• Non ci sono risultati.

Lo studio del problema palestinese

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 146-159)

PATRIOTA ALBANESE TRA STORIA E LETTERATURA

2. Lo studio del problema palestinese

Nel suo testo The Fate of Palestine affronta i temi del Sionismo e del Nazionalismo Arabo, indagando sulle origini dei due movimenti e sugli obiettivi da essi perseguiti. Secondo l’A., l’Arabia ed il movimento nazionale arabo non sono una conseguenza della Guerra Mondiale, e non sono neanche direttamente o indirettamente collegate ad alcun potere europeo. Lo stesso può dirsi per il movimento sionistico. Ma entrambi, anche se nati prima della Guerra Mondiale,

trovarono in essa un’opportunità per realizzare i loro rispettivi programmi.

They both knocked at the same door, and were both welcomed by a host who was not yet master of the house and who had no idea of the accomodations it could afford. Hence the conflict.9

L’Arabia coincide con quel territorio compreso tra le Catene del Tauro turco e dello Zagras iraniano e l’Oceano Indiano. Questa zona è abitata essenzialmente da popolazioni accomunate dalla stessa discendenza etnica, dalla stessa lingua, dalla stessa cultura e da una storia comune, che ne fanno sostanzialmente un’unica nazione, pur con le naturali differenze riscontrabili nelle varie regioni. Sino alla metà dell’Ottocento, benché fosse universalmente riconosciuta l’esistenza di un popolo arabo, non era ancora possibile parlare di una “nazione araba”, poiché l’etnia in oggetto non aveva ancora sviluppato una coscienza etnico-nazionale.

Il nazionalismo arabo, secondo la ricostruzione di Amīn Rīhānī, sarebbe nato durante il periodo della liberazione dell’Arabia dai turchi, anche se molti autori sostengono che fino alla prima Guerra Mondiale, le aspirazioni nazionali degli arabi si limitavano alla rivendicazione di un’autonomia amministrativa, linguistica e culturale, come risposta al processo di “turchizzazione”. Egli basa la sua tesi sull’assunto che gli arabi non sarebbero mai stati completamente soggiogati dai turchi, ma avrebbero sempre conservato un sentimento di differenza.

La rivolta contro l’Impero Ottomano partì dal sud della Penisola, mentre, nel nord, (Iraq, Siria e Palestina) i turchi avevano una presa più forte, in quanto adottarono una politica di repressione contro un movimento, che, essendo diviso al suo interno, non riusciva a congiungersi alle insurrezioni del sud. Tuttavia, essendo la popolazione dell’Impero ottomano per la maggior parte araba, vennero a crearsi, al suo interno, gruppi di intellettuali il cui scopo era quello di unire gli Arabi del nord, ossia della Palestina, della Siria e dell’Iraq, e stabilire una base di relazioni politiche con gli Arabi del sud.

È in questo contesto, secondo Rīhānī, che inizierebbe a formarsi uno spirito nazionale, dapprima legato a schemi tradizionali, per poi divenire sempre più laico e politico. La prima fase della rinascita nazionale è legata al nazionalismo religioso di Jamāl al-Dīn al-Afgānī (ﻲﻧﺎﻐﻓﻻﺍ  ﻦﻳﺪﻟﺍ  ﻝﺎﻤﺟ), il quale si ispirava agli ideali del modernismo religioso e del liberalismo costituzionale con tendenze rivoluzionarie. La seconda fase si lega, invece, al panarabismo di cAbdul-Rahman al-Kuluakibi, il primo teorico del moderno nazionalismo arabo, anch’esso di ispirazione liberale.

Quando i Giovani Turchi ricorsero alla politica di turchizzazione degli Arabi, questi si mossero al fine di creare uno spirito nazionale sufficientemente forte per resistere a questo processo; e quando i Giovani Turchi patrocinarono apertamente il panturanismo, i dirigenti arabi fecero del panarabismo la loro piattaforma politico-ideale. Questi leader, musulmani e cristiani, emersero dai loro rifugi, dopo la disfatta dei turchi nella guerra balcanica, e nel 1913 tennero una conferenza a Parigi. Questo fu l’inizio visibile del movimento arabo del nord, che aveva sempre

cercato di unirsi con i suoi movimenti-fratelli del sud della Penisola. Prima della Guerra Mondiale gli arabi della Penisola, fatta eccezione per il Hijaz e parte dello Yemen e dell’Asir, si erano emancipati dai turchi, e, nel contempo, gli arabi del nord avevano iniziato la loro lotta per l’emancipazione. Ma, a questo scopo, necessitavano di un leader che, pochi anni dopo, avrebbero trovato nello Sceicco Huseyn.

