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Il gioco del niente

Nel documento Il tatto di Bruno Munari : (pagine 104-107)

4.2 Le Parole di Rodari

4.2.5 Il gioco del niente

Il momento del gioco diviene sia per Munari sia per Rodari, un momento di apprendimento e sperimentazione.

Per Munari, il gioco viene svolto e applicato all’interno del contesto laboratoriale, secondo il proprio metodo, grazie al quale i bambini con semplici e comprensibili consegne, mettono in gioco le proprie capacità e abilità per costruire un prodotto, dando valore al processo. È un vero e proprio momento di apprendimento esperienziale, dove il gioco inserisce i bambini in una dimensione sicura e protetta, per poter produrre ipotesi e verificarne le attese.

Anche per Rodari, il gioco è inteso come un vero e proprio metodo e mezzo, tramite il quale apprendere e conoscere. All’interno della sezione Mangiare e giocare a mangiare (1973, p. 107), lo scrittore riflette sul valore del gioco e dell’imitazione, partendo da considerazioni pedagogiche di Maria Montessori circa il pensiero assorbente, grazie al quale il bambino interiorizza e impara progressivamente osservando il comportamento e le parole della madre e di chi lo circonda. “Il discorso materno è spesso immaginoso, poetico, trasforma in un gioco a due il rituale del bagno, del cambio, della pappa, accompagnando i gesti con continue invenzioni” (ibidem, p.

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108). Nei differenti momenti di vita quotidiana che la mamma e il bambino si trovano a vivere insieme, i ritmi della giornata vengono scanditi dalle diverse attività, creando una vera e propria routine dove il bambino si sente accolto e sicuro. La ripetizione delle azioni, dei gesti, delle parole talvolta tramite cantilene o brevi canzoni, connota quel determinato momento di piacevolezza, serenità, invitandolo ad entrare nella dimensione del gioco. Infatti, il bambino sentendosi coinvolto, si presta a tale gioco che risveglia in lui attenzione e curiosità. In particolare, Rodari riporta l’esempio di una madre che per far divertire il proprio bambino nel momento della pappa, fingeva di ficcarsi il cucchiaio nell’orecchio. Infatti, il mangiare diviene un momento quotidiano, talvolta noioso per il bambino, mentre “un giocare a mangiare” diviene “recitare la colazione. Anche vestirsi, o spogliarsi, diventano più interessanti quando prendono la forma di un giocare a vestirsi, giocare a spogliarsi” (ibidem). Il gesto della madre di utilizzare il cucchiaio per un altro scopo estrania e allontana il cucchiaio dal suo significato originale, inserendolo in un contesto lontano, diverso e curioso. Gli viene attribuito un altro significato, ed è ciò che per Rodari è fondamentale nel momento del gioco e del raccontare le storie. È tramite l’interpretazione e assegnazione di nuove accezioni, nuovi mondi, nuovi ruoli, l’oggetto si trasforma e assume un nuovo modo di essere inteso e percepito dal bambino. Il cucchiaio diviene una pipa, una lingua, un badile con cui scavare per cercare un tesoro; il piattino diviene un’automobile, un aereo, che vola e va a trovare amici e parenti, vola in cielo e infine raggiunge l’aeroporto; lo zucchero “offre tre strade all’invenzione: secondo il colore, il sapore, la forma” (ibidem, p. 111). È possibile, dunque, far diventare ogni oggetto, anche quello più comune, un personaggio protagonista di una storia, facendogli vivere avventure, attraversare ostacoli, incontrare altri personaggi ed esplorando luoghi fantastici. In questa dimensione, è possibile sviluppare quelle che il maestro chiama ipotesi fantastiche, con la forma della domanda cosa succederebbe se. Si delinea perciò una situazione dove la possibilità di svolgimento sono infinite, molteplici e mutabili. È possibile pensare a situazioni impossibili con personaggi improbabili: coccodrilli con dei cappelli che ballano il tip tap, aerei che volano tra nuvole di cioccolato, e così via. Tramite ipotesi fantastiche, il bambino si immerge nelle profondità del gioco, dove egli mette in discussione tutte le

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sue conoscenze fino ad allora acquisite, per poterle stravolgere, confermare, indagare e modificare. Il cosa succederebbe se invita ogni individuo a spogliarsi delle proprie convinzioni, credenze e rigidità, per abbracciare invece la dimensione del gioco, della scoperta e della novità. Si utilizza infatti la fantasia “per stabilire un rapporto attivo con il reale” (1973, p. 44) dove la stranezza spiazza e aiuta a far lavorare la creatività e la fantasia. Il gioco è necessario per far comprendere al bambino di non rimanere ingabbiato dalle convenzioni routinarie, ma invece aprire il proprio pensiero, le proprie conoscenze e modo di apprendere ad altre prospettive e possibilità: “il mondo si può guardare ad altezza d’uomo, ma anche dall’alto di una nuvola (con gli aeroplani è facile).

Nella realtà si può entrare dalla porta principale o infilarvisi, è più divertente, da un finestrino” (ibidem).

Oltre a rendere gli oggetti protagonisti delle storie, in contesti sia strampalati sia quotidiani, Rodari propone la dinamica della sparizione, denominata sottrazione fantastica. Essa consiste, all’interno dello svolgimento di un ragionamento fantastico, nel far scomparire gradualmente tutti gli elementi, siano essi personaggi o oggetti, del racconto e del mondo: quando scompare il sole, il mondo rimane al buio; quando scompare il denaro, il mondo ha dei problemi; quando scompare la carta, le olive rotolano per i frutteti. Togliendo oggetto dopo oggetto, si arriva perciò ad un mondo vuoto, un mondo di niente: “c’era una volta un omino di niente, camminava su una strada di niente che non andava in nessun posto. Incontra un gatto di niente, che ha dei baffi di niente, coda di niente, artigli di niente…” (p. 112). Rodari lo chiama gioco del niente, il quale compiono gli stessi bambini chiudendo gli occhi. Il gioco del niente “serve a dar corpo alle cose, a isolare dalla loro apparenza la loro stessa esistenza. Il tavolo diventa straordinariamente importante nel momento preciso in cui, mentre lo guardo, io dico <il tavolo non c’è più>. È come se lo guardassi per la prima volta, non per vedere com’è fatto, questo lo so già, ma per accorgermi che c’è, che esiste” (ibidem). Il gioco, dunque, è una presa di coscienza della realtà, un modo per attribuire continuamente un significato, il quale non è mai univoco, come afferma Munari, ma al contrario si modifica nel tempo, proprio perché ciascun individuo muta nel tempo. La consapevolezza che le cose attorno al bambino esistano, regala sicurezza e curiosità nell’interagire con il

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mondo, e conduce il bambino a giocare con la realtà, con se stesso e con il modo di vedere e interpretare le cose. Un gioco che quindi non è “tempo libero dal lavoro, non è mera evasione né rifiuto della realtà […]. In sostanza, il gioco offre un particolare significato all’attività degli allievi perché, in ogni caso, contribuisce a liberare e a sviluppare la creatività e l’originalità in ogni soggetto” (Guido & Verni, 2006, p. 31), infatti “anche inventare storie è una cosa seria” (Rodari, 1973, p. 112).

Nel documento Il tatto di Bruno Munari : (pagine 104-107)