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La dimostrazione delle due leggi meccaniche fondamentali

Come si è già più volte ricordato, le due leggi meccaniche fondamentali (relative al punto d’appoggio immobile interno ed esterno) sono enunciate e dimostrate nei primi due capitoli di MA.

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Per un’introduzione generale ma chiara alla questione, cf. l’articolo di G.E.L. Owen, «Aristotelian Mechanics», 227-245, in GOTTHELF 1985 e, più di recente, l’intervento di I. Bodnár, «The mechanical principles of animal

Argomentando a proposito della prima legge, lo Stagirita propone l’esempio in assoluto più significativo, quello che sostiene tutto il complesso argomentativo del trattato, anche nella sua sezione prettamente fisiologica: è l’esempio della καμπή, la quale viene definita nei seguenti termini:

ὥσπερ γὰρ κέντρωι χρῶνται ταῖς καμπαῖς καὶ γίγνεται τὸ ὅλον μέρος, ἐν ὧι ἡ καμπή, καὶ ἓν καὶ δύο καὶ εὐθὺ καὶ κεκαμμένον, μεταβάλλον δυνάμει καὶ ἐνεργείαι διὰ τὴν καμπήν. καμπτομένου δὲ καὶ κινουμένου τὸ μὲν κινεῖται σημεῖον τὸ δὲ μένει τῶν ἐν ταῖς καμπαῖς94

Il funzionamento di questo meccanismo viene ulteriormente chiarito per mezzo di una schematizzazione geometrica dei rapporti di forza (stasi e moto) in campo fra le varie componenti della zona complessivamente identificata con l’articolazione; tale schematizzazione geometrica si avvale di un preciso stratagemma, coerentemente esplicitato dal filosofo, consistente nel ridurre le grandezze fisiche degli elementi che compongono l’articolazione reale a dei semplici punti geometrici collegati tra loro da raggi e diametri, così da raffigurare il complesso della καμπή attraverso una circonferenza95; questa la spiegazione offerta dallo Stagirita:

ὥσπερ ἂν εἰ τῆς διαμέτρου ἡ μὲν Α καὶ ἡ Δ μένοι, ἡ δὲ Β κινοῖτο, καὶ γίνοιτο ἡ ΑΓ. ἀλλ’ ἐνταῦθα μὲν δοκεῖ πάντα τρόπον ἀδιαίρετον εἶναι τὸ κέντρον, καὶ γὰρ τὸ κινεῖσθαι, ὥς φασι, πλάττουσιν ἐπ’ αὐτῶν, οὐ γὰρ κινεῖσθαι τῶν μαθηματικῶν οὐθέν, τὰ δ’ ἐν ταῖς καμπαῖς δυνάμει καὶ ἐνεργείαι γίγνεται ὁτὲ μὲν ἕν, ὁτὲ δὲ διαιρεῖται.96

Mediante la raffigurazione del movimento realizzato dall’articolazione in forma di angolo (del quale il raggio AB rappresenta la posizione di quiete di partenza, precedente il moto, e il raggio AC la posizione di quiete d’arrivo, successiva al moto, a sua volta quantificabile nell’ampiezza dell’angolo con centro in A) Aristotele rende perfettamente l’idea stando alla quale ogni tipo di movimento locale è possibile quando si dà un elemento che, pur rimanendo fermo, sia responsabile dell’innesco del movimento. È infatti il caso del punto A, che appartiene tanto al raggio DA (fermo) quanto al raggio AB (in movimento, che diventa poi AC). Mediante la rappresentazione di A quale estremo di entrambi i raggi che raffigurano il moto di traslazione, Aristotele rende comprensibile come, nell’articolazione, qualcosa possa essere al contempo uno

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698a18-22: “Infatti, se ne [scil. delle articolazioni] servono come di un centro, e l’intera parte in cui è situata l’articolazione è sia uno sia due, sia retto sia curvo, cambiando in potenza e in atto per mezzo dell’articolazione stessa. Quando si incurva e si muove, uno dei punti che stanno nelle articolazioni si muove, e l’altro resta fermo”. 95

Il διάγραμμα raffigurante questo schema è tradito solo dal ramo rappresentato da α, come nota Primavesi nell’apparato ad loc. Da notare come una delle proprietà caratteristiche dell’articolazione fisica (e non del suo omologo geometrico) è quella di essere uno in potenza ma molteplice in atto: è infatti la proprietà che tornerà con maggiore frequenza nell’ambito dell’argomentazione relativa alla spiegazione fisiologica del moto animale, ed è anche quella che consente di definire il luogo in cui risiede l’ἀρχή psicologica come un μέγεθος e non una στιγμή: cf.

