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Passiamo ora all’argomento che ci interessa direttamente, iniziando con una distinzione a nostro avviso fondamentale: quella tra metodo sperimentale ed esperimento.

In sociologia questi due termini sono utilizzati come sinonimi, in realtà la parola esperimento richiama una vasta gamma di procedure di indagini, le quali oscillano lungo un continuum i cui estremi sono inaccettabili per il ricercatore sociale. Nell’accezione più rigorosa esso si identifica con la ricerca di laboratorio tipica delle scienze fisico- naturali, le cui caratteristiche sono individuate nella possibilità di riprodurre determinate situazioni di ricerca in ambiente artificiale, di produrre deliberatamente ripetute variazioni di fattori o combinazioni di fattori sperimentali e di utilizzare un adeguato apparato di mezzi materiali e di tecniche per l’osservazione, la misurazione e il controllo dei fattori oggetto di studio. Nell’accezione più banale, l’idea dell’esperimento è invece del tutto assimilabile ai continui tentativi per prova ed errore nei quali siamo quotidianamente impegnati per far fronte ai piccoli e ai grandi problemi di tutti i giorni.

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È evidente allora che con il termine “esperimento”, si può indicare tutto il lavoro di un fisico che al chiuso di un laboratorio scientifico esamina il comportamento di un certo gas, quanto il comportamento di una casalinga, magari influenzato dalla pubblicità.

Secondo questa assunzione si dovrebbe parlare di esperimento solo e soltanto laddove il ricercatore ha il controllo assoluto delle condizioni che definiscono la situazione di ricerca sperimentale.

Assunzione che però non può valere per le scienze sociali.

Queste osservazioni implicano l’adozione di una distinzione tra metodo sperimentale, inteso come un sistema logico di principi e procedure conoscitive dotato di coerenza interna e l’esperimento, inteso questo come un insieme di procedure empiriche ed operative che da detto sistema sono derivate.

Il problema quindi non riguarda la logica che presiede alla ricerca sperimentale, quanto da un lato la natura dei fenomeni oggetto di sperimentazione, dall’altro la capacità della ricerca sperimentale di cogliere empiricamente quella logica nei diversi campi di applicazione.

Il fatto che ne lle scienze sociali questa capacità sia significativamente ridotta, si ripercuote sulla fondatezza delle conoscenze acquisite in via sperimentale e non sul metodo in quanto tale. Se si accetta questa distinzione, il metodo sperimentale deve allora considerarsi come uno strumento perfettamente agibile nel campo della ricerca sociale.

A questo punto per approfondirne l’analisi conviene partire da ciò che rappresenta la traduzione in schemi operativi di ricerca empirica e di analisi dei dati, vale a dire dall’esperimento.

In questa sede definiamo l’esperimento come un procedimento di ricerca empirica, in cui il ricercatore osserva gli effetti della manipolazione di una o più variabili indipendenti su un’altra variabile, al fine di stabilire tra esse l’esistenza di un nesso causale.

Il fatto di considerare l’esperimento come un procedimento di ricerca empirica, non implica affatto di essere indipendente da un qualche impianto teorico.

Infatti le ipotesi e le relazioni causali che si vogliono controllare sperimentalmente, fanno sempre capo ad un sistema integrato di conoscenze pre-esistenti, che ne guidano l’impostazione, l’esecuzione e l’interpretazione dei risultati. Come qualsiasi altro strumento di ricerca, l’esperimento in quanto tale non risolve alcun problema, se non in rapporto alle conoscenze già acquisite a riguardo del problema stesso.

Infatti l’esperimento poggia su un corpus di conoscenze teoriche ed applicative relative al fenomeno allo studio con l’obiettivo di allargare tali conoscenze.

L’idea alla base dell’esperimento è dunque la seguente: data l’ipotesi che X sia causa di Y, se provochiamo una variazione nei valori di X su un certo numero di soggetti e teniamo costanti tutte le altre possibili cause di variazione, dobbiamo poter osservare sugli stessi soggetti una variazione di Y.

Manipolazione della variabile indipendente e controllo delle terze variabili sono quindi i due elementi caratterizzanti l’esperimento e che lo distinguono dall’analisi della covariazione.

Quindi alla base della sperimentazione, si pone un modello di dipendenza funzionale, tale modello è verificato statisticamente (se nuovo) o semplicemente stimato (se già verificato).

È utile considerare che una qualsiasi relazione tra due variabili non esiste mai allo stato puro, nel senso che essa non include mai solo e soltanto le due variabili in questione.

Un esperimento coinvolge tre diversi tipi di variabili:

1. Una o più variabili indipendenti o causali (dette fattori) delle quali si intendono stimare gli effetti, principali e/o di interazione (si ha interazione quando, date più variabili indipendenti, l’effetto di una di esse sulla variabile risposta è condizionato dalle modalità (livelli) assunte dalle altre variabili indipendenti) sulla variabile risposta;

2. Una o più variabili dipendenti, che recepiscono gli effetti delle variabili indipendenti;

3. Una o più variabili estranee (fattori sub-sperimentali o di disturbo) che non sono sottoposte all’azione sperimentale (essendo di non diretto interesse per lo sperimentatore) ma che influenzano la variabile risposta. Infatti, se non tutte, alcune di esse costituiscono dei potenziali fattori causali alternativi a quelli ipotizzati dal ricercatore.

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Affermare che certe variabili sono estranee ad una certa relazione non significa negare che esse abbiano un qualche rapporto con essa, bensì che esulano dai nostri interessi contingenti.

Da questo punto di vista, il problema di fondo dell’analisi dei rapporti di causa-effetto, diventa quello di stabilire come poter eliminare i potenziali fattori causali alternativi, ovvero tutti i potenziali fattori causali tranne uno.

Questa possibilità è legata alla natura delle variabili estranee, le quali possono essere distinte in: a) variabili estranee controllate, quelle la cui influenza sulla relazione può essere controllata direttamente dal ricercatore;

b) variabili estranee di disturbo, quelle i cui effetti sulla variabile dipendente si confondano con quelli della variabile indipendente, pregiudicando così una corretta interpretazione della relazione; c) variabili estranee casualizzate, quelle i cui effetti sulla variabile dipendente possano essere neutralizzati indirettamente tramite un procedimento di casualizzazione, essendo assimilabili ad errori causali.

Il compito del ricercatore è quindi quello di “depurare” le variabili indipendenti e dipendenti dall’influenza di qualsiasi variabile estranea, così da poter stabilirne la natura con un elevato grado di fiducia.

Ossia, sulla base della classificazione appena fatta, il ricercatore deve ricondurre il maggior numero possibile di variabili estranee, a quelle del tipo a o più in generale, fare in modo che non esistano variabili estranee del tipo b.

Le fasi di cui si compone un esperimento sono: (Schema 5) Schema 5- Fasi di un esperimento

Conoscenze teoriche ed applicative sul fenomeno

Formulazione delle ipotesi sul modello di risposta

Definizione delle variabili

Costruzione del piano sperimentale

Svolgimento dell’esperimento

Analisi statistica dei risultati

Verifica del modello di risposta

• Indipendenti

• Dipendenti, altre

• unità sperimentali

• scala di misurazione delle variabili

• modalità o livelli delle variabili

•Combinazioni sperimentali (stimoli)

•Procedura sperimentale

• stima dei parametri del modello

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