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Francesco Saverio Wang e alcuni trovatelli di Hong Kong

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 37-45)

Quando Wáng Zuŏcái 王 佐 才 ,1 meglio conosciuto come Francesco Saverio Wang, giovane seminarista cinese dell’età di 18 anni, sbarcò a Napoli il 31 dicembre 1861, la struttura destinata ad accoglierlo, l’antico Collegio dei Cinesi, esistente nella realtà dal novembre 1724 – anche se ufficialmente solo dal 1732 – sopravviveva di un’esistenza molto precaria. La decisione di inviare a Napoli il giovane cattolico cinese era stata presa dal francescano Luigi Celestino Spelta,2

designato a reggere il vicariato dell’Húbĕi 湖 北 dall’anno stesso della sua costituzione (1858). Egli, nominato visitatore apostolico dell’Impero di Cina e regni adiacenti il 24 gennaio 1860, timoroso per le sorti dei giovani cristiani più promettenti nell’infuriare della guerra civile, nota in Occidente come rivoluzione Tàipíng 太平, decise che cinque di essi completassero i loro studi nel Collegio dei Cinesi di Napoli: a Francesco Saverio Wang, si accompagnarono Guō Dòngchén 郭 棟臣, di anni 15, più noto in Europa come Giuseppe Maria Kuo; Wú Chéngliè 吳承 烈 di 12 anni, in Italia chiamato col nome cristiano di Paolo Wu; Zhāng Màogōng 張懋功 ovvero Andrea Zhang, e Fàn Zŭdà 范祖大 ovvero Tommaso Fan, di età non precisata. La comitiva si era messa in viaggio il 19 marzo 1861 dal porto fluviale di Tiānmén 天門 sull’omonimo fiume, affluente del Cháng Jiāng 長江, il Lungo Fiume – il Fiume Azzurro degli europei – e, manovrando tra i ribelli Tàipíng e le cannoniere inglesi, il 16 maggio era approdata a Hong Kong, la Xiāng Găng 香港 dei cinesi. Qui la piccola pattuglia aveva dovuto attendere il 5 agosto per trovare

* Nel 1879 Jules Verne pubblicava presso l’editore J. Hetzel di Parigi il romanzo intitolato Les Tribulations

d’un Chinois en Chine, dopo averlo pubblicato a puntate in appendice al quotidiano Le Temps tra il 2 luglio e il 7 agosto dello stesso anno. L’opera ebbe uno straordinario successo, com’è testimoniato non solo dalle innumerevoli ristampe in francese, ma dalle traduzioni in quasi tutte le lingue, compresa quella turca: Ministère de l’Education Nationale, 1969, pp. 669-671. Una delle traduzioni in lingua italiana porta il titolo Le tribulazioni di un Chinese in China, Casa editrice Bietti, Milano, s.d. Abbiamo ripreso in parte questo titolo.

1 Era nato il 1o dicembre 1842 nella provincia di Húbĕi 湖北, nel distretto di Yīnchéng 應城, nel villaggio

di Wángjiāzhà 王家榨, ove esisteva una comunità cristiana di formazione non recente. Nel mese di febbraio del 1857, all’età di 14 anni, era entrato nel seminario del Collegio di S. Francesco Saverio gestito dai padri francescani: Sartori, 1926, pp. 88-89.

2 Nato a Montebello di Voghera presso Tortona il 9 aprile 1818, entrato nella famiglia francescana fu

inviato in Cina nel 1845, dove nel 1848 fu consacrato vescovo in partibus di Tespi dal napoletano Francesco Saverio Maresca, formatosi nella Congregazione della Sacra Famiglia di Gesù Cristo, già a sua volta vescovo di Sola in partibus e coadiutore di Ludovico De Besi, vescovo di Nanchino. Morì nella città di Wŭchāng 武昌 il 12 settembre 1862. In Cina prese il nome di Xú Lèisī 徐類思: Sartori, 1926, pp. 52-53.

posto sul vapore francese Marne, che li aveva condotti, dopo un approdo a Manila, nella città di Saigon. In quel porto avevano cambiato nave, trasferendosi sull’imbarcazione

