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La filiera del sistema moda italiano

Nel documento CAPITOLO I IL CONCETTO di STRATEGIA (pagine 110-140)

CAPITOLO III Il settore moda

3.2.2 La filiera del sistema moda italiano

Per individuare correttamente il libero dispiegarsi del sistema moda, molto importante è l’individuazione delle problematiche relative alle fasi produttive della filiera Tessile – Abbigliamento – Calzature (TAC) 264.

Innanzitutto bisogna distinguere tra fasi a monte, in cui ritroviamo quelle imprese che producono semilavorati per gli stadi successivi, e fasi a valle, che si focalizzano, invece, sulla realizzazione e distribuzione.

In generale l’intera catena produttiva si compone di una fase di progettazione, una di produzione ed una di distribuzione, accompagnate da servizi di supporto come studi di tendenze, ricerche di mercato, fiere, attività di pubbliche relazioni e così via.

Seppur si possono individuare competenze specifiche per le singole attività individuate nella filiera, secondo quella che è un opinione condivisa dalle maggiori associazioni di settore265, il punto di forza del sistema moda italiano è proprio nella capacità di integrazione di tali attività; infatti si è dimostrato vincente, anche in periodi negativi, il modello di filiera che lega le prime lavorazioni tessili alla distribuzione finale, in modo da cogliere tempestivamente i segnali provenienti dai consumatori finali266.

Seguendo questa classificazione delle imprese a seconda degli stadi della filiera in cui operano, si possono distinguere le aziende primarie, che producono fibre, filati e tessuti per le aziende che operano nell’abbigliamento, effettuando studi sui trend stagionali o avvalendosi dei cosiddetti Bureaux du Style267, e aziende secondarie, che realizzano capi finiti in collaborazione con stilisti interni o esterni268.

264 F. Fontana, M. Caroli, (2004), L’industria della moda in Italia, Scuola di management, quaderno di ricerca n. 4, Roma, RIREA.

265 I riferimenti sono Sistema Moda Italia e Fidertessile. Per maggiori spiegazioni su quest’ultima associazione si rimanda alla nota 31.

266 F. Fontana, M. Caroli, (2004), L’industria della moda in Italia, op.cit.

267 I Bureau du style sono istituti previsionali che propongono e vendono pubblicazioni (i cosiddetti cahier du style o cahier de tendence) nelle quali forniscono elementi riguardo ai colori, all'aspetto delle materie ed alle linee di tendenza, nonchè tutti gli strumenti per la formulazione delle tendenze moda future; rientrano tra le imprese di servizi che fanno delle informazioni moda il loro business. A. Burresi, S. Guercini, (2002), La rappresentazione del mercato in funzione dell'innovazione di prodotto nelle imprese del tessile e

In realtà, l’ultimo decennio del ventesimo secolo è stato caratterizzato dalla progressiva crescita del controllo esercitato dalle grandi marche e griffe sulle attività industriali; se, infatti, inizialmente il modello italiano è cresciuto grazie al fenomeno della licenza produttiva e commerciale, oggi, invece, le stesse aziende stanno appropriandosi della filiera produttiva, spesso acquisendo le stesse aziende licenziatarie, secondo la considerazione per cui il presidio dell’attività industriale consente di controllare meglio la qualità ed i tempi269.

Molte imprese hanno realizzato anche strategie di integrazione a valle, aumentando il controllo della distribuzione attraverso reti di negozi monomarca, diretti o in franchising.

Queste evoluzioni hanno portato al nascere di un sistema multi sfaccettato, al cui interno operano numerose tipologie d’impresa:

- le griffe: imprese che operano prevalentemente nell’abbigliamento moda all’interno del prêt-à-porter, o imprese del lusso che operano negli accessori di prestigio, con elevate competenze artistico-progettuali ed un forte orientamento al prodotto; sono per lo più imprese che si collocano nella fascia altissima del mercato, hanno uno stilista forte (griffe) o un marchio di grande prestigio (lusso). Il sistema di offerta comprende un insieme diversificato di prodotti (total look) che include categorie dell’abbigliamento e degli accessori, in tal caso, quasi sempre realizzati su licenza, come profumi, cosmetici, articoli per la casa. Dal punto di vista del mercato, operano in ambiti competitivi globali con un forte sviluppo del marchio e dell’immagine a livello internazionale ed una

abbigliamento, Congresso Internazionale ”Le tendenze del marketing in Europa”, Ecole Supérieure de Commerce de Paris - EAP, 25-26 Gennaio 2002.

http://venus.unive.it/dea/ricerca/convegni/marketing/Materiali/Paper/It/Burresi%20Guercin i.pdf

268 F. Fontana, M. Caroli, (2004), L’industria della moda in Italia, op.cit.

269 B. Giannelli, S. Saviolo, (2001), op.cit.

struttura distributiva orientata ai negozi monomarca. Per quel che riguarda l’assetto proprietario, possono essere indipendenti o controllate da grandi gruppi diversificati:

sono imprese del genere Armani, Versace, Cavalli, e tra i marchi del lusso Hermès, Chanel, Ferragamo.

