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Fallibilità delle società pubbliche e enti strumentali

Cap 2 Crisi e risanamento

2.14 Fallibilità delle società pubbliche e enti strumentali

Secondo l’orientamento tradizionale88, la società in controllo pubblico resta una società di capitali ai sensi degli artt. 2325 e ss., c.c., e in quanto tale deve seguire le disposizioni previste dalla disciplina privatistica, con integrale adozione dello statuto dell’imprenditore commerciale, ivi incluso l’assoggettamento alle procedure concorsuali,

86 Il controllo di gestione nelle amministrazioni pubbliche, cap. 5 ; Anselmi,Del

bene,Donato,Giovannelli,Marinò Zaccardi merli

87 Il marketing degli enti locali : criticità,strategie,operatività, cap 9 ; Cavallone,Colleoni

88 Inaugurato da Cass. , 10 gennaio 1979, n. 58, in Fall. , 1979, 593; più di recente sintetizzato da App.

Napoli, 15 luglio 2009, in Fall ., 2010, 69: “Il rilievo pubblico di alcune società di diritto privato

permette l’applicazione di determinati istituti di natura pubblicistica, in presenza di specifiche disposizioni di legge, ma non consente di qualificare l’ente come pubblico e di sottrarlo alla ordinaria disciplina codicistica ; ne consegue che se, in ambito concorsuale, manca una specifica disciplina che preveda l’applicabilità alle società in mano pubblica dell’esenzione dal fallimento propria degli enti pubblici, le stesse rimangono assoggettate a tale procedura, al pari delle altre società di diritto privato”.

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senza che possa incidere la natura pubblica del capitale, del patrimonio e dello scopo sociale (salvo per l’applicazione di disposizioni di legge speciale).

Tale indirizzo è venuto progressivamente a incrinarsi, sotto l’influsso dell’evoluzione

normativa che ha portato all’affermazione della nozione di impresa pubblica89; nozione

che valorizza gli aspetti sostanziali a discapito della veste formale sotto la quale l’impresa viene esercitata.

Approccio tipologico

Di qui, ha preso piede un diverso orientamento secondo il quale occorre indagare l’effettiva natura del soggetto e dell’oggetto delle attività esercitate, rilevando, in tale ottica, al di là della formale qualificazione in termini di persona giuridica privata, tanto il carattere strumentale o meno dell’ente societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche, quanto l’esistenza o meno di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, sintomatica della strumentalità della società rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche90.

In particolare, gli indici della natura sostanzialmente pubblica della società vengono ravvisati nello svolgimento della maggior parte dell’attività in favore (o per conto) dell’ente pubblico, nella mancata vocazione commerciale, nella limitazione dei poteri gestionali dell’organo amministrativo con contestuale attribuzione all’ente pubblico di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce al socio, nella sottoposizione delle decisioni di maggior rilievo all’ente pubblico, nell’erogazione, da parte dell’ente pubblico di controllo o di altri enti pubblici, di risorse finanziarie ulteriori e diverse rispetto al conferimento del capitale sociale (semplicemente sembrerebbero ricondurre la questione alle c.d. società in house e/o società strumentali)

Pertanto - in applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma – si afferma che, coesistendo una pluralità dei predetti elementi sintomatici (da accertarsi caso

89 art. 2, Direttiva n. 80/723/CEE del 25 giugno 1980, per il quale si intende per impresa pubblica ogni

impresa nei cui confronti i poteri pubblici (id est: Stato e altri enti territoriali) possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante.

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per caso), la società non può considerarsi un soggetto di diritto privato, bensì tout-court un ente pubblico e, per tale via, soggetto all’intero statuto degli enti pubblici e dunque riconducibile ai soggetti esclusi ai sensi dell’art. 1, l. fall.91 , a mente del quale “sono

soggetti alle disposizioni sul fallimento […] gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici”.

Si tratta di un orientamento che ha tratto conforto dal diritto comunitario e dalla nozione di “organismo di diritto pubblico” in tale ambito elaborata92, e recepita all’art. 3, comma 26, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ove si specifica che per organismo di diritto pubblico deve intendersi “qualsiasi organismo, anche in forma societaria:

- istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;

- dotato di personalità giuridica;

- la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico93.