MA 9.702b30-31.

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698a22-698b1: “come se nel diametro DB i punti D ed A rimanessero fermi mentre il punto B si muovesse, generando il raggio AC. Tuttavia, in questo esempio, il centro sembra essere assolutamente indivisibile; del resto, con i punti – dicono – il movimento possono solo figurarselo, dato che nessuno degli enti matematici si muove; invece, i punti nelle articolazioni ora sono uno, ora si dividono in due”.

e due, termine di un raggio e inizio dell’altro; inoltre, come sottolinea Corcilius nella sua nota a commento di queste righe97, il diagramma chiarisce perfettamente anche come il fatto di essere in potenza uno e in atto due trovi realizzazione nel momento stesso della produzione del movimento: quando, infatti, l’articolazione è in tensione perché l’arto si sta piegando, essa è in realtà equivalente a due punti distinti (ad esempio, essa è “sowohl den Endpunkt des Oberarms als auch den Anfangspunkt des gebeugten Unterarms”98

), pur essendo in potenza uno (in un altro momento, quello del rilassamento dovuto all’assenza di moto): idealmente, si potrebbe meglio immaginare questa situazione dividendo trasversalmente la circonferenza in due semicirconferenze, lungo l’altro diametro passante per A, e ponendo poi la semicirconferenza di DA come equivalente all’Oberarm dell’esempio di Corcilius e quella contenente i raggi AB e AC come equivalente all’Unterarm piegato99. L’impiego della circonferenza in questa

rappresentazione aiuta anche a spiegare un altro concetto, strettamente correlato a questo e molto importante: le componenti dell’articolazione, anche quando sono piegate e quindi sono in atto due, rimangono sempre e comunque un’unità spaziale, indivisibile non solo sotto il profilo concettuale: la visualizzazione di questo complesso di componenti per tramite di una circonferenza e dei suoi punti notevoli è molto utile a rendere non solo lo svilupparsi dei movimenti entro questo nucleo, ma anche l’unitarietà che il nucleo stesso conserva nel realizzare quei movimenti. Sembra quindi che la rappresentazione geometrica proposta in questo passo da Aristotele serva a rendere in maniera “visualmente” semplice un concetto molto difficile da afferrare in astratto, ovvero la duplice valenza di un medesimo luogo nell’articolazione (uno-due; quiete-movimento nel contesto dell’inscindibilità spaziale). L’utilità del modello geometrico viene poi disambiguata, nel senso che si chiarisce il carattere simbolico della rappresentazione stessa, che rende un μέγεθος con una στιγμή100.

Ancora più interessante, poi, risulta la dimostrazione della seconda legge101, in quanto essa richiede l’impiego di un maggior numero di puntelli argomentativi tratti da molti e diversi ambiti. Molto intuitivo è il primo esempio, quello dei topi che incedono nella pece102, mentre risulta più interessante soffermarsi sulla seconda, composita immagine della barca. Nella prima parte della dimostrazione, viene evocato il caso della barca messa in movimento da un κοντός:

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Corcilius in PRIMAVESI-CORCILIUS 2018 ad loc., 73-76.

98 Corcilius in PRIMAVESI-CORCILIUS 2018 ad loc., 74. Per maggiore chiarezza, si vedano anche le sue precisazioni a 158: “Aristoteles versteht die Gelenke nämlich als strukturell aus zwei Punkten bestehend, einem Punkt, der das bewegte Endstück des bewegten Glieds ist, und einem, der der unbewegte Ausgangspunkt ist, an dem das bewegte Glied »aufgehängt« ist. Dabei ist »oben« nicht im absoluten Sinne (im Sinne der kosmischen Dimensionen), sondern funktional im Sinne der größeren Nähe zum absoluten Ausgangspunkt der Bewegung des Lebewesens zu verstehen”. 99

Sul fatto che A si trovi quindi a essere sia motore sia in movimento, e quindi duplice all’atto pratico, è segnalato anche da Rapp nel primo capitolo di PRIMAVESI-RAPP FORTH.: “the movement of point has some indirect impact regarding a further differentiation of the centre point A into moved and unmoved points, since the movement of pont B implies the movement of the entire line segment AB”.

