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I laboratori e il “fare”

Nel documento Il tatto di Bruno Munari : (pagine 21-25)

Nel periodo storico dei rinnovamenti didattici in campo museale, si è visto come nel paragrafo 1.2.1 la Pinacoteca di Brera fosse all’avanguardia, pronta a recepire e mettere in pratica l’apprendimento esperienziale e di scoperta per le scolaresche delle scuole primarie. In tale dimensione, nel 1977 Franco Russoli, Sopraintendente della Pinacoteca, richiede a Munari di creare e progettare dei laboratori per avvicinare i bambini e la scuola alla realtà del museo e delle opere d’arte. L’attenzione per la scoperta, l’apprendimento e la conoscenza tramite metodologie e approcci differenti si afferma con forza nella realtà milanese. L’artista perciò accoglie tale richiesta, che lo coinvolgerà in modo definitivo e pragmatico nel mondo didattico della scuola. Il laboratorio “Giocare con l’arte” viene creato all’interno della mostra “Le mani guardano” e progettato come esperimento per un periodo limitato di tempo: dal 15 marzo al 15 giugno 1977. È uno spazio adatto ai bambini, dove secondo il desiderio del Sopraintendente, il museo non sarebbe più stato per gli alunni una “torre eburnea e

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luogo sacro di pochi eletti” ma invece un luogo e un “organismo vivo, capace di essere strumento di comunicazione di massa e servizio sociale”1. L’obiettivo di tale laboratorio è perciò far avvicinare i bambini alle opere d’arte, non per leggere il loro messaggio o significato, ma per saperle guardare e osservare con attenzione e spirito critico. Tramite giochi con elementi specifici quali le texture, i colori, i segni, i collage, i bambini scoprono i materiali e le loro qualità e caratteristiche. Toccano, manipolano, osservano gli oggetti, disegnano, incollano, secondo il proprio sentire e la propria fantasia e creatività, senza essere limitati da un adulto che ne determina le regole. L’elemento chiave, inoltre, si costituisce della rottura della norma. Non più un museo all’interno del quale non è possibile toccare nulla: ora il museo rende il toccare un momento essenziale e quasi obbligatorio per permettere di vivere l’esperienza di apprendimento a tutto tondo. Il primo laboratorio ottiene un grande successo e viene proposto un secondo laboratorio, a Faenza nel 1979 nel Museo Internazionale delle ceramiche. La possibilità di far scoprire ai bambini e far manipolare l’argilla facendola poi divenire ceramica e scoprendone le potenzialità, prosegue l’idea strutturata nel 1977 della tattilità come strumento di conoscenza. Le tecniche utilizzate per la lavorazione non sono perciò un mero esercizio e ripetizione di ciò che si conosce, ma la necessità di

poter arrivare individualmente e in modo indipendente alla creazione dell’oggetto. I laboratori diventano parte attiva all’interno delle mostre alla Pinacoteca di Brera, mentre vengono sviluppati anche in altri musei, come a Prato e a Pecci,

perdurando nel tempo. L’opera laboratoriale di scoperta e sperimentazione adoperata dall’artista diviene famosa anche all’estero, ed egli condurrà laboratori anche a Parigi, Gerusalemme, Rio de Janeiro e Tokyo.

Tra il 1974 e il 1978, anni dove erano in atto i laboratori, Munari scrive due libri:

“Rose nell’insalata” (1974) e “Disegnare un albero” (1978). Il primo riguarda l’esperienza

1Munlab, Per una storia sui laboratori,

<http://www.munlab.it/_html/ipo_index.php?whatdo&is6>, ultima consultazione: 25 ottobre 2021.

