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LA FASE VIRGILIANA

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 181-200)

Bruno Gialluca

In questo contributo, avvalendoci di materiale inedito del XV e del XVI secolo, che ha largamente circolato nel contemporaneo circuito culturale locale, esamineremo la prima fase della ricostruzione delle origini di Cortona, messa a fuoco da parte del ceto di governo e colto cittadino a partire dalla metà del Quattrocento, quando avviò a interrogarsi sui primordi di Cortona: attingendo agli autori e alle tradizioni di età greca e romana, che collegavano le origini della città alle origini dello stesso popolo etrusco e alla protostoria dei rapporti tra Italia e Grecia, gli intellettuali cortonesi cercarono di risalire il più lontano possibile nel passato, per avvicinare i tempi antichissimi della fondazione della città e per conoscerne le modalità. In questo senso non è eccessivo designare dionisianamente “Archaiologia”, o, se si preferisce, “Origines” o “Antiquitates” di Cortona questa parte della ricerca storica prodotta in loco.

Prima della metà del XV secolo la storiografia cittadina produsse solo cronache, tramandate in copia dall’antiquaria cortonese del XVI secolo, focalizzate per lo più sul passaggio dal libero comune alla signoria dei Casali (1325) e dalla loro signoria alla soggezione a Firenze (1410) – all’epoca certamente i due eventi capitali della storia recente di Cortona – né è documentato un interesse per le prime origini della città. La circostanza è confermata da un autorevole testimone, Francesco Vagnucci, il primo dei tre grandi studiosi di antiquaria patria del XVI secolo: in un suo appunto manoscritto del 1553, nel quale ordinava cronologicamente gli autori che avevano parlato delle antichità di Cortona, il più antico autore cortonese ricordato era Comedio Venuti,1 attivo intorno alla metà del XV secolo, sul quale torneremo tra poco.

La “archaiologia” di Cortona è tutta collocata nel perimetro del cosiddetto “mito etrusco”, espressione con la quale si suole indicare l’idealizzazione della antica Etruria e delle sue istituzioni, costantemente presente, sia pure con varianti di non poco conto, nella politica culturale fiorentina, dalla repubblica al principato. Il collegamento istituito tra Firenze e la Toscana contemporanee con la nazione etrusca, titolare di una civiltà antichissima, autoctona, anteriore a quella romana,

Abbreviazioni.

A.C.C. Archivio del Comune di Cortona, Cortona.

B.C.A.E. Biblioteca del Comune e dell'Accademia Etrusca, Cortona. B.C.A. Biblioteca Consortile, Arezzo.

B.N.F. Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze.

1 VagnucciFrancesco, Repertorio delli nomi delli autori che in qualunche modo fanno mentione della cità de

Cortona o delli Cortonesi, scritti per ordine di tempo quando scrivevano o che si trova che morierono, osservato

quanto più si è potuto, Cortona, B.C.A.E., Ms. 423, cc 371r-374v. Comedio Venuti, del quale restano diversi

fin dal tempo del primo umanesimo offrì al ceto di governo e colto fiorentino un saldo supporto ideologico a sostegno dell’egemonia di Firenze.2 Questo stesso mito etrusco, che accompagnò la progressiva affermazione di Firenze, dalla repubblica al definitivo consolidamento del principato, ebbe corso anche in centri toscani minori, in alcuni dei quali, là dove era presente una capacità di elaborazione culturale originale e autonoma, poté essere usato in funzione ideologica dal locale ceto di governo, per consolidare la propria identità e per difendere tradizioni di autonomia e di autogoverno cittadini, compromessi dall’assorbimento nello stato fiorentino.