Shanghai, che li aveva trasportati in Europa con arrivo a Napoli, come si è ricordato,

l’ultimo giorno del 1861.3 Il buon francescano pensava che a Napoli quei cinesi avrebbero trovato un ambiente sereno e disteso per portare a termine i loro studi, essere ordinati sacerdoti e ritornare nel loro paese come missionari apostolici addetti all’evangelizzazione dei loro connazionali. La realtà era, invece, una istituzione che sopravviveva all’insegna di un’estrema precarietà. Da una parte il neonato Regno d’Italia, tenuto a battesimo da una élite liberale, anticlericale e massonica, non riusciva bene a capire di quale utilità potesse risultare una istituzione, che aveva come scopo prioritario la formazione di un clero cattolico cinese.

Dall’altra erano le stesse gerarchie cattoliche a nutrire molti dubbi sulle ragioni della sua sopravvivenza. Fra i tanti figurava in primo luogo lo stesso arcivescovo di Napoli, Sisto Riario Sforza, al quale appariva chiaro che le condizioni attuali della Cina erano molto diverse da quelle che avevano indotto Matteo Ripa a fondare l’istituzione. Le sue perplessità erano rafforzate dagli orientamenti politici dei sacerdoti che l’istituzione dirigevano, che a lui, tradizionalista e filoborbonico, sembravano ispirati a principii differenti da quelli che guidavano la sua condotta e che lo porteranno ad un aperto conflitto con il nuovo Stato italiano.4

Tuttavia, il giovane Stato italiano trovò un’ancora di salvezza anche per il Collegio dei Cinesi. Una commissione costituita a Firenze, nuova capitale del regno dal 1865, allo scopo di esaminare l’applicabilità al Collegio dei Cinesi della legge di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose, pubblicata, con il relativo regolamento, in data 1o ottobre 1866, dopo una serie di sedute tenute tra il 5 marzo e il 27 aprile 1867, aveva riconosciuto che “l Italia non p[oteva] trascurare questo natural semenzaio d’interpreti e di missionari indigeni di que’ paesi medesimi [asiatici] ch’ella sola possiede, qual’è il Collegio Cinese di Napoli. Ella d[oveva] anzi crescerlo e migliorarlo per trarne il maggior profitto possibile”. Al riconoscimento dell’importanza aggiungeva l’indicazione delle linee di riforma: affiancare all’insegnamento della lingua cinese parlata “lo studio delle [lingue] viventi europee che sono più d’uso nell’Oriente, come l’inglese la francese e la russa”.5 Nel rispetto di queste direttive, iniziò la collaborazione tra alcuni esponenti della cultura liberale ed alcuni sacerdoti della Congregazione della Sacra Famiglia di Gesù Cristo – fondata da Matteo Ripa per preparare i cinesi all’ordinazione sacerdotale – che portò alla trasformazione e alla riforma del Collegio dei Cinesi, che prese, la nuova denominazione di Collegio Asiatico. Uno

3 Il viaggio è stato ricostruito soprattutto sulla scorta di Giuseppe Maria Kuo (Guo Dongchen 郭棟臣),

Diario, 1844-1922, sotto le rispettive date, in Archivio del Convento di S. Michele in Isola (Venezia), OFM, Archivio dell’Archidiocesi di Hankou, Sezione B, 433.226.5.

4 Per tutta questa problematica v. Fatica, 2005, pp. 169-170.

5 Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero della Pubblica Istruzione, Divisione Scuole

Medie, 1860-1896, b. 193, fasc. 28. Molti passi delle relazione finale e dei lavori sono riportati in Fiorentino, 1997, pp. 116-117; e nel nostro Fatica, 2005, pp. 181-183.