- Grandi gruppi del lusso: imprese operanti in diversi settori merceologici per lo più appartenenti alla fascia alta del mercato come l’abbigliamento, gli accessori, i profumi e i gioielli; rappresentano tipologie d’imprese che si sono affermate negli anni novanta come effetto della concentrazione del comparto moda. Dal punto di vista del mercato sono imprese globali i cui singoli marchi in portafoglio hanno un’immagine ed una reputazione internazionale; la distribuzione assume grande importanza ed è spesso direttamente controllata, con molti punti vendita a livello mondiale. Si tratta per lo più di holding finanziarie o industriali: nel primo caso vi è forte autonomia delle singole società, la casa madre si limita ad una gestione economico-finanziaria del portafoglio;

viceversa nel caso di holding industriali, mirano ad ottenere sinergie produttive, logistiche ed organizzative tra le diverse società. Questi gruppi sono in genere quotati in borsa, come ad esempio LVMH, Gucci, Mariella Burani.

- Grandi imprese industriali integrate: sono imprese che, partite generalmente dal settore tessile, si sono poi integrate a valle con lo sviluppo di marchi propri.

Presentano un elevato stampo industriale, con un’offerta ampia, sia in termini di prodotto che di fasce di mercato ; generalmente controllano integralmente la produzione e spesso anche la distribuzione. Hanno per lo più una

presenza internazionale nel settore, e sono controllate dalle famiglie formatrici come ad esempio Zegna e Max Mara;

sempre più frequentemente, effettuano una strategia di crescita e di espansione attraverso la quotazione in borsa, come Benetton e Marzotto.

- Medie imprese industriali: presentano un sistema di offerta più ristretto, con marchi propri o licenze per conto d’altri marchi; si focalizzano su ristrette fasce di mercato o su segmenti specifici, sono per lo più imprese industriali o commerciali. Per tali ragioni, presentano un’attenzione elevata al mercato interno di riferimento, piuttosto che a quello internazionale, anche se molte di queste tendono ad intraprendere sempre di più una logica di sviluppo puramente internazionale. La distribuzione è multimarca, l’assetto proprietario è familiare, tra queste imprese, si possono collocare Aeffe, La Perla, Colmar, Golden Lady.

- Piccole imprese industriali: sono specializzate su una singola categoria merceologica, operano con marchi propri o su licenza, per lo più rivolte al mercato interno, con distribuzione multimarca, sono generalmente a proprietà familiare. Per quanto riguarda queste imprese, grande importanza assumono i loro fornitori di riferimento che possono essere: terzisti, imprese medie e medio-piccole che realizzano l’intero prodotto o parte del lavoro a questo connesso, o cosiddetti façonisti, imprese piccole o artigiane che realizzano singole fasi manifatturiere.

- Catene integrate verticalizzate: sono imprese direttamente coinvolte nella fase di distribuzione, che controllano direttamente o con accordi di franchising un network di

negozi molto ampio, su base internazionale, sotto un’unica insegna. Sono imprese integrate poiché gestiscono la fase di sviluppo del prodotto e gli assortimenti, oltre, ovviamente alla fase distributiva, mentre esternalizzano la fase di industrializzazione e di produzione. Tra gli esempi più famosi: Gap. Hennes & Mauritz (H&M), Zara270.

3.2.3- Sviluppo del prodotto e della produzione

Le fasi produttive del sistema moda, lungo una logica di filiera, hanno come peculiarità l’eterogeneità sia delle caratteristiche delle fasi stesse, sia delle imprese che le effettuano; è dunque opportuno delineare un quadro esaustivo del ciclo produttivo nel settore tessile-abbigliamento.

I primi stadi di lavorazione coinvolgono esclusivamente le imprese produttrici di filati e tessuti, mentre le successive fasi sono proprie delle aziende di abbigliamento e distribuzione.