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale provocò un’intensa attività politica e diplomatica, oltre che militare, in tutto il Medio Oriente. I paesi come la Gran Bretagna e la Francia entrarono in guerra e cercarono di coinvolgere gli arabi nel conflitto, facendo loro generose promesse, in quanto la campagna contro i turchi ed i tedeschi in Palestina, Siria e Iraq, così come contro i turchi che ancora stavano nel Hijaz e nel sud ovest dell’Arabia, non poteva essere vinta senza l’aiuto degli arabi. Il governo britannico, conscio della situazione, cominciò a negoziare, in rappresentanza degli alleati, con Huseyn, che, nel frattempo, era divenuto la figura centrale del movimento nazionalistico, ossia del movimento panarabico.

Le transazioni con il governo britannico iniziarono mentre Huseyn era impegnato a negoziare con le autorità turche in Siria per la liberazione di alcuni

leader arabi, che erano stati imprigionati per sentenza del tribunale militare.

Durante queste negoziazioni, i leader furono giustiziati per ordine di Jamal Pasha nelle piazze di Beirut e di Damasco. Questo evento spinse Huseyn ad accelerare le trattative con il governo britannico e, quando quest’ultimo si mostrò incline ad accettare le condizioni da lui poste, decise di unirsi alle potenze dell’Intesa. L’esito di queste trattative fu un accordo concluso nel gennaio del 1916 tra Sir Henry MacMahon, rappresentante del governo inglese, e lo sceriffo della Mecca.

Rīhānī delegittima l’autoproclamato diritto dei sionisti sul possesso della Palestina sostenendo che: “If the Jews are in Palestine by right, the Arabs have no rights to oppose them”.10 Ciò che infatti, a parere dell’A., non appare chiaro è che se gli ebrei possedessero realmente un diritto di proprietà sulla Palestina, come mai avrebbero aspettato quasi duemila anni prima di mobilitarsi per rivendicare tale diritto?

A sostegno di tali affermazioni, Rīhānī rievoca brevemente la storia degli ebrei in Palestina, sottolineando che, durante i seicento anni dell’occupazione romana della Siria e della Palestina, gli ebrei tacquero; nel periodo dei due califfati (umayyade, 632-750, e abbaside, 750-1099), del governo del Saladino (Salah ed-Din, 1138-1193), agli ebrei fu permesso di ritornare in Palestina, mentre ciò non fu consentito dai crociati (1099-1237); rimasero tranquilli durante i quattrocento anni dell’Impero Ottomano fino a quando nel novembre 1917, il dottor Weizman e il signor Balfour si unirono per porre fine alla pacifica convivenza tra arabi ed ebrei già presenti in Palestina in piccole comunità.

Il problema essenziale, a parere dell’A., è che il diritto rivendicato dagli ebrei, è vivo soltanto come ricordo, mentre l’usurpazione nei confronti degli arabi è una triste realtà. Infatti, a rigor di logica, gli ebrei dovrebbero porre fine a tale usurpazione prodotta dalla dichiarazione di Balfour, invece di sostenere, insieme

agli inglesi, che questa avrebbe portato innumerevoli vantaggi agli arabi. A tal proposito, Rīhānī cita una favola per rendere meglio il suo punto di vista:

Your palace, O prince, needs furniture and you need medicine. I will give you both in plenty, if you will let me have a wing of your palace to exhibit my goods and give me some land around it for my daily exercise. Incidentally, I will also teach you how to play golf.11

Il Principe rispose:

You are welcome, O stranger, to come and live in the palace as our guest. But we can not give you any part of our propriety just because you are going to put a few pieces of furniture in it and to teach me how to play golf. Be assured, O esteemed stranger, that our independence is dearer, much dearer to us, than our comfort.12

Rīhānī, dopo aver affermato che, in realtà, gli ebrei non possiedono alcun diritto sulla Palestina, analizza quelle che sono le origini delle rivendicazioni sionistiche sul territorio in esame. L’origine di tali rivendicazioni sarebbe essenzialmente storica e religiosa. Per quanto concerne le motivazioni storiche, gli ebrei sostengono che, avendo, in passato, conquistato e governato la Palestina, essi possiedono ancora oggi tale diritto. A tale affermazione Rīhānī controbatte che allora, qualunque popolo abbia conquistato e governato una terra per un certo periodo di tempo, dovrebbe avere lo stesso diritto. Ad esempio, gli spagnoli dovrebbero reclamare il possesso dell’America meridionale o gli arabi quello del mezzogiorno della Spagna. Si può, quindi, affermare che le motivazioni storiche addotte a sostegno del diritto di possesso della Palestina risultano infondate.