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Sulle potenzialità e i limiti esplicativi di questa immagine, cf. anche Bénatouïl in LAKS-RASHED 2004, 97-98. 101

Sulle modalità con cui essa si distingue dalla prima, e in particolare su come serva ad estendere il titolo di motore a qualcosa di diverso dall’anima (che, pur non essendo interna al corpo nel senso stretto del termine, comunque in qualche modo si trova ad essere in esso), cf. Corcilius in PRIMAVESI-CORCILIUS 2018 ad loc., 78-79.

μαρτύριον δὲ τούτου τὸ ἀπορούμενον, διὰ τί ποτε τὸ πλοῖον ἔξωθεν μὲν ἄν τις ὠθῆι τῶι κοντῶι τὸν ἱστὸν ἤ τι ἄλλο προσβάλλων μόριον κινεῖ ῥαιδίως103

Lo scenario qui evocato sembra essere quello di una barca ormeggiata con un uomo che, stando sulla terraferma, imbraccia un palo e lo punta contro l’albero o un’altra componente della barca: vi esercita poi pressione e in questo modo spinge la barca senza entrarvi. Questa immagine veicola bene alcune delle idee più importanti collegate all’enunciazione della seconda legge: 1) il soggetto che muove la barca si trova fuori dal sistema di movimento (rappresentato dalla barca stessa) e non ne rappresenta nessuna parte o componente, in quanto si distingue dal mobile “come un intero da un intero” – il che significa che esso non costituisce più con il mobile una unità spaziale, come nel caso della καμπή: al contrario, motore e mobile sono anche spazialmente separati e distinti; 2) come in quello dell’animale che incede, anche in questo caso è la terraferma a fornire il punto d’appoggio/resistenza che consente di articolare il movimento di spinta, nonostante in senso stretto il motore sia rappresentato dall’uomo che imbraccia il palo e che poggia sulla terraferma. Questo dato si rivela di vitale importanza ai fini della comprensione del ruolo giocato dal punto d’appoggio esterno e della sua stessa caratterizzazione quale motore, come si vedrà a breve.

Il secondo parallelo proposto da Aristotele è con due figure mitologiche, il gigante Tizio e Borea, raffigurazione antropomorfica del vento che spira da Nord104:

ἐὰν δ’ ἐπ’ αὐτῶι τις ὢν τῶι πλοίωι τοῦτο πειρᾶται πράττειν, οὐκ ἂν κινήσειεν οὐδ’ ὁ Τιτυός, οὐδ’ ὁ Βορέας πνέων ἔσωθεν ἐκ τοῦ πλοίου, εἰ τύχοι πλέων τὸν τρόπον τοῦτον ὅνπερ οἱ γραφεῖς ποιοῦσιν· ἐξ αὐτοῦ γὰρ τὸ πνεῦμα ἀφιέντα γράφουσιν.105

Questo paragone serve forse ad illustrare meglio il fatto che la presenza di un motore interno al sistema sia condizione necessaria ma non sufficiente all’innesco del movimento: Borea, cioè, spirando ἐξ αὐτοῦ106, fungerebbe ancora una volta da motore interno al mobile; ma un vento che soffia dentro la medesima barca che deve essere mossa non riuscirà in alcun modo a spostarla, in quanto il soffio del vento inevitabilmente si volgerà verso una direzione inadatta a spostare il mobile: infatti, in ogni caso il soffio prenderà la direzione interno-esterno, mentre è necessario, per muovere la barca, che esso vada nell’opposta direzione esterno-interno – il che è però

103 698b21-23: “Prova di ciò è il seguente problema: perché mai uno muove la barca molto facilmente se spinge l’albero con il palo o esercita pressione su qualche altra sua parte dall’esterno”.

104 Una dettagliata ricostruzione dei possibili referenti storico-artistici di questa frase si trova nella nota di commento di NUSSBAUM 1978 ad loc., 288-290: la studiosa cita i numerosi luoghi letterari che vedono protagonista Borea, e indica in un vaso di Zeusi menzionato anche in Luciano (Tim. 54), che potrebbe addirittura essere quello che Aristotele aveva in mente nello scrivere questo passo; in particolare, sulle modalità con cui Borea viene raffigurato, la studiosa scrive: “There is no record of any painting of Boreas in a boat; but he is usually shown blowing from within himself.” (290 ad loc). La studiosa discute anche, confutandola, la proposta di Torraca (40, n. 3) di correggere Τιτυός con Κίρκιος sulla base del latino, giustamente rilevando l’inutilità e anche la scorrettezza di una simile correzione. 105

698b23-27: “ma, se prova a compiere questa operazione stando dentro la barca medesima, non la muoverebbero né Tizio né Borea, nemmeno se quest’ultimo spirasse dall’interno della barca – trovandosi cioè a navigare nel modo in cui i pittori lo raffigurano: infatti dipingono il soffio diffondersi proprio dalla barca”.

