2.3 Il gioco come caleidoscopio per scoprire e scoprirsi
2.3.4 Il ruolo dell’adulto nel gioco e nella relazione educativa
Il porre al centro il bambino come soggetto dell’apprendimento, non preclude la possibilità di considerare e porre l’attenzione sul ruolo dell’adulto nel momento del gioco. Come precedentemente affermato, il gioco deve essere libero e senza costrizioni, possibilmente senza o con ristrette spiegazioni da parte di insegnanti o genitori. Tali spiegazioni, evidenziate dalle domande stimolo dell’animatore nel gioco creativo dell’albero, sono brevi e chiare. Non impongono, ma suggeriscono al bambino la via da seguire, ma non come seguirla. Zago (2013) afferma, riferendosi alla pedagogia di Maria Montessori, che la maestra ma in questo caso, l’adulto nei confronti del bambino “non fa altra cosa se non aiutarlo in principio ad orientarsi tra tante cose diverse e ad apprenderne l’uso preciso […]; ma poi lo lascia libero nella scelta e nell’esecuzione del lavoro” (p. 181). Il ruolo dell’adulto, perciò, si configura come una guida, come un cartello stradale, blu e quadrato, che consiglia ma non obbliga. Munari, parlando dei giochi per bambini, scrive all’interno de Da cosa nasce cosa (1981) un paragrafo, breve ma ironicamente incisivo, tratto distintivo della sua personalità e stile, dedicato ad un pensiero rivolto agli adulti: “bisognerebbe fare anche alcuni giocattoli didattici per adulti, per rimuovere dei preconcetti, per far fare ginnastica alla mente, per liberare energie nascoste […]. Bisognerebbe allenare e abituare gli adulti a capire i bambini. […]
Fino a un certo punto gli adulti dovrebbero insegnare ai bambini, poi dovrebbero imparare da loro a conoscere il mondo. Il mondo reale, non quello artificiale degli affari”
(p. 251). Munari in queste righe concentra probabilmente la frustrazione derivante dal periodo storico del boom economico, dove la produzione di un prodotto funzionale alla vendita offuscava le menti a discapito, appunto, della creatività e della fantasia dei bambini. Tuttavia, tali frasi racchiudono in uno scrigno prezioso il pensiero e il ruolo che l’artista fa indossare agli adulti. Egli sostiene che essi devono imparare a rientrare in contatto con il mondo “reale”, con il proprio bambino interiore, per riscoprire la bellezza dell’imparare e del conoscere con curiosità sempre viva e vibrante, in ottica del “Lifelong Learning” o apprendimento permanente, durante tutto l’arco della vita. Secondo Aleandri (2011), prima del secondo dopoguerra, l’educazione rivolta agli adulti viene concepita come una compensazione o recupero delle lacune sviluppate durante il periodo di formazione giovanile. Una prospettiva quindi che non stimola alla
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prosecuzione del percorso di apprendimento, ma che quasi si configura come una vergogna o una mancanza. Dal secondo dopo guerra invece, si comprende l’importanza dell’aggiornamento e perfezionamento professionale, per adempiere alle nuove esigenze del periodo. L’educazione degli adulti quindi si unisce alla concezione dello sviluppo della persona inserita nel processo continuo della vita. Tale concezione, è la chiave che permette di pensare di “non essere mai arrivati” e perciò a non ergersi detentori del sapere e del potere, ma invece individui in crescita e in scoperta, come i bambini. Dunque, il ruolo dell’adulto rimane come guida consapevole del percorso in formazione del bambino, lo accompagna delicatamente verso l’obiettivo da raggiungere. Non evitando certamente gli ostacoli, ma aiutando ad individuare il modo più adatto per risolvere o superare i problemi. In particolare, Freire (2004) afferma che
“non vi è insegnamento senza apprendimento […]. Chi insegna nell’atto di insegnare apprende, e chi apprende nell’atto di farlo, insegna” (p. 25). La relazione educativa che si instaura perciò tra adulto e bambino, si configura in una sorta di spazio di manovra, dove il bambino sente di avere al suo fianco e come supporto un adulto competente e che ha a cuore la sua persona, ma che allo stesso tempo gli consente di poter “rendere possibile la separazione” ovvero “creare delle evasioni, degli spazi di erranza e di libertà da cui l’individuo possa uscire” (Mariani, 2021, p. 19). Tale distanza tra educando e educatore consente di non percepire solitudine, percependo invece la libertà di potersi esprimere ed esplorare. L’adulto deve essere consapevole di tale spazio, rispettandolo e applicandolo in modo empatico e resiliente, poiché concorre all’affermazione individuale del bambino. Egli deve spronarlo e incentivare la ricerca per la sua crescita, ascoltando le sue insicurezze e timori, senza imporsi. È essenziale, infatti, che il bambino possa provare emozioni e situazioni spiacevoli, tristi o negative, senza venire per questo giudicato, sminuito o al contrario sostituito dall’adulto per la risoluzione delle difficoltà.
In quest’ottica di ascolto e rispetto, si ricollegano i diritti dello sviluppo e ai diritti di personalità, per avere “gli apporti positivi che sono indispensabili per costruirsi compiutamente come persona”, trattati all’interno della Convenzione ONU del 1989.
Inoltre, riprendendo “i diritti dei bambini” di Malaguzzi (1993), egli evidenzia il ruolo dell’adulto e dell’insegnante in quanto alleato che predilige non la trasmissione del
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sapere, ma la trasmissione di strategie e tecniche per l’apprendimento. Essi sottolineano l’importanza del garantire ai bambini tali diritti: la comunità educante si configura come garante del mantenimento e rispetto di tali diritti, per consentire ai bambini una crescita serena e consapevole delle proprie possibilità. Garante in tutti i momenti in cui la relazione bambino-adulto si attua: non soltanto in contesti formali come la scuola o la famiglia, ma anche in contesti informali come attività ludiche o esplorative.
Il gioco diviene perciò terreno di prova, di confronto con gli altri e con se stessi, per apprendere e mettersi in discussione. Apprendere non soltanto contenuti, leggi, schemi, ma anche sviluppare le otto competenze chiave europee per l’apprendimento permanente, contenute all’interno del documento della Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006; inoltre sviluppare le competenze trasversali contenute all’interno del Decreto Ministeriale 774 del 4 settembre 2019. In particolare, la pedagogia di Munari sembra concentrarsi su alcune competenze, nello specifico la competenza in materia di consapevolezza ed espressioni culturali e la competenza imprenditoriale, quest’ultima definita dalla Raccomandazione come “alla capacità di agire sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri. Si fonda sulla creatività, sul pensiero critico e sulla risoluzione di problemi, sull’iniziativa e sulla perseveranza, nonché sulla capacità di lavorare in modalità collaborativa al fine di programmare e gestire progetti che hanno un valore culturale, sociale o finanziario. […] Le capacità imprenditoriali si fondano sulla creatività, che comprende immaginazione, pensiero strategico e risoluzione dei problemi, nonché riflessione critica e costruttiva in un contesto di innovazione e di processi creativi in evoluzione” (2006). All’interno di tale definizione quindi, si denotano parole chiave affrontate in precedenza, come la creatività, la risoluzione di problemi, l’immaginazione e il pensiero critico. Il momento del gioco è dunque un diritto, un momento di piena libertà per la comprensione dl se. È momento di apprendimento e di scoperta, che stimola il bambino a sviluppare in modo dapprima inconscio e progressivamente più consapevole, il proprio processo apprenditivo e formativo.
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