degli artefici di questa trasformazione fu l’orientalista Giacomo Lignana,6 che trovò l’accordo con i sacerdoti filoliberali della ricordata Sacra Famiglia. Grazie a questa apparente unità di intenti il nuovo Collegio Asiatico fu inaugurato il 25 novembre 1868 prima ancora che i decreti-legge in data 12 settembre 1869 ne definissero la natura come di un “ente morale” alla dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. In questa istituzione trasformata Francesco Saverio Wang si venne a trovare come insegnante di cinese parlato – di cui scrisse anche un opuscoletto7 – al fianco di colleghi laici come lo stesso Lignana, massone e amico del Cavour, che nella nuova istituzione insegnava mongolo e storia moderna dell’Asia, e come Napoleone La Cecilia,8 che ben presto abbandonerà l’insegnamento di geografia dell’Asia per andare a combattere in difesa della Comune di Parigi.

Sotto l’apparente modus vivendi disteso, tra la componente laica e quella ecclesiastica covavano latenti ansie, paure, contrasti che ben presto emersero con un certo clamore e determinarono una crisi del Collegio Asiatico da poco nato. Il primo a rompere il clima di ufficiosa concordia fu Giacomo Lignana, il quale si sentì colpito prima di tutto da quanti l’accusavano di andare a braccetto – lui anticlericale e mangiapreti – con gli ecclesiastici della Sacra Famiglia,9 e in secondo luogo dal vedersi escluso, pur avendo dato un contributo rilevante alla riforma del Collegio dei Cinesi, sia dalla direzione degli studi – che gli fu affidata solo interinalmente – sia dal consiglio di amministrazione del nuovo istituto. Quindi non solo abbandonò l’insegnamento di mongolo e di storia moderna dell’Asia, ma chiese il trasferimento dall’Università di Napoli, dove era ordinario della cattedra di lingue e letterature comparate, maledicendo il giorno in cui aveva messo piede nella ex capitale del Regno delle Due Sicilie, su consiglio di Bertrando Spaventa, solo per rischiarare, ma senza risultato, “le bolge” del locale ateneo.10

Ma anche la componente ecclesiastica non dormiva sonni tranquilli. Gli esponenti della congregazione religiosa fondata da Matteo Ripa, per via delle collaborazione offerta ai liberali, ormai non godevano più della fiducia delle

6 Nato a Tronzano (Novara) il 19 dicembre 1827, morto a Roma il 10 febbraio 1891. Sul personaggio esiste una

cospicua bibliografia: una studiosa dell’importanza del Lignana come linguista è Francesca M. Dovetto, della quale segnaliamo solo qualche saggio che può interessare ai nostri fini come Dovetto, 1992: circa il contributo del Lignana alla riforma del Collegio dei Cinesi e alla fondazione dell’Istituto Orientale la Dovetto conosce alcune notizie molto vaghe ed imprecise desunte dagli scritti dello stesso personaggio. Questa studiosa è anche autrice della voce pubblicata nel Dizionario biografico degli Italiani, vol. 65, Roma, 2005, pp. 104-107. Il saggio di Sebastiano Timpanaro (idem, 1979), acutissimo per quanto riguarda il nesso stabilito da Lignana tra lingue flessive e profondità filosofica, non aggiunge novità a quanto lo stesso Lignana scrive sul suo ruolo di riformatore del Collegio dei Cinesi (v. in particolare le pp. 420-427). Novità di rilievo e nuova documentazione archivistica su questo aspetto apporta, invece, Fiorentino, 1997, pp. 113-140. Per quanto riguarda la curiosità della mezza simpatia, che il Lignana ebbe a Napoli per Michele Bakunin, si rinvia a Taddei, 1997.

7 Waņ, 1874.

8 Nato a Torino nel settembre 1835, morto al Cairo il 25 novembre 1878: Ercole, 1941, p. 205.

9 [Petruccelli della Gattina], corrispondenza da Napoli sotto la data del 17 novembre apparsa sul

quotidiano di Bruxelles “L’Indépendance Belge”, 23 novembre 1869.

