cui si trova e che questo venga mosso dall’anima. Un diverso moto locale dell’anima non è
Anche nel De Anima, dunque, i motori immobili sono due: la ψυχή intesa secondo la sua definizione, ovvero come causa formale e finale dell’ἔμψυχον σῶμα che le è strumentale, e l’oggetto del desiderio, che è totalmente esterno rispetto all’anima stessa, nonostante le due facoltà percettive e cognitive concorrano a rielaborarne il profilo in un modo che sia significativo per la ὄρεξις animale201.
Parte della critica ha visto, appunto, come problematica questa dialettica ψυχή-ὀρεκτόν nel ruolo di motore immobile e, come si è accennato, ha tentato di risolverla a vantaggio della prima e ridimensionando moltissimo l’importanza dell’oggetto esterno, ora ridotto ad una sorta di “prolungamento” della condizione interiore dell’anima rispetto all’equilibro naturale che cerca di stabilire e preservare tramite la ὄρεξις202, ora invece considerato come nulla più di una causa “accidentale” del movimento animale203. Ma c’è da chiedersi se una tale operazione sia
realmente necessaria, e se non esista una via più semplice per appianare questa difficoltà. Essa consisterebbe, per l’appunto, nell’ammettere che non sia possibile spiegare il movimento dell’anima riducendone la causa ad un unico motore primo. Il fenomeno della locomozione, infatti, è essenzialmente caratterizzato da una interazione con il mondo esterno, dal quale trae i contenuti necessari all’attivazione delle facoltà dell’anima coinvolte nella produzione della κίνησις. Come lo stesso Aristotele si trova in contesti diversi – e in vista di obiettivi argomentativi diversi – a sottolineare, la completa autonomia operativa dell’anima rispetto alle funzioni vitali dell’essere vivente deve comunque confrontarsi con l’ambiente esterno204. Come lo stesso Corcilius ha affermato, non è possibile né immaginare degli oggetti del desiderio che non siano rilevanti per il soggetto animato, le cui caratteristiche sono quindi esaminate e rielaborate dall’anima per trarne dei contenuti significativi per la locomozione (un
201
CORCILIUS 2008, 112 spiega bene come non ci sia reale contraddizione tra le due proposizioni: l’anima intesa quale ente complesso composto di parti rimane sempre e comunque immota, nonostante l’ὀρεκτικόν, una delle sue facoltà, sia un motore immobile: questo perché la facoltà appetitiva non è una parte o un principio dell’anima, ma ne è solamente una “Leistung”, della quale l’anima si serve (ausüben) strumentalmente per espletare la propria causalità motrice: infatti, l’appetizione è un evento che si origina a partire dall’attività della percezione, questa sì una vera parte dell’anima, dalla quale il desiderio non risulta indipendente e quindi separabile – per questa ragione, Corcilius gli nega lo statuto di vera e propria “parte” dell’anima; cf. su questo anche Corcilius-Gregoric 2010, che individua un ottimo criterio di determinazione di quelle componenti dell’anima che meritano correttamente la definizione di μέρος. 202
Come in CORCILIUS-GREGORIC 2013, 76: “the unextended and unmoved internal supporting point of animal motion is the inner representation of the goal of the animal’s motion, what the animal ‘has in mind’, as it were, when