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Il problema e la soluzione

Nel documento Il tatto di Bruno Munari : (pagine 67-71)

3.2 La metodologia progettuale: il “come”

3.2.1 Il problema e la soluzione

Il progettista, secondo Munari, inizia la propria azione metodologica-progettuale incontrando un problema di partenza, denominato con (P). Egli affronta il concetto tramite le parole pronunciate dall’amico Antonio Rebolini, il quale afferma che “quando un problema non si può risolvere, non è un problema. Quando un problema si può risolvere, non è un problema” (ibidem, p. 35). Tale affermazione contiene al suo interno ambivalenze e paradossi, i quali tuttavia chiarificano la funzione del termine, che sussiste esattamente di tali sottigliezze. Da tale affermazione, perciò, è necessario definire cosa possa essere un problema e come esso venga esplicitato. L’artista sceglie dunque di delinearne l’origine: “il problema nasce da un bisogno” (1967, Archer).

L’artista approfondisce tale definizione, affrontando la questione della necessità.

Ciascun individuo, durante il corso della propria esistenza, sperimenta e vive momenti

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in cui desidera qualcosa di diverso, di più grande, di più stimolante rispetto alla vita condotta fino ad allora. Ecco, dunque, che sorge la necessità, il bisogno di soddisfare tale desiderio, incontrando tuttavia degli ostacoli, siano essi pratici o teorici, che impediscono di poter raggiungere l’obiettivo in modo facile o immediato. Non è possibile, infatti, trovare una soluzione (S) in modo immediato: è certamente possibile per necessità basilari ed essenziali; tuttavia, quando esse divengono più complesse e profonde, non avviene la risoluzione immediata. Nasce perciò il problema, il quale si costituisce della difficoltà stessa del soddisfare il proprio bisogno.

Considerare il problema presentato in modo approfondito, consente di poter vedere come esso possa aiutare a sviluppare le capacità, intuizioni, abilità pratiche e cognitive di chi vi si accosta. Ciò è possibile poiché, dopo aver definito l’obiettivo da raggiungere e inoltre il problema sopraggiunto, si attua il processo di introspezione e riflessione: tali meccanismi realizzano l’esplorazione interna circa le proprie capacità, la distanza che intercorre tra le proprie possibilità e abilità già acquisite e quelle invece che sono necessarie per l’ottenimento dell’obiettivo. Il problema, perciò, si contraddistingue non soltanto per caratteristiche di mancanze e di fatica, ma anche di distanza, lontananza e desiderabilità, che fungono da ponte tra ciò che dovrà essere e ciò che è ora. Tali caratteristiche, permettono dunque di migliorare la “qualità della vita” (ibidem, p. 36): come affermato infatti, il problema consente di mettere in atto meccanismi di crescita, di ricerca, di resilienza e di coraggio. Si attua una analisi del problema, una ricerca delle sue componenti che mettono in pratica l’ostacolo, per poi

appunto poterlo risolvere.

L’azione, dunque, non si esaurisce nel momento in cui avviene l’ottenimento dell’oggetto-obiettivo, come una macchina, una casa o un abito, ma persiste nella concretezza di aver ricercato, sperimentato e conquistato nuove capacità e consapevolezze. “Il problema non si risolve da solo ma contiene però tutti gli elementi per la sua soluzione, occorre conoscerli e utilizzarli nel progetto di soluzione” (ibidem).

Figura 11: Problema e soluzione nel metodo progettuale, Da cosa nasce cosa

Figura 12:

Definizione del problema nel metodo

progettuale

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È dunque necessario definire il problema (DP), rendere vivo il problema, concretizzarlo e ispezionarlo, scandagliarlo, per poter essere consapevoli di ciò che è possibile fare e agire. Tale processo, perciò, entra a far parte del processo di progettazione, così come il problema e la soluzione. La concretizzazione di tale problema viene esemplificata dallo stesso artista, il quale propone al lettore-spettatore un problema di un progettista: la creazione di una lampada. Il problema si attua nel momento in cui è necessario crearla, poiché una parte essenziale è definirne l’utilizzo, sia essa una lampada da notte, da soggiorno o da cucina. In questo momento sorge inoltre la necessità di definire non soltanto la tipologia desiderata, ma anche il destinatario a cui essa è indirizzata: una casa con ampie stanze oppure piccole, dotate di punti bui o di specchi. Una volta avvenuto ciò, ed è stato possibile definire il problema esistente, è necessario definire la tipologia di soluzione appropriata, poiché un problema può presentare diverse soluzioni e quindi molteplici strade e sentieri da seguire e percorrere. Munari differenzia i diversi tipi di soluzione in provvisoria, definitiva, semplice oppure approssimativa. Definire perciò lo scopo da ottenere, tramite un’idea iniziale che può, e deve, essere modificata nel tempo tramite le fasi successive. Definita la soluzione auspicata, è possibile suddividere il problema nelle sue componenti (CP), il quale precede l’idea pensata (I): “questa operazione facilita la progettazione perché tende ad individuare i piccoli singoli problemi che si nascondono nei

sottoproblemi” (ibidem, p. 42). Come affrontato in precedenza, la pratica dello scomporre una unità in unità secondarie è riconducibile al metodo cartesiano, al quale Munari si ispira per la costruzione della sua metodologia progettuale. La scomposizione consente di specificare il problema in diverse parti, osservando perciò l’insieme con una prospettiva differente e specifica. Mari (2001) afferma a tal proposito che “anche se la domanda iniziale, a prima vista, può sembrare chiara, anche nel caso sia stata posta dallo stesso progettista, a un primo esame rivela sempre la sua incompletezza o incertezza. Il bisogno

espresso non è mai solo ma ne sottende altri, più o meno evidenti” (p. 51). Riportando l’esempio della creazione della lampada, Munari si interroga su quali possano essere i

Figura 13:

Componenti del problema nel metodo

progettuale

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sottoproblemi di tale creazione, nella fattispecie: la tipologia di luce che essa deve emanare, il materiale che possa sostenere l’intera struttura, l’interruttore in dotazione, la forma che dovrà avere ed il costo. Una volta suddiviso il problema, è possibile ricomporre le unità con la logica econ la creatività peculiari di ciascun individuo. La molteplicità delle unità consente al progettista di avere sotto controllo ciascuna parte, avendola ben definita e chiara, riuscendo in questo modo a gestire gradualmente dapprima una singola unità, per poi passare a più unità dell’intero problema. La capacità di dividere e suddividere deve essere stimolata e allenata nell’individuo, poiché richiede elasticità, ascolto, comprensione, curiosità e riflessione. Come ogni capacità e abilità, richiede tempo ed esercizio, specie se viene dato l’esempio o un modello da poter seguire o da cui prendere esempio.

Il problema spesse volte viene interpretato dai bambini e dagli insegnanti come una parola con accezione negativa, la quale nasconde al suo interno pensieri e procedimenti complicati e illogici. Tuttavia, la sua derivazione proviene sia dal greco pros (προς) avanti, e ballein (βάλλειν) gettare, ossia gettare avanti; sia dal latino problematis ossia questione proposta. Dalle due derivazioni è perciò chiaro come la funzione del problema non sia quella di mettere in difficoltà o creare confusione nella mente dei bambini. Consente invece di mettersi in situazione, potersi mettere alla prova e creare opportunità di apprendimento dinamico e concreto, perciò efficace e fecondo. La paura legata al problema, che diviene prova, dovrebbe essere ascoltata dandone validità, facendola divenire oggetto di riflessione e occasione di confronto, ascrivendo il significato che Munari desiderava attribuirle: un momento in cui scoprire bisogni altri, bisogni che non si sostanziano di materialità o tangibilità immediata, ma che si configurano come abilità e capacità da poter sviluppare e di cui appropriarsi secondo le proprie caratteristiche e significati personali. Un apprendimento perciò basato su domande o problemi di partenza, che non fanno paura, ma che contengono al loro interno una forza motrice di creazione e fantasia. La metodologia progettuale si inserisce in tale contesto come una traccia da seguire, un sentiero per il bambino sul quale camminare, sicuro e stimolante.

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