10 ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale,1860-1880, b. 1168, fasc. Lignana Giacomo, lettera a

gerarchie cattoliche, ed essi venivano a mala pena tollerati dopo il 20 settembre 1870: il loro timore era che la Congregazione della Sacra Famiglia si estinguesse con la fine della loro esistenza. Infatti essi non erano più giovani: il superiore Giuseppe Gagliano, nato nel 1813, contava all’epoca 57 anni, e i sacerdoti che lo affiancavano erano più giovani solo di qualche anno – Giovanni Maria Falanga era nato nel 1815, il fratello Luigi Maria nel 1820 e così via. La loro preoccupazione era anche di consegnare l’istituzione, non rimanendo in vita congregati, in mani liberali e anticlericali, ponendo fine a quanto Matteo Ripa aveva faticosamente costruito tra il novembre del 1724 e il marzo del 1746. In quale misura gli animi dei religiosi fossero turbati dinanzi ad un presente incerto e al pensiero di un futuro oscuro è bene rispecchiato nel passo di questa lettera inviata in data 31 marzo 1870 da Giovanni Maria Falanga a Giacomo Scurati (1831-1901), autorevole personalità dell’istituto missionario lombardo, che aveva la sua sede a Milano nel seminario di S. Calocero e di cui sarà dal 1882 al 1901 il secondo superiore:

[…] scongiurato il pericolo della mancanza di allievi chinesi od indiani mercé la potente Sua influenza, in guisa che non s’attende altro che il consiglio amministrativo voti le somme per equipaggiare le urne e per viaggi, resta l’osso più duro: il rinsanguimento cioè de’ congregati, ed a tale capitalissimo scopo ottenere azzardo dirigermi alla zelante Sua carità, ché se la S. V. ed i reverendi suoi confratelli non s’interessano per questo nostro, che è il più vecchio istituto di missioni vigente, deceduti i presenti congregati, il più giovane de’ quali poco dista da’ fatali cinquanta, il governo avrà buono in mano di invadere il tanto contrastato patrimonio senza scrupolo di sorte, successore come è di eredità intestate e non reclamate, andandosi tutto a inabissare nel immenso tophet del demonio, come il resto già ingoiato e smaltito. Sicché, dunque, se di costà non ci verranno reclute, dovremo di forza rassegnarci alla morte. Solo mezzo è che, augurandoci tutti qui i congregati gli ottanta, saranno i Suoi inviati che succederanno nella congregazione e vedranno che davvero potrà esservi fusione tra la settentrionale e meridionale Italia.11

L’intesa per la fusione dei due istituti missionari, quello agonizzante di Napoli e quello vivo e dinamico di Milano, era giunta a buon punto da entrambe le parti: mancava solo il placet della Congregazione di Propaganda Fide perché si passasse alla fase esecutiva. Ma, date le prevenzioni esistenti nei riguardi dei congregati napoletani, di cui si è parlato, non solo da Roma non venne alcuna approvazione, ma il segretario di Propaganda, Giovanni Simeoni, invitò Giuseppe Marinoni, superiore del seminario di S. Calocero, a rinunziare ad ogni suo interessamento per le sorti del Collegio Asiatico:

Ho inteso che V. S. bramerebbe ancora fare qualche cosa riguardo al

11 Archivio Pontificio Istituto Missioni Estere (d’ora in poi APIME), :Via F. D: Guerrazzi 11, Archivio

Collegio della Sacra Famiglia e che all’effetto si è abboccato col deputato Capone. Come ella seppe stando in Roma da me, questa faccenda è piena di pericolo, avendo il governo italiano variato lo stato dell’istituzione e introdotto nell’amministrazione della medesima elementi estranei e da sé dipendenti. Meglio è, pertanto, che si metta fuori al tutto da tale affare, non potendo forse, se non con gravissima difficoltà, riuscirvi a nulla che sia veramente utile all’Istituto e alla santa opera delle missioni.12