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Con spirito dolce nell’edizione Primavesi, che sottintende un τοῦ πλοίου, mentre nelle edizioni precedenti compariva con lo spirito aspro, e quindi in riferimento a Borea stesso.

possibile solo se Borea spira dall’esterno del sistema di movimento107

, appoggiandosi ad un qualche punto esterno. Anche nel caso della menzione di Tizio e di Borea (quest’ultimo agganciato a una tradizione di arte figurativa data per scontata da parte del lettore), un referente di immediata comprensione e dalla forte potenzialità evocativa riesce a tradurre in un linguaggio chiaro ed auto-evidente i limiti (di per sé non auto-evidenti) di un modello meccanico che prescinda, nella spiegazione del moto, dal punto di riferimento esterno ed immobile.

Successivamente, è lo stesso Aristotele a concludere la sua dimostrazione con un’enunciazione definitiva sul perché almeno un punto d’appoggio deve essere esterno al mobile

:

ἀνάγκη πρῶτον μὲν πρὸς ἠρεμοῦν τι τῶν αὑτοῦ μορίων ἀπερειδόμενον ὠθεῖν, εἶτα πάλιν τοῦτο τὸ μόριον, ἢ αὐτὸν οὗ τυγχάνει μόριον ὄν, πρὸς τῶν ἔξωθέν τι ἀποστηριζόμενον μένειν. ὁ δὲ τὸ πλοῖον ὠθῶν ἐν τῶι πλοίωι αὐτὸς ὢν καὶ ἀποστηριζόμενος πρὸς τὸ πλοῖον εὐλόγως οὐ κινεῖ τὸ πλοῖον διὰ τὸ ἀναγκαῖον εἶναι πρὸς ὃ ἀποστηρίζεται μένειν. συμβαίνει δ’ αὐτῶι τὸ αὐτὸ ὅ τε κινεῖ καὶ πρὸς ὃ ἀποστηρίζεται.108

Ci si potrebbe chiedere se l’impiego degli avverbi πρῶτον e εἶτα πάλιν in relazione rispettivamente al punto interno e a quello esterno alluda a una priorità non solo cronologica del primo sul secondo; in realtà, però, l’affermazione successiva sembra negare una lettura forte dell’uso di tali avverbi: questa asserzione implica infatti che il punto d’appoggio primariamente necessario al verificarsi della locomozione non deve in alcun modo andare incontro a movimento, e quindi deve essere del tutto esterno al mobile e diverso da esso.

A conclusione dell’analisi di questi primi due esempi è possibile ricapitolare l’insieme delle proprietà dei due motori/punti d’appoggio qui presi in considerazione. Il punto d’appoggio interno deve presentare queste caratteristiche: (1) deve poter passare dall’essere uno in potenza all’essere duplice in atto e viceversa; (2) parallelamente e in conseguenza di ciò, deve essere un motore di natura composita, ovvero in parte immobile e in parte mobile: ciò consegue sia direttamente dalla prima proprietà elencata (in quanto per definizione l’articolazione è una parte che è sia in quiete sia in movimento), sia dal fatto che, in quanto elemento interno al sistema del mobile, partecipa esso stesso al movimento che contribuisce a innescare, quand’anche solo incidentalmente; pertanto, la καμπή fornisce una rappresentazione esemplare di quella che deve essere la struttura del semovente così come è concepito in Phys. Θ.5.257a27ss.; (3) nonostante queste proprietà, deve poter essere riconoscibile come una unità spazialmente inscindibile. Il

107 Anche se Aristotele non approfondisce il caso di Tizio, è chiaro che anche la sua spinta, se realizzata all’interno della barca stessa, prende la direzione scorretta (interno-esterno), che non porta da nessuna parte e non è fruttuosa ai fini della locomozione.