Le fasi produttive possono essere suddivise in comparti; ad esempio, secondo la fibra oggetto di trasformazione tecnico-fisica, possiamo distinguere il comparto tessile laniero, quello tessile cotoniero e liniero, tessile serico e tessile fibre271.

L’analisi della struttura della filiera manifatturiera nel settore tessile è, in questo caso, fondata sulla base di una classificazione tradizionalmente utilizzata dalle Associazioni di categoria, nel caso specifico la Federtessile272, che prevede la sequenza:

270 S. Saviolo, Gestione delle imprese, Monografia in Enciclopedia della moda, Treccani, 2004, pp 701-719

271 F. Fontana, M. Caroli, (2004), op.cit.

272 Federtessile è la denominazione abbreviata della Federazione fra le Associazioni delle Industrie Tessili e Abbigliamento. Costituita nel 1975 rappresenta, per i problemi comuni, l'intera filiera del settore a livello nazionale e internazionale, nei rapporti con le istituzioni, le amministrazioni, le organizzazioni economiche, politiche, sindacali, sociali e culturali.

Ha il compito di tutelare e promuovere gli interessi dell'industria tessile e dell'abbigliamento nelle sue varie componenti, nei vari comparti del ciclo produttivo.

http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/f/federtessile.php

1. Settore delle fibre 2. Settore tessile

- Comparto laniero

- Comparto cotoniero e liniero

- Comparto serico

- Comparto nobilitazione

- Comparto tessili vari e prodotti tecnici 3. Settore abbigliamento

- Comparto abbigliamento in tessuto

- Comparto abbigliamento in maglia e

calzetteria273.

Questo è particolarmente vero nel sistema moda, soprattutto in Italia, dove esiste un livello elevato di specializzazione per attività o fase.

Per quanto riguarda le fasi successive di produzione e trasformazione, le logiche operative alla base, soprattutto nell’abbigliamento possono seguire due tipi di sviluppo, il primo è quello programmato, ossia le imprese producono solo quella parte del sistema di offerta che è già venduto, secondo la seguente cronologia : creazione del campionario, vendita, acquisizione ordini, lancio produzione, consegna; in questo modo si riducono e si limitano le rimanenze di prodotto finito. Viceversa, invece, nella logica dello sviluppo continuativo, le imprese producono l’offerta pianificata per la stagione, sulla base di previsioni di vendita: pianificazione della produzione, lancio della produzione, vendita, consegna, il tutto privilegiando uno snellimento dei tempi. Nella realtà le due logiche convivono, infatti, da una parte grazie alla logica continuativa si possono sfruttare tempi di consegna più ristretti, dall’altra la logica del programmato rimane l’unica soluzione possibile per il prodotto moda in senso stretto; ne

273 F. Fontana, M. Caroli, (2004), op.cit.

deriva che permangono le due strutture d’offerta sia a livello di prodotti moda che a livello di prodotti continuativi274.

Per quanto riguarda nello specifico lo sviluppo della produzione, questa prende le mosse dalla creazione del campionario stagionale, a cui partecipano l’ufficio stile e l’ufficio modelli, dove prende avvio la fase di disegno dei modelli275.

I responsabili commerciali, contemporaneamente, analizzano i dati di vendita della stagione precedente, formulano obiettivi commerciali e linee guida di posizionamento della collezione.

Gli stilisti si occupano della collezione dal punto di vista delle forme, dei colori e dei tessuti, mentre coloro che ricoprono ruoli più manageriali, come il responsabile di linea o il responsabile merchandising, prendono le decisioni finali sulla costruzione della collezione276.

Dopo la fase modellistica, che porta alla realizzazione di cartamodelli, prototipi e successivamente capi campionario, e definita la collezione, si passa alla realizzazione di una distinta di pianificazione che descrive materiali, modalità e cicli di produzione, stabilendo da chi, come e in che tempi verrà prodotto l’articolo277.

Le fasi di lavorazione vengono effettuate nei laboratori, che possono essere interni, e allora si parlerà di reparti, o esterni; il ricorso alla subfornitura riguarda soprattutto le attività ad alto contenuto di manodopera, cioè la cucitura e lo stiro278.

Se non ci sono le condizioni per effettuare il lancio, si devono creare una distinta base ed un ciclo di produzione alternativi; in questa fase vengono anche calcolati i costi della collezione279.