È questo il caso di Cortona dove, tra la metà del Quattrocento e il primo decennio del Seicento, il locale ceto di governo e colto (un’aristocrazia caratterizzata da una forte continuità storica e dei lignaggi, oltre che delle tendenze e degli atteggiamenti culturali) attingendo i materiali dagli autori e dalle tradizioni di età greca e romana propose successivamente tre diverse ricostruzioni delle origini cittadine, fino alla versione definitiva, che modellò l’immagine della città e la percezione della propria identità da parte del ceto di governo locale per tutto il XVII e il XVIII secolo: ricostruzioni peculiari, rivelatrici della mentalità dell’aristocrazia di Cortona, delle sue ambizioni, del suo desiderio di grandezza, della sua insofferenza per il dominio fiorentino, della sua angoscia per la sorte dei residui spazi di autonomia e di autogoverno cittadini, minacciati dal corso centralista progressivamente impresso da Firenze alla politica interna.

Alla metà del Quattrocento nasceva così un racconto delle origini di Cortona, che ha costituito la materia prima di quella trama di discorsi con i quali la città ha rappresentato se stessa, il suo passato, i suoi caratteri peculiari, rendendosi riconoscibile. Il racconto delle origini e, in misura sensibilmente minore, pochi altri momenti significativi della storia cittadina, hanno costituito il telaio sul quale il ceto dirigente e colto di Cortona ha organizzato la memoria, l’immagine, l’identità collettive, in ultima analisi la autorappresentazione della città utile per consolidare la legittimità dei suoi gruppi dirigenti e della loro funzione di governo. Il presente contributo indaga la fase iniziale di questo “racconto delle origini”: le prime forme e i contenuti del complesso e coerente “discorso” con il quali Cortona è stata nel tempo autorappresentata, rappresentata, raccontata, dal suo ceto di governo e colto.

A una siffatta messa a fuoco delle Origines della città non fu certamente estraneo il ruolo eccezionale attribuito a Cortona da autori greci nella etnogenesi degli Etruschi (si pensi alla tradizione risalente a Ellanico di Lesbio dell’origine pelasga degli Etruschi, secondo la quale i Pelasgi, sbarcati alle foci del Po, a Spina, si sarebbero diretti verso l’interno per attestarsi a Cortona, che diventava in questo modo l’epicentro della colonizzazione dell’Etruria intera)3 e nella nascita di Roma (Cortona era la patria di Corytho e di suo figlio Dardano, che da essa aveva preso le mosse per fondare Troia, e poteva gloriarsi di aver dato le origini al lignaggio

2 Per il mito etrusco in ambito fiorentino si veda Cipriani, 1980, un lavoro a tutt’oggi fondamentale.

3 Ellanico di Lesbio in DIONIGI DI ALICARNASSO, Antichità Romane, I, 18, 3-4; I, 28, 3. Per questa parte si

che, attraverso Enea, avrebbe dato origine a Roma, con la quale nessun’altra città poteva vantare legami altrettanto diretti).

Quegli stessi autori greci e latini, che avevano ritagliato per Cortona un ruolo tanto privilegiato, con il progredire della stampa, nel corso del XV e del XVI secolo diventarono via via più accessibili ed inevitabilmente esercitarono un fascino forte e duraturo sugli intellettuali cortonesi che a partire dalla metà del Quattrocento cominciarono a porsi delle domande sulle antiche origini della città.

La ricostruzione delle origini di Cortona conobbe tre fasi, scandite dalla progressiva, accresciuta disponibilità dei testi greci e latini: una fase “virgiliana”, che ebbe vigore per circa un secolo, dalla metà del Quattrocento alla metà del Cinquecento, una breve e intensa parentesi ispirata ad Annio da Viterbo, che durò dalla metà del Cinquecento al 1570/80, una riallineamento al razionalismo di Vincenzio Borghini, con il ritorno ai classici, in primis a Dionigi di Alicarnasso, che si impose dopo il 1580 e modellò l’immagine della città per i due secoli successivi.