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699a3-9: “è necessario per prima cosa che il soggetto spinga appoggiandosi a una delle sue proprie parti in quiete; e poi ancora è necessario che questa parte, oppure colui di cui essa si trova ad essere parte, stiano fermi in virtù del loro appoggiarsi saldamente a qualcosa di esterno. È ragionevole che chi spinge la barca standoci lui stesso sopra e appoggiandosi alla barca medesima non riesca a muoverla, perché bisogna che il punto d’appoggio sia in quiete;

punto d’appoggio esterno, da parte sua, deve invece esibire le seguenti proprietà: (1) deve essere completamente e assolutamente esterno al sistema del mobile, non rappresentandone alcuna parte, ed anzi essendo anche spazialmente distinto da esso; (2) non deve possedere alcun ruolo attivo nella generazione del movimento: al contrario, si trova coinvolto in un meccanismo di azione-reazione in cui rappresenta il polo che offre mera resistenza alla forza esercitata dal mobile nell’articolare il movimento; (3) in quanto tale, deve trattarsi di un motore immobile, che appunto non patisce alcunché dalla forza esercitata dal mobile; (4) ancora più esplicitamente del punto d’appoggio interno, deve essere necessariamente presente affinché un movimento locale (di qualsiasi tipo) abbia luogo: esso costituisce, infatti, una condizione necessaria e imprescindibile nel processo di produzione di movimento, tolta la quale la stessa presenza di un motore interno risulta insufficiente.

Come chiusura di questa prima sezione è interessante confrontare questi due passi, in particolare i contenuti di MA 1, con quanto si legge in MA 9 a proposito della collocazione del principio psichico immobile e della sua relazione e interazione con il corpo animale di cui produce la locomozione. Dice Aristotele a tal proposito che la collocazione dell’ἀρχὴ τῆς ψυχῆς κινούσης deve trovarsi ἐν τῷ μέσῳ, precisamente dove ha sede l’αἰσθητικόν – il quale impersona il primo componente di quella catena di processi che porta dall’alterazione qualitativa al movimento locale vero e proprio109; come si è già avuto modo di ricordare nell’introduzione, il μέσον viene presentato come avente le medesime caratteristiche dell’articolazione corporea, nella fattispecie come in possesso della proprietà di essere uno in potenza ma molteplice in atto. Anche nel discutere di questo assunto Aristotele fa uso di un’immagine geometrica, anche in questo caso riprodotta in alcuni codici, in cui il centro è coincidente al punto A, e dal centro si dipartono due segmenti che vanno in opposte direzioni, AB e AC: ancora una volta, come nel caso dei raggi della circonferenza, questa immagine rappresenta in modo evidente – al netto dei limiti e delle difficoltà presentate dall’impiego del punto geometrico110 – come un medesimo elemento possa essere al contempo uno e molteplice,

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Qui Aristotele è molto rapido e stringato in quanto ha appena descritto quella catena che verrà studiata con maggiore dettaglio nel capitolo successivo, e i cui contenuti verranno brevemente ripresi anche più avanti in questo capitolo. Cf. Corcilius in PRIMAVESI-CORCILIUS 2018 ad loc., 159: “[…] führt Aristoteles nun (702b20 –25) an, dass die in Kapitel 7 ab 701b1 und bis Kap. 8, 702a21 geschilderte kausale Genese der Selbstbewegung ebenfalls vom Mittelpunkt des Lebewesens ihren Ausgang nimmt, nämlich von dort, wo das Wahrnehmungsvermögen lokalisiert ist (im Herzen). Denn von dort aus nehme, nachdem die Wahrnehmung zu einer qualitativen Veränderung führt, die automatisch ablaufende Prozesskette, die zur Bewegung des Lebewesens führt, ihren Anfang. Wie es scheint, möchte Aristoteles hier seine mechanische (auf dem Stützpunkttheorem basierende) Argumentation durch die kausale (physiologische) Ordnung der Dinge bestätigen”.