Dai rapporti cordiali tra i padri milanesi e quelli napoletani era venuto fuori un solo risultato che sembrava veramente molto positivo: fin dal 1867 il Gagliano aveva richiesto ai missionari di S. Calocero di inviare a Napoli alunni cinesi allo scopo di dimostrare al governo liberale la continuità e la vitalità del Collegio fondato da Matteo Ripa per la formazione del clero indigeno per il Celeste Impero. Orbene un missionario dell’Istituto milanese Giovanni Timoleone Raimondi, eletto da Propaganda Fide prefetto apostolico di Hong Kong,13 dall’ospizio per arti e mestieri, che egli aveva fondato nella colonia britannica per fanciulli poveri ed abbandonati, inviò a Napoli cinque trovatelli da avviare al sacerdozio e alle missioni, che secondo l’uso occidentale rispondevano al nome di Luigi Zhang (張 定養 Zhāng Dìngyăng), Riccardo Deng (Dèng Guótài 鄧國太), Pietro Pan (Pān Shàngdēng 潘上登), Luigi Luo (Luó Xīzĭ 羅禧仔), Andrea Lu (Lú Chéngdài 盧成帶). Costoro giunsero a destinazione il 18 giugno 1871 ed ebbero la vestizione il 27 agosto seguente.14 Si trattava di poveri adolescenti senza nessuna attitudine allo studio e senza nessuna vocazione religiosa, che si erano convertiti al cristianesimo solo per trovare un ricovero ed avere di che sfamarsi: la loro cattiva riuscita offrirà motivo allo schieramento laico per chiedere pubblicamente a gran voce la soppressione della sezione religiosa. Le storie personali di questi ragazzi fanno parte di quegli spezzoni strazianti di vita che segnano l’esistenza di tanti fanciulli che si trovano senza protezione e senza punti di riferimento proprio nell’età di

12 Archivio Storico di Propaganda Fide (d’ora in poi APF), Lettere e decreti della S. Congregazione e biglietti

di Mgr. Segretario (1871-1872), minuta in data 3 luglio 1872, ff. 847v-848; l’originale si trova in APIME ed

è stato pubblicato in Tragella, 1959, p. 165. Questa lettera chiuse definitivamente la questione. Già in precedenza il Marinoni ed altri sacerdoti dell’Istituto milanesi erano stati diffidati dall’occuparsi delle sorti del Collegio Asiatico e tutta la documentazione è riprodotta in Tragella, 1959, alle pp. 163-165. il deputato Capone, di cui si parla nella lettera, corrisponde a Filippo Capone (1821-1895), magistrato, deputato e poi senatore, originario di Montella in provincia di Avellino, che avendo studiato nel convitto annesso al Collegio dei Cinesi, aveva molto a cuore le sorti dell’istituzione: su di lui v. la voce di Francesco Barra, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XVIII, Istituto dell’Enciclopedia, Roma 1975, pp. 658-660.

13 Metzler, 1985, pp. 102-103: il Raimondi, nato a Milano il 5 maggio 1827, fu nominato prima

pro-prefetto (27 novembre 1867), quindi (30 dicembre 1868) pro-prefetto di Hong Kong e procuratore delle missioni di Propaganda Fide in Cina. Morirà ad Hong Kong il 27 settembre 1894 dopo essere stato nominato vicario apostolico di Hong Kong e vescovo titolare di Acyntus il 4 ottobre 1874: secondo Raffaele De Martinis (1895, pp. 252-253) fu contestuale l’erezione della prefettura di Hong Kong in vicariato e la nomina a vicario del Raimondi in data 17 novembre 1874. Sull’attività missionaria in generale del Raimondi v. Brambilla, 1926, pp. 103-116 e 187-206.

maggiore bisogno. Quando erano giunti a Napoli essi sapevano parlare solo il cantonese, una lingua differente dal cinese, che essi non sapevano né leggere, né scrivere. A voler essere chiari, erano del tutto analfabeti in età non più tenera, dacché Luigi Zhang e Pietro Pan contavano 16 anni; Riccardo Deng 15, Andrea Lu e Luigi Luo 14. Avevano affrontato l’avventura di un lungo viaggio e del trasferimento in una città lontana per costumi e per lingua nella prospettiva di una vita diversa e migliore di quella condotta nell’ospizio per ragazzi poveri e abbandonati. Nella loro mente essi non avevano capito che a Napoli li attendeva un destino ben diverso. Lo intuirono quando con solenne cerimonia, di fronte ad un fitto pubblico, furono vestiti, nella chiesa dei Cinesi, della divisa dei collegiali della sezione ecclesiastica: l’abito talare nero orlato di rosso a significare il sangue che essi avrebbero dovuto versare per diffondere la parola del Cristo in Cina.15