Alla metà del XV secolo, prima della riscoperta di Dionigi di Alicarnasso (che si avrà solo a partire dal 1480)4 i materiali per la ricostruzione delle origini cittadine vennero apprestati da Virgilio e dagli autori “virgiliani”: Silio Italico e Servio.5 È noto che la struttura dell’Eneide poggia su una leggenda, che, nella forma proposta dal poema, tra gli autori contemporanei compariva solo in Virgilio. Enea aveva percorso a ritroso, da Troia verso l’Italia, il viaggio compiuto dall’avo Dardano, che dall’Italia si era diretto verso la Samotracia e la Troade: nell’Eneide, Dardano era partito dalla etrusca Corythus6 e verso Corythus Enea si sarebbe diretto, secondo l’indicazione dei Penati troiani.7 Nel poema, “Corythus”, che vi ricorre quattro volte, ha valore di toponimo,8 senza che Virgilio sia più preciso sulla sua ubicazione. La identificazione di Corythus con Cortona si ottiene combinando Virgilio con Silio Italico, che presenta Corythus eroe eponimo della città omonima,9 collocata tra Arezzo e Chiusi,10 e con Servio, che nel commento all’Eneide11 espone distesamente la leggenda che aveva ispirato Virgilio: Corythus, lontano antenato di Enea e padre di Dardano, il fondatore di Troia, era un re italiano, che aveva dato il suo nome al monte sul quale sarebbe stato sepolto e alla civitas Tusciae, Cortona, che su quello stesso monte aveva fondato.12

La narrazione virgiliana, che faceva di Corythus – Cortona la patria di Dardano

4 La riscoperta di Dionigi di Alicarnasso data dalla traduzione latina delle Antichità Romane realizzata da

Lapo Biraghi, stampata postuma a Treviso nel 1480. Oltre sessanta anni dopo, nel 1546-1547, comparve a Parigi l’editio princeps di Robert ed Henry Estienne alla quale seguì una intensa attività editoriale, con numerose traduzioni nelle lingue moderne e nuove edizioni, in rapida successione.

5 Per questa parte si veda Colonna, 1980.

6 “Hinc illum Corythi Tyrrhena ab sede profectum”(Verg., Aen., VII, 209)

7 “haud dubitanda refer: Corythum terrasque requirat/ Ausonias. (…)”(ivi, III, 170-171).

8 Nel poema si hanno altre due occorrenze di “Corythus”: “Nec satis extremas Corythi penetrauit ad

urbes” (ivi, IX, 10); “Venerat antiquis Corythi de finibus Acron” (ivi, X, 719).

9 “(…) sedemque ab origine prisci / sacratam Corythi” (SIL.IT., Pun., IV, 719-720).

10 “Poenus nunc occupet altos/ Arreti muros, Corythi nunc diruat arcem,/ hinc Clusina petat […]” (ivi,

V, 122-24).

11 Si vedano SERV. (e SERV. auctus), Comm. in Verg. Aen., I, 380; III, 167; III, 170-171; VII, 209; X, 719.

(consentendo in questo modo di collocare nel tempo la fondazione di Cortona prima della fondazione di Roma e, addirittura, di Troia), e la testimonianza di Livio, nel quale Cortona compare, con Arezzo e Perugia, come una delle tre città egemoni dell’Etruria,13 avevano implicazioni evidenti in termini di prestigio cittadino e non sfuggirono al ceto dirigente e colto di Cortona quando, intorno alla metà del XV secolo, avviò a interrogarsi sulle origini della città.

Il mito virgiliano di fondazione di Cortona compariva per la prima volta in un autore cortonese con Comedio Venuti, notaio e rimatore vissuto nel XV secolo, la cui produzione poetica superstite è raccolta per la maggior parte in un manoscritto conservato presso la Biblioteca di Arezzo.14 Il codice, forse autografo (la scrittura rimanda alla metà del Quattrocento), riunisce un folto gruppo di composizioni poetiche del Venuti, per lo più sonetti, in uno dei quali Cortona parla in prima persona di se stessa e di Corytho, suo fondatore, (il componimento è in volgare e “Corythus” è reso con “Corytho”), con rimandi puntuali nelle due terzine, che indiziano la buona conoscenza di Servio dell’autore.15