Rīhānī considera, poi, quelle religiose: la motivazione di fondo sarebbe il patto tra Abramo e Jahvè registrato nel Vecchio Testamento, che dovrebbe essere attuato. Ma, a detta dell’A., nel patto non vi era Sion (che non corrisponderebbe a Gerusalemme), né tanto meno le colonie agricole. Sion sarebbe un ideale. Dovunque ci sono le Scritture, c’è una Sion per gli ebrei ortodossi e dovunque ci sono grandi opportunità per l’acquisizione di ricchezze e potere, lì c’è Sion per un ebreo appartenente all’alta società. Se, d’altra parte, gli ebrei credono ancora di essere il popolo eletto, essi stanno abusando del “favore divino” per segregarsi in Palestina. Se loro hanno una missione divina per il Mondo, dunque, il Mondo è il loro campo d’azione e la loro casa. Sì, essi dovrebbero stare in tutte le parti del Mondo, come lo sono stati sin dalla dispersione, ma ciò non deve essere considerata una punizione per Israele, ma una benedizione per l’umanità.

Il desiderio per un ebreo di avere una casa nazionale in Palestina implica una fuga dai luoghi in cui vive, ma il più alto desiderio dovrebbe essere quello di scoprire se stessi e realizzare la loro missione nel mondo. Gli ebrei sono riusciti a

11 Rīhānī, 1967, e, p. 55.

creare ponti finanziari e collegamenti intellettuali tra tutte le nazioni del mondo e ciò rappresenta, indubbiamente, un ideale più elevato rispetto a quello del “ritorno nella Terra Promessa”. Gli ebrei intellettuali in tutte le parti del Mondo sono l’avanguardia dell’internazionalismo, che è il precursore della pace universale e la loro fedeltà è più verso un’idea che verso una nazione. Ma la più grande meta della loro missione, come popolo eletto, dovrebbe essere quella di aiutare a distruggere le barriere non necessarie che finora esistono fra le nazioni. Però, ove essi ottenessero una nazione di loro proprietà, diverrebbero come ogni altro popolo, innalzando frontiere per difendersi ed attuando una politica di espansione. Ciò significa che essi impiegherebbero tutte le loro energie per una guerra. Gli ebrei nel mondo rappresentano un potere; però gli ebrei in Palestina diventerebbero un popolo debole dipendente sempre più dai suoi fratelli all’estero, bisognoso di una potenza straniera per difendere lo Stato sionistico.

Un’altra motivazione addotta a sostegno del diritto di proprietà della “terra dei padri” è il desiderio di ritorno alle origini per dar luogo ad una rinascita della tradizione talmudica. A tale motivazione Rīhānī replica che gli ebrei sono liberi di vivere del ricordo del passato, ma ciò che appare incomprensibile è il legame tra questo loro desiderio e la richiesta di possedere la Palestina. La nascita di uno Stato ebraico non è di alcun ausilio a tale obiettivo, anzi rappresenta un impedimento per la rinascita spirituale dell’ebraismo.

Rīhānī non nutre alcun risentimento verso gli ebrei, anzi ammira la loro cultura, la quale include le arti e le abilità più disparate, così come la letteratura. Tuttavia, afferma che questa cultura non ha alcun bisogno di Gerusalemme per il suo sviluppo. Anche gli arabi della Palestina non provano astio nei confronti degli aspetti culturali e spirituali dell’ebraismo, i quali sono incorporati oggi nell’Università di Mount Scopus e nella scuola di arte Bezalel, a Gerusalemme. Queste istituzioni sono state riconosciute ufficialmente e non saranno mai molestate; ed anche se si istituissero altre sedi in altre città della Palestina, queste non sarebbero mai ostacolate nei loro sviluppi e progressi.

