3.3 Applicazione del metodo munariano nei laboratori: il “cosa”
3.3.4 Le fasi del laboratorio e il “perché”
Le caratteristiche ed i principi del metodo e dei laboratori sopra descritti, si concretizzano in fasi.
La prima fase si individua nel momento della ricerca e di progettazione da parte dell’adulto o dell’educatore, individuando gli obiettivi ed i materiali che possano conferire espressione alle attività: “il laboratorio non può essere solo immaginato: va accuratamente progettato e sperimentato prima di proporlo all’utenza finale” (Sperati, 2020, pag. 11. Ciò implica un’approfondita pianificazione, che però deve poter essere flessibile e potenzialmente modificabile nel tempo. L’esperienza laboratoriale deve essere un luogo ed un momento di apprendimento continuo per tutti, non soltanto per i bambini ma anche per gli insegnanti e gli educatori, i quali traggono vantaggio dall’esperienza per la riprogettazione successiva.
Successivamente, vi deve essere l’allestimento degli spazi e dei materiali, nel modo che più si adatta ai bisogni e alle caratteristiche dell’utenza del laboratorio, in modo tale che tutto ciò di cui si ha bisogno sia accessibile da parte di tutti i partecipanti.
Principalmente i laboratori, poiché vengono chiamati tattili dallo stesso Munari, propongono prevalentemente attività artistiche tattili di manipolazione di oggetti ed elementi.
Una volta disposto l’ambiente di apprendimento, avviene il momento dell’accoglienza dei partecipanti, momento cruciale per l’avvio delle attività. In tale fase, infatti, l’educatore predispone una sorpresa, che può essere un gesto o un’immagine, che genera nei bambini curiosità e attenzione. Inoltre, la sorpresa ha la funzione di creare un aggancio alla tematica del laboratorio e delle sue attività, inserendo i
8 Articoni, A. (2019, p. 616). <file:///C:/Users/StudioBac/Downloads/Dialnet-LarteComeGioco-7105028%20(1).pdf>. Ultima consultazione: 11 gennaio 2022.
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partecipanti in modo graduale al contesto laboratoriale, esplicitando i principi del non giudizio e della libera sperimentazione.
Il vero e proprio inizio delle attività avviene tramite quello che Sperati (2020) definisce come azione-gioco: “di fatto un gesto, un’azione che viene fatta dall’operatore per dare il via alla sperimentazione, invitando tutti a provare. È importante in questa fase privilegiare l’azione piuttosto che le parole” (ibidem). L’esempio della costruzione dell’albero, riportato a pagina 36, è un chiaro esempio del laboratorio munariano. Senza necessità di lunghi discorsi o spiegazioni, l’educatore mostra e propone l’attività. La curiosità generata e l’emozione di un nuovo contesto e sfida, conduce i bambini a mettersi in gioco e a sperimentare.
Segue perciò il momento della sperimentazione. I bambini durante le attività vengono seguiti dall’educatore il quale fornisce supporto tecnico, ovvero propongono suggerimenti, relazioni e legami tra le differenti esperienze, per favorire la domanda “in quale altro modo si può fare?” senza però intervenire e modificare sul processo e metodo progettuale di ciascun bambino. Una guida, che conduce e tiene per mano senza forzare o imporre.
Infine, vi è il momento della restituzione collettiva, dove l’operatore domanda ai bambini di esplicitare i processi impiegati. Tale momento ha la funzione di far emergere i gesti e i pensieri dei partecipanti, inoltre ciò che hanno appreso per poter raggiungere l’obiettivo: fissare perciò i concetti e gli apprendimenti. Viene utilizzato il dialogo, in riferimento all’osservazione dei lavori prodotti, per dar valore al processo con cui essi sono stati realizzati. Ricostruire il processo, ritornare sui propri passi per evidenziare ed essere consapevoli delle scelte compiute. Il momento della restituzione è fondamentale, e con esso si conclude l’esperienza laboratoriale.