Comedio Venuti sviluppava questi spunti nel poemetto in endecasillabi De

laudibus patriae, componimento di 100 terzine pervenuto in copia,16 redatto tra il 1458 e il 1464.17 L’operetta, men che modesta per la qualità poetica, presenta un notevole interesse per la testimonianza che offre sulla circolazione nel ceto colto cortonese della tradizione virgiliana, presupposto della fortuna della ricostruzione delle origines di Cortona apprestata dal Venuti, della quale, in ambito locale, costituisce la prima e più sistematica esposizione, destinata a tenere il campo per circa un secolo. Nel componimento, dopo la dedica al cortonese Iacopo Vagnucci, all’epoca vescovo di Perugia,18 e dopo aver rivendicato a se stesso il ruolo di restauratore delle tradizioni sulle origini della città, il cui oblio, a suo dire, era cagione delle presenti, non meglio precisate sventure, 19 Comedio Venuti

13 “Itaque a Perusia et Cortona et Arretio, quae ferme capita Etruriae populorum ea tempeste erant,

legati pacem foedusque ad Romanis petentes indutias in XXX annos impetraverunt.” (Liv., Hist., IX, 37, 12).

14 Rime di messer Comedio Venuti da Cortona, figlio di Bartolomeo di Balduccio del signor Vanni di Balduccio di

Giovanni del signor Bonagiunta de’ Venuti. Nacque l’anno 1424 a’ 14 di settembre, B.C.A., Ms. 118. Dell’autore, oltre alla data di nascita e alla paternità, sappiamo solo che era iscritto all’arte dei notai già

nel 1450 (Statuto dei notai di Cortona, A.C.C., G’ 1, c. 34r).

15 “Più feconda eminente piaggia et vaga/ de me non uidde a le toscane parte/ Corytho re, né sì

contraria a Marte/ cercando già nostra italica plaga./ Et con mente al futuro poco presaga,/ edificò nel mio bel sito ad arte/ suo seggio antico onde in noi fuoro sparte/ sorti infelici et longa et mortal plaga./ Così l’inclito re, la terra e l’monte/ Corytho fe chiamar per proprio nome/ perché fusse più chiara in sé l’origine./ Poi ne nobilita Electra, che in fronte/ corona ha d’oro ch’orna sue tempie et chiome/ con

Dardano figlio et Iasio a noi terrigene”. (B.C.A., ms. 118, c. 27r). Corytho compare di sfuggita anche in

un altro sonetto, privo però di ogni interesse ai fini del nostro esame.

16 VENUTI Comedio, De Laudibus Patriae, B.C.A.E., ms. 602, cc. 68r-73v.

17 Pio II, papa tra il 1458 e il 1464, nell’operetta viene indicato come vivente.

18 Iacopo Vagnucci (1415-1487) segretario di Papa Niccolò V e vescovo di Perugia.

19 “Disposto è già il mio debole intelletto/ e la mia fral memoria a far palese/ d’incognita materia alto

concetto./ Come alla patria nostra cortonese/ misera e poverella in tanti affanni/ diserta per molte aspre e crude offese/ è stato occulto forse ben mill’anni/ il proprio nome e l’origine antica/ non senza

riprendeva con ampiezza il racconto delle origini, che svolgeva in tre sezioni. Rivendicata la identità di Corytho e di Cortona (Cortona aveva avuto due nomi, in successione cronologica, Corythona e Cortona, da Corytho suo fondatore),20

attingendo ai materiali apprestati da Virgilio, Silio Italico e Servio – gli stessi compendiariamente utilizzati nel sonetto di sopra –, le terzine da 15 a 23 indugiavano sulla paternità di Corytho. Servio in più occasioni aveva asserito che Dardano era il frutto di amori tra Zeus ed Elettra e che il solo Iasio, suo fratello, sarebbe stato figlio legittimo di Corythos.21 Comedio Venuti, intenzionato a stornare dal capo di Corytho, ecista ed eponimo di Cortona, di Elettra e di Dardano la nomea, rispettivamente, di marito tradito, di moglie infedele e di figlio illegittimo, trovava apprestati in Giovanni Boccaccio (che nelle Genealogie deorum