Dunque, una nozione del tutto svincolata da qualificazioni formali, tanto da richiedere la personalità giuridica indifferentemente di diritto pubblico o di diritto privato; esigendo, nel contempo, elementi che facciano ritenere che le decisioni dell’organismo siano sotto l’influenza dominante determinante di un soggetto pubblico (così da ritenersi assunte secondo logiche diverse da quelle dell’imprenditore privato94); e che la persona giuridica sia istituita per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale95.

91Trib. S. Maria Capua Vetere [decr.], 9 gennaio 2009, in Fall., 2009, 713

92 art. 1, direttive 92/50/CEE (servizi), 93/36/CEE (forniture) e 93/37/CEE (lavori).

93 I tre requisiti devono essere soddisfatti cumulativamente; cfr. Corte di giustizia CE, 15 gennaio 1998,

causa C-44/96; 16 ottobre 2003, causa C-283/00; 15 maggio 2003, causa C-214/00.

94 Corte di giustizia CE, 1 febbraio 2001, causa C-237-99

95 Non è necessario che l’ente abbia in via esclusiva o prevalente lo scopo di soddisfare bisogni di

interesse generale non aventi carattere commerciale o industriale, ben potendo perseguire, oltre che tale scopo anche (se del caso in via prevalente) quello di soddisfare interessi con carattere commerciale o industriale (“lo status di organismo di diritto pubblico non dipende dall’importanza relativa, nell’attività

99 Approccio funzionale

Così argomentando, l’esclusione dalle procedure concorsuali di una società in mano pubblica non dipende dalla possibilità di equipararla a un ente pubblico (in forza della concreta ricorrenza degli indici sostanziali sopra richiamati): ciò che occorre verificare è se, rispetto alla società in concreto considerata, sussistono interessi analoghi a quelli a protezione dei quali l’art. 1, l.fall. norma la non applicabilità del fallimento (e gli altri istituti contenuti nel RD) agli enti pubblici.

L’art. 1, l. fall., esclude gli enti pubblici dal perimetro dei soggetti fallibili in ragione della incompatibilità tra procedura concorsuale (governata unicamente da valutazioni di convenienza del ceto creditorio) e gli interessi e i bisogni pubblici che l’ente pubblico è chiamato a tutelare senza soluzione di continuità, che invece verrebbero pregiudicati proprio dalla paralisi dell’ordinaria attività dell’ente che deriverebbe dal fallimento; incompatibilità che è ancor più intensa rispetto agli enti locali, per i quali è in radice inammissibile la sostituzione degli organi della procedura concorsuale a quelli politici di gestione (ciò che comporterebbe un altrettanto inammissibile interferenza giudiziaria sulla sovranità dell’ente e dei suoi organi eletti)96.

Dunque, facendo applicazione del metodo funzionale, la società in controllo pubblico viene esclusa dalla procedura concorsuale – nonostante la forma privata - ogniqualvolta svolga un’attività necessaria all’ente pubblico che la partecipa rispetto alle finalità pubbliche del medesimo; diversamente, la società pubblica è assoggettabile al fallimento, non essendo ipotizzabile alcuna lesione agli interessi pubblici che l’art. 1, l.fall., intende tutelare97.

Non tutte le società partecipate da enti pubblici (ancorché totalitariamente) e che svolgono servizi in favore degli enti soci sono esenti, in questa prospettiva, dalle procedure concorsuali, ma solo quelle che svolgono, in concreto e nell’attualità, un servizio pubblico avente carattere esclusivo, perché “attualmente” esercitato nell’ambito territoriale dell’ente pubblico di riferimento in totale assenza di concorrenza, oltre che essenziale e

dell’organismo medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi carattere industriale o commerciale”; Corte di giustizia CE, 22 maggio 2003, causa C-18/2001)

96 App. Torino , 15 febbraio 2010

97 Relazione: Le società in mano pubblica sono soggette alle procedure concorsuali in caso di

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necessario, perché non suscettibile di interruzione alcuna in quanto destinato al soddisfacimento dei bisogni primari della collettività98.