Figura 4: Rose nell'insalata, p. 30 e 31

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diretta dell’artista: in cucina la moglie aveva tagliato un cespo d’insalata per buttarne via lo scarto. Munari lo prende e decide di intingerlo nell’inchiostro e farne uno stampo (Figura 4). Così, per diversi tipi di frutta e verdura, come mostra in un episodio de “La

scatola dei giochi” trasmesso dalla RAI nel 1976

(https://www.youtube.com/watch?v=wv8u3Geakgk). Tale procedura, apparentemente semplice e infantile, racchiude la capacità di applicare la propria creatività e pensiero divergente, per poter destrutturare il significato dell’insalata come oggetto che si mangia, per tramutarlo in strumento per dipingere. Inoltre, le differenti forme ottenute dai diversi ortaggi, stimolano la fantasia e la creatività dei bambini: come è possibile vedere e sentire nel video, i bambini sono completamente assorbiti dall’esperienza del timbrare, commentando a voce alta le diverse forme ottenute attribuendone con divertimento figure di animali o oggetti del quotidiano, come una vasca, un fiore, un quadrifoglio, una palla. Avviene perciò il meccanismo di comprensione profonda delle possibilità materiali che ci circondano, rompendo i limiti del concreto per ridare nuovi significati agli oggetti semplici e ordinari. Il secondo libro, ovvero “Disegnare un albero”

(1978, Figura 5), albero definito dallo stesso artista “esplosione lentissima di un seme”.

Partendo da un semplice segno su un foglio, Munari racconta la storia della crescita dell’albero, sia come una storia sia come una tecnica per poter imparare a disegnarlo.

Da ogni ramo, nascono due rami e via dicendo, fino a formare una grande albero frondoso. Ne approfondisce poi le grandezze, le lunghezze, le condizioni di vita, per dimostrare che nonostante si possa partire da uno stesso segno, ogni albero è diverso e con le proprie caratteristiche. Con lo stesso intento, crea nel 1980 “Come disegnare il sole”. Un libro che mostra ai bambini non solo i modi con cui è possibile realizzare il sole e i suoi colori, ma anche approfondendone i diversi punti di vista: il sole dietro ad una foresta, o all’orizzonte con una barca davanti. Questi libri, della collana “Disegnare, colorare, costruire” vengono descritti dallo stesso Munari come libri “con l’intento di aiutare gli insegnanti delle scuole elementari, nel loro lavoro di informazione degli elementi del linguaggio visivo. Hanno lo scopo di evitare gli stereotipi che si trovano nei disegni infantili”. È possibile intenderli pertanto non solo come libri “operativi”, dove il bambino impara a disegnare. Ma anche come libri inclusivi e di attenzione all’altro. Con

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lo sguardo è possibile valorizzare infatti le differenze delle immagini e coglierne le specificità per poter descrivere e comprendere la realtà, proiettando poi queste capacità al reale nella vita di tutti i giorni. Questi libri sono esemplificativi del pensiero dell’artista in quegli anni e di come il suo metodo si stia delineando e arricchendo delle esperienze e delle creazioni sviluppate, anche tramite i laboratori. A cavallo tra i due libri, egli realizza un libro fondamentale per il suo metodo e per la testimonianza del suo pensiero:

“Fantasia”, nel 1977. Egli delinea al suo interno i significati che per lui ricoprono le parole fantasia, invenzione, creatività ed immaginazione. “Se vogliamo che il bambino diventi una persona creativa, dotata di fantasia sviluppata e non soffocata (come in molti adulti) noi dobbiamo fare in modo che il

bambino memorizzi più dati possibili, nei limiti delle sue possibilità […] per permettergli di risolvere i propri problemi ogni volta che si presentano”

(1977, p. 30). Munari, perciò, teorizza e ripercorre i passaggi che concorrono alla formazione del bambino creativo,

felice, autonomo. In accordo con tale idea, scrive “Da cosa nasce cosa: appunti per una metodologia progettuale” nel 1981. Dal titolo attribuito, è possibile comprendere come l’artista abbia definito la metodologia personale sul progettare ovvero sul trovare la strada giusta per affrontare e risolvere i problemi. “La conoscenza del metodo progettuale, del come si fa a fare o a conoscere le cose, è un valore liberatorio: è un <fai da te> te stesso” (p. 9). Egli parte dal definire i problemi all’interno del mondo del design, mondo a lui familiare, per poi proseguire la sua ricerca alla sfera del quotidiano, avvicinandosi quanto più possibile al mondo dei bambini. Tali libri sono esemplificativi del suo pensiero, poiché ne determinano le caratteristiche e i fondamenti della costruzione del suo metodo.

Figura 5: particolare della copertina "Disegnare un albero"

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Nel documento Il tatto di Bruno Munari : (pagine 21-25)