Tuttavia, il sionismo, come movimento politico, a parere dell’autore, sarebbe una minaccia per la pace nel Vicino Oriente, in quanto uno Stato per gli ebrei in Palestina non può nascere senza espellere gli arabi dalle loro case, e ciò non può essere realizzato solo con i soldi. Rīhānī sostiene che gli ebrei non possono rientrare in Palestina anche per motivi di natura oggettiva, ossia non legati al disagio arrecato agli arabi. A sostegno di tale affermazione, egli riporta il resoconto di una commissione di esperti francesi, che realizzò un accurato esame sulla Palestina nell’estate del 1918. Nella relazione stilata dalla suddetta commissione venne affermato che il Paese non poteva contenere più del doppio della popolazione già presente all’epoca, anche ove la terra arida fosse bonificata e le tecniche di agricoltura fossero state migliorate.

La popolazione del tempo era compresa tra i 700.000 e gli 800.000 abitanti, ciò implica, secondo Rīhānī, che, anche nelle migliori condizioni, la Palestina non poteva contenere più di 1 milione e mezzo di abitanti. E anche ove ne avesse potuto contenere 2 o 3 milioni, lo Stato sionistico non sarebbe stato sufficiente a contenere tutti gli ebrei, al tempo, presenti nel mondo. Rīhānī, giustamente, rileva

che se la persecuzione degli ebrei nell’Europa orientale e centrale fosse continuata, e se gli ebrei oggetto di discriminazione avessero deciso di tornare tutti nella terra d’appartenenza secondo la versione biblica, essa non sarebbe stata sufficientemente grande per contenerli tutti. Infatti, all’epoca, nell’Europa orientale e centrale si stimavano quasi 7 milioni di ebrei, mentre la Palestina poteva ospitarne, volendo esagerare, solamente 3 milioni di abitanti.

Dunque, per poter creare uno Stato che permettesse a tutti gli ebrei del mondo di trovarvi rifugio, o era necessario acquisire più territori oppure i Sionisti non avrebbero mai potuto realizzare il proprio obiettivo. Però l’unico modo per acquisire più estesi territori era l’uso della forza e dunque il mantenimento dello Stato sionistico non poteva che realizzarsi con l’uso della forza. Ma, dato che i Sionisti non possedevano di per sé tale forza, questa doveva essere offerta loro da una delle potenze europee.

A tal punto Rīhānī si chiede:

Can the Jews always depend upon this foreign force?

Let us suppose that they can and that one of the European Powers will take up arms in defence of the Jewish State. What will then happen?13

Secondo Rīhānī, l’ingresso nel conflitto di una potenza straniera, a difesa dello stato ebraico, avrebbe portato ad un acuirsi dell’opposizione di tutto il popolo musulmano, ed avrebbe acceso di nuovo la fiamma del fanatismo, provocando, nel mondo, nuove crociate. D’altra parte, se gli ebrei non avessero ottenuto l’appoggio di una potenza straniera, anche con un miracolo, la piccola unità nazionale, segregata in Palestina, non sarebbe riuscita mai a mantenere l’integrità di uno Stato politico; e la sua esistenza avrebbe arrecato più danni che benefici agli altri ebrei in Europa perché, una volta stabilito lo Stato ebraico, si sarebbero creati i presupposti per la nascita di una lotta antigiudaica, ancor più intollerabile tra quelle fino ad allora conosciute. In tal caso, gli ebrei che vivevano in Europa sarebbero stati costretti a scegliere tra la rinuncia al Sionismo, con la sua doppia fedeltà, o l’emigrazione contenuta in Palestina.

Inoltre, ove uno Stato ebraico si fosse stabilito in quel paese, l’Europa cristiana avrebbe potuto chiedere agli ebrei di andarsene e di recarsi in una spiacevole e già affollata casa in Palestina. Rīhānī ritiene che nessun ebreo ragionevole avrebbe potuto prendere in considerazione a tale prospettiva: “from the frying pan of Christian Europe to the fire of Moslem Arabs”.14 Bisogna tener presente che Rīhānī non è animato da ostilità preconcetta contro gli ebrei di per sé, ma contro la proposta di creare uno Stato sionistico in Palestina, dato che ciò solleverebbe una serie di problemi non solo per gli arabi, ma anche per gli stessi ebrei. Egli si trova perfino d’accordo con la frase di Israel Zangwill: “Give the land without a people to a people without a land”,15 ma, egli rileva, la Palestina non è una terra senza un