gentilium22 aveva incorporato un frammento delle perdute Collectiones di Paolo

Perugino, contenente la confutazione di Ovidio, assertore della paternità di Zeus)23

e in Lattanzio (un breve passo delle Divinae Institutiones)24 i materiali necessari. Ripristinata la illibatezza di Elettra e la legittimità della paternità di Corytho, Comedio Venuti, nella parte centrale della composizione (le terzine 24-58), sosteneva l’identità di Corythos con Cortona, attestata dalla tradizione, contro l’identificazione di Corythos con la medievale Corneto, supposta precorritrice di Tarquinia.

L’obbiettivo polemico era quello stesso Paolo Perugino giunto in soccorso qualche terzina prima, il quale aveva identificato la Corythus virgiliana con Corneto,25 aprendo un filone interpretativo, che, pur minoritario, via via nel tempo sarebbe sporadicamente riaffiorato.26 Comedio Venuti dedicava alla confutazione di Paolo la parte restante del poemetto e ricorreva nuovamente a Virgilio, Servio, Silio Italico, ai quali si aggiungeva Isidoro di Siviglia.27

Non importa in questa sede riferire le argomentazioni del Venuti; più importante è osservare come l’accostamento di Cortona a Roma – al quale in

“gran danni” forse facevano riferimento alla recente perdita della libertà, nel 1409, a opera di Ladislao re di Napoli, e alla definitiva incorporazione, nel 1410, nello stato fiorentino.

20 “Già Corythona, or Cortona si chiama/Corytho detta pria la terra e’l monte/del gran Corytho prisco

pianta e rama/Del nobil sangue di Laomedonte/et d’Ilion preclara origin prima (…)” ivi, terzine 11-13.

21 SERV. Comm. in Verg. Aen., 3. 167; 7. 207.

22 “Constat autem, sententia Pauli, Dardanum Corithi regis fuisse ex Eletra coniuge filium, sed ad

nobilitandam posteritatem Iovi attributum, cui etiam moribus erat conformis; nam natura mitis homo

fuit et religiosus, ut idem ait Paulus”. (BOCCACCIO Giovanni, Genealogiae deorum gentilium libri, lib. VI,

cap. I). Le perdute Collectiones di Paolo Perugino sono parzialmente note attraverso Giovanni Boccaccio, che ne fece uso in più passi delle Genealogiae, citando la fonte.

23 “Dardanon Electra nesciret Atlantide natum/scilicet, Electran concubuisse Iovi?” (OVID., Fasti,

IV.31-32).

24 LACT., Divinae institutiones, I, 23.

25 “[…] et cum Coritho sola civitas Corithus esset de suo nomine dicta, et ea erat que hodie opinione

Pauli aliquibus additis licteris vulgo Corneto vocatur, […]” (Boccaccio, Genalogiae cit, Libro VI, Cap. I).

26 Colonna, 1980, p. 2, n. 3.

27 ISIDORUS HISPALENSIS, Etymologiarum sive originum libri XX. Comedio Venuti, che nella terzina 43 rammentava il solo quindicesimo libro dell’opera (XV.1.48), ebbe certamente presenti anche i libri IX (IX.2.6) e XIV (XIV.3.41-43 e XIV.4. 22), che trattano della discendenza di Dardano e della migrazione di Tirreno in occidente.

maniera naturale apriva la sequenza Corythos, Dardano, Enea – nel poemetto non sia stato in alcun modo enfatizzato, comparendo, in modo indiretto, in una sola occasione.28 Comedio Venuti focalizzava il racconto della fondazione di Cortona su

Corythus ed evitava con cura le suggestioni che quello stesso mito virgiliano di

fondazione della città avrebbe assunto nel corso del secondo e del terzo decennio del XVI secolo, in un clima storico completamente cambiato. La rinuncia era dovuta a precise valutazioni di opportunità effettuate dall’autore, uomo consapevole degli equilibri politici del suo tempo e tutt’altro che sprovveduto, come prova l’elogio indirizzato a Francesco Sforza,29 duca di Milano, nel quale appare bene avvertito dell’alleanza tra Cosimo de’ Medici e lo Sforza. Comedio Venuti sorvolò sul legame mitico di Cortona con Roma, per non evocare una “contiguità” contemporanea, che dovette considerare “politicamente inopportuna”, tanto più che non erano mancate velleità romane di annettersi Cortona (che come noto confinava con lo Stato Pontificio) a danno di Firenze.