Poiché la lingua della Chiesa era il latino ed in latino erano scritti i manuali di teologia dogmatica, teologia scolastica e teologia morale, i cinque furono iniziati allo studio del latino. Intanto, giacché lo scopo della loro educazione era l’ordinazione sacerdotale ed il ritorno in Cina in qualità di evangelizzatori, dovevano imparare l’obbedienza ai superiori ed in più apprendere a parlare, leggere e scrivere il cinese mandarinico. Ma quei ragazzi non solo non mostravano quella elasticità mentale necessaria per imparare lingue tanto diverse, ma riluttavano soprattutto a quella dura disciplina ritenuta apprendistato severo ed indispensabile per superare le tentazioni della carne e preparare in castità i giovani all’ordinazione sacerdotale. Le punizioni consistevano in condanne a pane e acqua da un minimo di 4 ad un massimo di 50 giorni; nella recita in ginocchio di un determinato numero di orazioni per un certo numero di ore, nel riempire la bocca del trasgressore con tabacco forte di Lecce; nel taglio di alcune pietanze come la carne, il pesce o la frutta. Oltre a ciò essi dovevano ogni venerdì sottoporsi alla disciplina (denudarsi le spalle e colpirle con una fune o una cinghia munita di chiodi), ogni venerdì di Quaresima mangiare a terra e per tutto il periodo dei 40 giorni della Quaresima osservare l’astinenza, mangiando di magro. Per un cinese il rispetto dei superiori è un fatto quasi congenito, ma le insubordinazioni cominciarono quando, tra il 1872 e il 1873, nella sezione ecclesiastica arrivarono da Beirut tre piccoli cristiani maroniti: Giuseppe Juvakim, Gioffredo Dahdah e Giovanni Desiderio Tabib, cui si aggiunsero nel 1873 altri due arabi: Pietro Lahhud, originario di Alessandria d’Egitto, ed Elia Calis, proveniente da Jaffa,16 ragazzi

15 Per dare maggiore solennità ed ufficialità alla cerimonia il Consiglio di amministrazione del Real

Collegio Asiatico inviò ai maggiorenti della città il seguente invito: “Il Consiglio amministrativo del Real Collegio asiatico prega la S. V. a voler venire nella Chiesa del detto Real Collegio per la solenne vestizione di alcuni giovanetti Chinesi il dì 27 Agosto 1871 alle ore 11 a.m.” (Biblioteca dei Girolamini di Napoli, Collegio Asiatico, Vestizione 1871).

16 La venuta dei primi tre arabi fu accolta dalla dura reazione del segretario di Propaganda Fide: “Ho

ricevuto dal superiore Gagliano una lettera per la quale mi si fa conoscere essersi ricevuti nel Collegio tre maroniti del Libano, e mi si aggiunge essersi dato di ciò cognizione all’E. V. Io mi guardo dal rispondere sul proposito a detto superiore, prego perciò la gentilezza dell’E. V. perché si compiaccia

dirmi il netto di questo nuovo incidente” (LD, APF, 1872, ff. 217-217v, sotto la data del 16 febbraio 1872

parlanti dialetti arabi, fatti venire dal “conservatore”17 Francesco Miniscalchi Erizzo, senatore di eccezionale cultura, conoscitore delle lingue del Vicino e Medio Oriente (arabo, turco e persiano),18 che aveva voluto introdurre nella sezione laica del Collegio Asiatico l’insegnamento della lingua araba classica, affidata in un primo momento ad Antonio Ghantuz de Cubbe e poi a Lupo Buonazia.

Data la complessità degli studi nei quali cinesi e arabi facevano pochi progressi,

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 37-45)