Mentre ben potrebbero applicarsi le disposizioni concorsuali alla società in mano pubblica che agisca nel libero mercato, in presenza di imprese terze in grado di subentrare prontamente alla società fallita o in caso di servizio non più in atto; o, correlativamente, a un ente sostanzialmente pubblico (una società a capitale pubblico con limitazioni all’autonomia funzionale degli amministratori) o addirittura a un ente formalmente pubblico, rispetto al quale non si verifichi la lesione degli interessi tutelati dall’art. 1, l.fall., e che quindi non svolga un’attività necessaria alla tutela delle finalità pubbliche99.

Un altro approccio

Dunque, secondo l’insegnamento della giurisprudenza comunitaria, l’operatività della società in un ambito estraneo al regime di concorrenza (in concomitanza con altri sintomi appena esaminati) vale a escluderne il carattere industriale o commerciale e dunque a sottrarla alle procedure concorsuali, giusta il disposto dell’art. 1, l.fall..

Quali sono, allora, le società in controllo pubblico per le quali può astrattamente ipotizzarsi l’esenzione delle procedure concorsuali perché estranee al perimetro degli imprenditori commerciali?

L’identikit tratteggiato pare attagliarsi alle c.d. società strumentali agli enti locali: “strutture costituite per svolgere attività rivolte essenzialmente alla p.a. e non al

pubblico”100, di natura strumentale agli enti locali, ossia beni e servizi erogati a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l’ente di riferimento e attraverso i quali l’ente stesso provvede al perseguimento dei propri fini istituzionali; società che, in forza dell’art. 13, del decreto legge n. 223/2006 (c.d. “Decreto Bersani”), sono dotate di capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali, e che possono operare unicamente a favore degli enti soci, senza che sia consentito loro di partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale.

98 Trib. La Spezia, 21 marzo 2013 99 App. Torino [decr.] 15 febbraio 2010

100 TAR Veneto, 31 marzo 2008, n. 788, TAR Lazio, 5 giugno 2007, n. 5192, TAR Lombardia, 27

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Non sarà però sufficiente il mero dato statutario: occorrerà verificare, in concreto, che la società rispetti il divieto di svolgere prestazioni a favore di soggetti diversi dagli enti pubblici soci e che un’attività imprenditoriale vera e propria non sia stata svolta in via di fatto, anche in passato, nei confronti di terzi (mediante partecipazione a gare d’appalto o con acquisizione di commesse da parte di soggetti diversi dall’ente socio o a questo connessi).

Ma l’estraneità alle procedure concorsuali opera, più in generale, per tutte le società in house (quindi anche quelle che gestiscono servizi pubblici locali mediante affidamento diretto da parte dell’ente pubblico che le partecipa).

Per definizione, infatti, tali società hanno capitale interamente pubblico101, sono soggette a un controllo dell’ente partecipante analogo a quello che questo esercita sui propri servizi (il che comporta che il consiglio di amministrazione della società sia svuotato di significativi poteri gestionali in modo da risultare mero esecutore delle determinazioni della governance degli enti partecipanti, cui devono spettare poteri più incisivi di quelli normalmente riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza sociale102; che la società sia immune da qualsiasi vocazione commerciale; che le decisioni più importanti della società siano preventivamente sottoposte all’esame e all’approvazione dell’ente pubblico)103; e soprattutto che costituiscono una longa manus dell’amministrazione, la quale reperisce prestazioni a contenuto negoziale non sul mercato, ma al proprio interno, proprio perché si serve di un proprio ente strumentale (la società in house) giuridicamente distinto sul solo piano formale, in deroga ai principi di concorrenza104.

Anche in tal caso, peraltro, sarà imprescindibile verificare l’effettiva sussistenza di tali caratteristiche: quindi, che il servizio gestito in house abbia natura esclusiva, nell’ambito territoriale dell’ente di riferimento in totale assenza di concorrenza; e che, a monte, l’oggetto sociale definito nello statuto non consenta alcuna attività imprenditoriale105, la

101 Corte Giustizia CE, 18 novembre 1999, causa C-107/98 (Teckal); Corte di Giustizia CE, 11 maggio

2006, causa C-340/04 (Carbotermo); Corte Giustizia CE, 11/1/2005, causa C-29/04 (Stadt Halle); Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 3 marzo 2008, n. 1.