110 Per questo passaggio, cf. le precisazioni di Gregoric nel suo contributo a PRIMAVESI-RAPP FORTH.: “What is the relevant difference between a geometrical point (στιγμή) and a magnitude? The difference is that in geometry, point A can remain one single and undivided point while being used as both, that which is moved with B and that which is at rest with C. One should not think, however – and that is what Aristotle seems to be signalling here – that because one single geometrical point can have such two functions, there can be one single and undivided part of the body which serves as both the resting origin of motion and the first thing that is moved. In the physical world, if A is to be the origin that imparts motion to B, A has to become actually divided into two and remain one only in potentiality”.

in quanto il punto A (uno) appartiene a due segmenti diversi. Ma a questo punto lo Stagirita aggiunge: ἀλλὰ μὴν ἐνδέχεται καὶ τὸ Γ ἅμα κινεῖσθαι τῶι Β, ὥστε ἀνάγκη ἀμφοτέρας τὰς ἀρχὰς τὰς ἐν τῶι Α κινουμένας κινεῖν. δεῖ τι ἄρα εἶναι παρὰ ταύτας ἕτερον, τὸ κινοῦν καὶ μὴ κινούμενον· ἀπερείδοιντο μὲν γὰρ ἂν τὰ ἄκρα καὶ αἱ ἀρχαὶ αἱ ἐν τῶι Α πρὸς ἀλλήλας κινουμένων, ὥσπερ ἂν εἴ τινες τὰ νῶτα ἀντερείδοντες κινοῖεν τὰ σκέλη. ἀλλὰ τὸ κινοῦν ἄμφω ἀναγκαῖον 〈ἓν〉 εἶναι, τοῦτο δέ ἐστιν ἡ ψυχή, ἕτερον μὲν οὖσα τοῦ μεγέθους τοῦ τοιούτου, ἐν τούτωι δ’ οὖσα111 .

Ad una prima lettura, questa conclusione può sembrare spiazzante: come il discorso conclusivo del capitolo 8 sul rapporto tra articolazioni anatomiche animali e principio motore lasciava già presagire112, in queste righe emergono con maggior chiarezza e definitivamente i limiti del modello esplicativo della καμπή, che non può essere applicato con pieno successo anche all’ultimo step dell’argomentazione relativa al principio immobile interno all’animale. A ben vedere, però, l’impossibilità discende coerentemente dal ragionamento che si è sin qui condotto: in quanto principio motore collocato al centro del corpo, l’ἀρχὴ τῆς ψυχῆς deve essere in grado di presiedere a tutti i tipi di movimento realizzabili in natura; tra questi sono sicuramente compresi i movimenti simultanei della parte destra e sinistra del corpo animale; perché AB e AC si muovano in questo modo, tuttavia, la divisione di A in due non è più sufficiente; non è però possibile ipotizzare che A sia divisibile in più di due parti, così da consentire il movimento di due di esse con una terza a fungere da punto d’appoggio immobile113. Scartata questa possibilità, resta aperto solo lo scenario icasticamente paragonato al movimento di due uomini in movimento appoggiati l’uno sulla schiena dell’altro: l’esempio si lascia interpretare immaginando che i due individui tengano i piedi piantati sul suolo, vero punto d’appoggio (esterno al sistema)114

, e che la direzione del moto sia imposta da quello che esercita sull’altro una forza maggiore. Ma anche questa proposta è tutt’altro che soddisfacente. Resta, allora, solo la possibilità di postulare che l’ente che funge da punto d’appoggio non sia una grandezza né un corpo, ma piuttosto sia incarnato dalla ψυχή incorporea115: solo in questo

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702b32-703a3: “Ma è certamente anche possibile che A si muova contemporaneamente a B, da cui consegue di necessità che entrambi i principi posti in A muovano essendo essi stessi in movimento: deve allora esserci oltre a questi un altro ente che muova senza essere mosso. Altrimenti infatti i punti estremi e i principi posti in A si appoggerebbero gli uni agli altri, proprio come se due persone muovessero le gambe stando appoggiati schiena contro schiena. Invece, ciò che muove entrambi deve essere unico, e questo qual cosa è l’anima, che è altro dalla tale grandezza in cui pure si trova”.

112 Si veda a tal proposito quanto già detto in proposito nell’Introduzione, 20-25. 113

Per definizione un’articolazione, in quanto è un semovente, può essere costituita solo da un motore immoto e un mobile non motore. È vero, come sostiene Gregoric, che c’è il rischio di regresso all’infinito dividendo in più di due parti: però, un argomento più stringente contro questa possibilità sembra dato proprio dal fatto che l’animale perderebbe la sua irrefutabile natura di semovente se i suoi movimenti venissero regolati da una struttura cinetica diversa da quella per cui una parte è motore immoto e l’altra mobile non motore.

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Come si vede, non siamo qui in uno scenario comparabile alla struttura articolatoria, né in alcun modo compatibile con quella del semovente.