13 Rīhānī, 1967, c, p. 66.

14 Rīhānī, 1967, d, p. 67.

popolo, né tanto meno gli ebrei sono un popolo senza terra. Infatti, gli ebrei in America si sentono più a casa propria rispetto agli americani stessi; così, anche, in Inghilterra, in Canada, ed in Francia. Lo stesso può dirsi anche per certe parti dell’Arabia, dell’Iraq e della Siria dove essi godono degli stessi diritti e delle stesse opportunità dei compatrioti arabi. Partendo da tali premesse, Rīhānī si chiede: “Why then should the Jews of the world want to be coped up in Palestine?”16

Secondo l’autore, non appare possibile che gli ebrei dell’America, perfino l’elemento aderente all’estremismo sionistico, vorrebbe stabilirsi in un Stato sionistico condannato ad essere sempre dipendente della protezione britannica o di qualsiasi altra potenza. Ciò perché anche se lo Stato ebraico riuscisse ad affermare la sua piena sovranità, non riuscirebbe a realizzare, per le ragioni suddette, gli interessi più profondi del Sionismo, ed inoltre pregiudicherebbe gli interessi degli ebrei fuori della Palestina. Nella sua analisi, l’autore sottolinea che in Palestina mancano le condizioni per la creazione di uno stato ebraico e dunque si chiede perché mai la scelta sia ricaduta proprio su tale stato.

“La casa degli ebrei” come Leo Pinsker disse, e come riportato dal defunto Dr. Gotheil nel suo libro: “need not to be the Holy Land, but wherever a fitting soil can be found for them;” “It is the God-idea and the Bible”, he argued, “that have made Palestine holy, not Jerusalem or the Jordan; and these ideas can be carried by the Jews to any land they chose for settlement”.17 Rileva Rīhānī che perfino per Theodor Herzl, la Palestina era una delle varianti per la colonizzazione ebraica; si ricorda, a tal proposito, che l’Inghilterra offrì ai Sionisti un tratto di terra in Africa Orientale.

L’accordo tra il Governo britannico e l’Associazione Coloniale ebraica S. A. che prevedeva lo stabilimento di una colonia giudaica in quella zona, però, non giunse ad alcun buon fine. Herzl, infatti, stabilì alcune condizioni, al fine di rendere il piano accettabile. La più importante tra queste era che:

the territory has to be sufficiently extensive to admit an immigration of such a character ad should be eventually a material relief to the pressure which to-day exist in Eastern Jewry18.

Proprio Herzl si rese conto che la Palestina non era sufficientemente estesa per questo obiettivo fondamentale, e lo stesso venne ribadito dagli esperti economici della Commissione di Investigazione del Governo britannico. I politici ed i visionari del Sionismo dovrebbero, semplicemente, leggere in modo razionale le varie relazioni. Altra obiezione che Rīhānī muove al progetto della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina, è dettata dalla considerazione che il Sionismo, come progetto agricolo in Palestina, si scontra disastrosamente con i diritti nazionali e con gli interessi degli arabi e dei cristiani.

Il Sionismo, come ideale nuovo del popolo ebreo, ha risvegliato il pregiudizio

16 Rīhānī, 1967, a, p. 76.

17 Rīhānī, 1967, a, p. 77.

antigiudaico che è stato, per secoli, la rovina del popolo del Vicino Oriente. Secondo Rīhānī, il protrarsi di tale situazione avrebbe riportato alla ribalta un passato doloroso per il popolo ebraico. Infatti, fuori dalla comunità nativa ebraica, prima della Guerra Mondiale, nessuno riconosceva così tanto valore al muro del pianto, con le preghiere presso questo muro vi è stata una regressione al tempo in cui la religione gestiva la vita civile dei popoli. Ma gli arabi, dopo la Guerra Mondiale, avevano diverse aspirazioni dettate da ideali nazionalistici. Essi aspiravano all’unità nazionale mossi da un nazionalismo privo di ogni interesse settario e di ogni traccia di intolleranza religiosa. In questo senso, essi risultarono più progressisti degli stessi ebrei sionisti. Perché il nazionalismo religioso era stato alla base di tutto il disagio passato, della sofferenza e della degradazione del popolo del Vicino Oriente. Invece, gli ebrei avevano rinnegato tutto il loro

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 146-159)