102 Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 3 marzo 2008, n. 1; Corte di Giustizia CE, 13 ottobre 2005,

causa C-458/03 (Parking-Brixen); come affermato dalla Commissione Europea con comunicazione del 26/6/2002,

103 La giurisprudenza (vd. CdS, sez. V, 22 aprile 2004, n. 2316) richiede ai fini del controllo analogo la

sussistenza di una struttura interna all’ente, ad hoc, che costituisca l’interfaccia con l’impresa

partecipata e che eserciti i poteri “di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo”

104 Corte di Giustizia CE, sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98 (Teckal). 105 Trib. Palermo, 11 febbraio 2010,

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cui previsione astratta varrebbe di per sé (a prescindere dallo svolgimento in concreto) a esporre la società alla declaratoria di insolvenza106.

Che le società in house non possano fallire lo si potrebbe dedurre anche da un altro recentissimo intervento della Cassazione che – nel riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta Corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house - ha ribadito che tali società non costituiscono un’entità al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come una propria articolazione interna, di modo che “la distinzione tra socio (pubblico)

e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”107.

È evidente, insomma, che le società in house, quale che sia la prospettiva che si voglia adottare, comunque ricadrebbero nelle esenzioni previste dall’art. 1, l.f., sia perché, per usare ancora le parole della Cassazione, “hanno della società solo la forma esteriore ma,

come si è visto, costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi”108 e, dunque, si identificano con l’ente pubblico socio; sia perché, nel contempo, si caratterizzano per non essere destinate (se non in via del tutto marginale e strumentale) allo svolgimento di attività imprenditoriali a fine di lucro, così da dover operare necessariamente al di fuori del mercato109 e, dunque, sfuggono alla definizione di imprenditore commerciale.

Tale conclusione suggerisce ulteriori riflessioni.

106 Stante il principio per cui le società costituite nelle forme previste dal codice civile e aventi a oggetto

un’attività commerciale sono assoggettabili al fallimento indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quel che avviene per l’imprenditore commerciale individuale; cfr. Cass., 6 dicembre 2012, n. 21991, in Foro it.,

Mass., 2012, 842,

107 Trib. Palermo, 11 febbraio 2010, per la quale è la costituzione in forma societaria con uno scopo anche

commerciale (e quindi la manifestazione in via definitiva dell’intenzione di svolgere un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni e servizi) che fa acquisire alla società lo

status di imprenditore commerciale, senza necessità di dimostrare che l’attività (statutariamente prevista)

ulteriore a quella di gestione di un servizio pubblico sia stata effettivamente espletata ed essendo irrilevante la semplice cessione di fatto del relativo esercizio.

108 Cass. 25 novembre 2013, n. 26283 109 idem

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È all’ente socio che, nella pratica, va imputato il verificarsi della crisi societaria (in conseguenza, come nella fattispecie concreta all’esame del Tribunale di Palermo, del mancato adeguamento delle tariffe corrisposte a fronte dei servizi effettivamente erogati, con fisiologico squilibrio della gestione caratteristica e/o del mancato esercizio della dovuta attività di indirizzo e controllo); e, sempre l’ente socio – si osserva – è di fatto l’unico beneficiario delle prestazioni fornite dalla società110 (il che, occorre precisare, è senz’altro vero per le società strumentali ex art. 13, Decreto Bersani, mentre nel caso delle società che gestiscono servizi pubblici in house, che si caratterizzano per rivolgere le proprie prestazioni direttamente alla generalità dei cittadini, trattasi piuttosto di beneficio mediato).

Risponde dunque a un principio di giustizia sostanziale impedire che il soggetto esclusivo beneficiario delle prestazioni della società possa poi sgravarsi dell’esposizione debitoria, pretendendo di scaricarla sulla generalità dei terzi creditori attraverso il ricorso a una procedura concorsuale (e alla relativa falcidia).

Va poi considerato che la società in house è un ente solo formalmente distinto dall’ente pubblico che la partecipa e che, più in generale, si assiste a una tendenza legislativa decisamente incline a definire un’area di consolidamento tra ente locale e le società dal medesimo partecipate.

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