La versione virgiliana del mito di fondazione ebbe a Cortona grande fortuna, come si desume dal salvataggio del poemetto e dal ricalco, in gran parte una parafrasi, che ne fece in latino, qualche decennio dopo, Giovan Battista Madagli,30

poeta elegante, più giovane del Venuti e di lui più noto, anche per aver lasciato dei lavori a stampa.

A Firenze, allo scadere del secolo, il clima politico e culturale cambiava in una direzione che a Cortona avrebbe consentito l’abbandono di ogni reticenza. All’indomani della caduta di Savonarola, nel 1494, si ebbe la rinascita dell’interesse per il mondo classico (che con tanta durezza il frate ferrarese aveva condannato, associandolo al dominio mediceo), che accompagnò tutta l’ultima parte della vita della repubblica fiorentina e la transizione alla definitiva affermazione dei Medici. La rinascita si manifestava in una situazione profondamente mutata: Roma si era ormai imposta come il più importante centro artistico e culturale della penisola e Firenze non poteva competere più con essa, tanto più che i suoi migliori artisti emigravano a Roma. Tuttavia la cultura fiorentina, pur consapevole della propria posizione minoritaria, cercò di salvaguardare il suo prestigio, utilizzando le fonti classiche per segnalare i legami con Roma, che in questo periodo sempre più furono marcati e sottolineati. Per tutti valga la testimonianza di Francesco Albertini, che dedicava a Giulio II l’Opusculum de mirabilibus novae et veteris urbis Romae, famoso per essere uno dei primi esempi di guide per le città italiane, nel

quale celebrava le meraviglie di Roma antica e contemporanea,31 senza però

omettere di ricordare i più antichi legami tra Roma e gli Etruschi32 e di richiamare

28 Nelle terzine 34 e 35.

29 Per il componimento, un sonetto, si veda Ravagli, 1893.

30 MADAGLI Giovan Battista, Johannes Baptista Madalius ad dominum Marcum Antonium Laparellium, B.C.A.E., ms. 445, cc. 95-115.

31 Albertini, 1510. L’operetta conobbe una notevole fortuna, attestata dalle quattro ristampe susseguitesi

nel corso dei dieci anni successivi alla prima edizione: le due romane del 1515 e del 1523 (quest’ultima insieme ad opuscoli dedicati a Roma da altri autori), per i tipi di Iacopo Mazzocchi, quella di Basilea del 1519, editore Thomas Wolff, quella di Lione del 1520, editori Jean Marion e Romain Morin.

la tradizione sillana della fondazione di Firenze,33 che la connetteva strettamente con Roma.

Con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni di Lorenzo Medici (Leone X, 1513-1521) e di Giulio Medici (Clemente VII, 1523-1533), su impulso degli stessi pontefici il racconto dei legami tra Firenze e Roma conobbe sviluppi ulteriori, adeguatamente pubblicizzati in apparati memorabili, soprattutto da parte di Leone X, consapevole dell’importanza politica e culturale di tali pubbliche manifestazioni. In questo quadro si colloca, trascorsi pochi mesi dalla sua elezione, il conferimento in Campidoglio del titolo di patrizi romani a Giuliano e Lorenzo Medici (settembre 1513), suoi congiunti, nel corso di una solenne e fastosa cerimonia, il cui apparato costituì l’occasione per ridefinire in modo sistematico i legami esistenti fin dalla più remota antichità tra Firenze e Roma. L’evento suscitò

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 181-200)