Il sentiero è stato scelto, la meta è stata raggiunta. Tuttavia, come succede durante i viaggi, ciò che rimane impresso nella memoria di bambini e adulti non è soltanto la meta, ma il percorso, ovvero la strada stessa, la quale diviene il perché, il significato stesso della ricerca. Il sentiero con le sue deviazioni, imprevisti e ritrattazioni. Il progetto iniziale, definito a priori si è modificato nel tempo, e l’individuo è cambiato insieme ad esso. Il metodo progettuale munariano evidenzia questi elementi, li fa vibrare di energia
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creativa e dinamica, rendendo le esperienze uniche ma riproponibili e concrete. Il tatto, le consistenze, i colori, permettono a ciascun partecipante di poter esprimere le proprie peculiarità, inserendole in un progetto definito ma in continuo cambiamento. Permette di definire i propri sogni, i propri scopi, i propri obiettivi. Ideare un piano d’attacco e d’azione, per raggiungerli con preparazione, organizzazione e consapevolezza, senza dimenticare il divertimento e lo stupore che soltanto Munari e la sua personalità sapeva regalare, e di cui era esempio. Buzzati (1948) lo definisce come “un uomo piccolo con l’espressione sempre vagamente stupefatta di un bambino, un folletto che interviene continuamente e quotidianamente” (p. 13). Ed è ciò che all’interno della sua metodologia è possibile respirare: meraviglia, stupore, energia, creazione del proprio come, cosa e perché.
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4 L’alleanza creativa di Munari e Rodari
L’incontro tra Munari e Rodari avviene nel 1960 grazie ad Einaudi per la realizzazione delle illustrazioni per il libro Grammatica della Fantasia (1973). L’incontro sancisce un’alleanza che nel tempo diverrà sempre più forte, circa i modi di concepire la creatività, la fantasia e in special modo le parole dei due autori. La scelta da parte di Rodari di far disegnare a Munari le illustrazioni suggerisce nell’immediato una importante vicinanza, non soltanto amicale ma specialmente ideologica. Munari, infatti, era conosciuto come artista eclettico e innovatore, all’avanguardia nella realizzazione di laboratori e di immagini, oggetti e opere, che esprimessero non tanto una particolare funzione ma una progettazione e un pensiero creativo. Come evidenziato, il suo metodo progettuale anche in campo laboratoriale, riflette l’importanza che il pensiero ricopre nel percorso apprenditivo e personale di ciascun individuo, il quale deve essere stimolato da educatori e maestri aperti al dialogo, alla scoperta, all’errore. L’attenzione pedagogica che l’artista esprime attraverso il suo operato rispecchia perciò l’idea che Rodari ha circa le parole ed i racconti, ovvero di regalare al bambino occasioni speciali, uniche, stimolanti, che lo portino ad aprire la mente e avere la curiosità di imparare in modi diversi e divertenti. I disegni perciò che Munari realizza, nascono da queste idee.
Appaiono come schizzi, bozzetti, macchie di colore che riempiono le pagine in modo apparentemente disordinato. Tali illustrazioni invece hanno un sapore pedagogico, volto a sviluppare nei bambini l’idea di poter sperimentare e giocare con i colori e i disegni:
“non è una faccenda di forme, ma riguarda il nocciolo profondo delle storie che si vogliono raccontare” (Belpoliti, Faeti, Falcinelli, 2020). L’alleanza che si crea dunque tra questi due autori e che proseguirà poi nel tempo con altri libri, come Filastrocche in cielo e in terra (1960) e Il pianeta degli alberi di Natale (1962).
Si costruisce perciò un’alleanza creativa, che regala al mondo pedagogico un’occasione unica e stimolante, ovvero quella di fortificare il pensiero, il modo di apprendere di ogni persona, di scoprire, di mettersi in gioco e creare, in relazione con l’altro. Tale alleanza presenta importanti similarità, vicinanze pedagogiche e creative, essenziali da evidenziare e mettere in luce, poiché permettono di mettere in gioco il proprio modo di interpretare e vedere la realtà, assumendo nuovi punti di vista anche
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didattici. Inoltre, comprendere quanto la vicinanza di questi due maestri possa essere accolta nella quotidianità delle azioni, rivolte alla scuola, ai bambini e alla propria vita.