I costi calcolati sono i cosiddetti costi standard, ossia il costo industriale di un capo, determinato da tutti i costi diretti e indiretti attribuibili al prodotto; tale costo deve essere indipendente da come e dove è

274 S. Saviolo, Gestione delle imprese, (2004), op.cit.

275 G. Malossi, (1998), op.cit.

276 S. Saviolo, Gestione delle imprese, (2004), op.cit.

277 S. Saviolo, Gestione delle imprese, (2004), op.cit.

278 G. Malossi, (1998), op.cit.

279 L. Brusa, (2000), Sistemi manageriali di programmazione e di controllo, Milano, Giuffrè.

stato prodotto l’articolo e si ottiene considerando i consumi previsti in distinta/ciclo di produzione e ponderando i costi medi dei materiali/accessori e delle lavorazioni per il mix dei fornitori e il mix dei cicli/distinte280.

Il punto di arrivo è, ovviamente, il processo di vendita; a tal proposito, l’obiettivo principale delle aziende operanti nel settore è di conseguire i tempi più rapidi possibili, al fine di ottenere celermente gli ordini dei clienti. Questo vale soprattutto per lo sviluppo programmato del ciclo operativo, dove l’ordine rappresenta la base necessaria.

La campagna vendita, nella moda, varia da azienda ad azienda, può durare fino a tre mesi ed è finalizzata alla raccolta degli ordini; la tempestività e la significatività degli ordini realizzati nelle prime settimane sono fondamentali, poiché le vendite sono intimamente collegate al processo di acquisti di materiali.

Data la lunghezza del ciclo (lead time) tipico della filiera tessile, per poter garantire tempi di consegna adeguati è indispensabile lanciare una parte degli acquisti e della produzione al buio, cioè senza avere la certezza delle quantità necessarie complessive281.

Le imprese con un portafoglio clienti consolidato riescono a gestire questa strutturale incertezza attraverso stime abbastanza precise;

successivamente si verifica se sono stati raggiunti i minimi di produzione ed eventualmente si annullano gli ordini relativi ai modelli che non raggiungono tali limiti, in questa fase si parla di concentrazione degli ordini282.

Per quanto riguarda la fase di distribuzione, sarà successivamente analizzata, nel corso della trattazione.

280 L. Brusa, (2000), op.cit.

281 G. Malossi, (1998), op.cit.

282 A. Foglio, (2001), op.cit.

3.2.4- Approfondimento: le sfilate

La sfilata rappresenta un fenomeno tipico del settore della moda che affonda le sue radici storiche nell’alta moda parigina.

In realtà nel caso dell’abbigliamento, essa rappresenta il momento in cui avviene la presentazione della collezione alla forza vendita, in genere tramite due momenti: una prima sfilata più coreografica, con l’obiettivo di trasmettere l’immagine e lo stile che si vuole proporre; nella seconda, più tecnica, il product manager e il responsabile della collezione spiegano capo per capo le scelte riguardanti i tessuti, i colori, gli assortimenti283.

Le prime sfilate sono dette anche di comunicazione e immagine, e sono realizzate nei luoghi di culto del sistema moda mondiale come Milano, Parigi, New York, Londra; si tengono circa cinque mesi prima della vendita al consumo e sono rivolte ai buyers dei distributori più qualificati a livello internazionale, alla stampa di settore e agli opinion leaders284.

Sono un vero e proprio evento mediatico, per cui vengono organizzate con largo anticipo e con molta cura per la scelte delle modelle, dei look da presentare, della locations, delle ambientazioni e così via285.

In realtà in queste occasioni la presentazione del prodotto in senso stretto, perde d’importanza poiché molti dei capi hanno esclusivamente una funzione d’immagine e non sono presentati negli showrooms286.

Questo tipo di sfilata, avendo costi molto elevati, è tipica delle grandi case di moda.

Per quanto invece riguarda la sfilata sul punto vendita, questa è tipica di un sistema di distribuzione molto evoluto, consona solo a determinate scelte e a determinati Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti;

l’evento è in genere realizzato in collaborazione tra un marchio e un distributore, e il pubblico è composto direttamente dalla clientela del punto

283 P. Sorcinelli, (2003), Studiare la moda. Corpi, vestiti, strategie, Milano, Mondadori.

284 A. Foglio, (2001), op.cit.

285 A. Foglio, (2001),op.cit.

286 A. Foglio, (2001),op. cit.

vendita, con l’obiettivo di raccogliere direttamente gli acquisti del consumatore finale sui capi pronti287.

3.3- I distretti della moda

Per quanto riguarda lo sviluppo dei distretti nel panorama industriale italiano, bisogna innanzitutto affermare che solo da pochi anni queste entità sono oggetto di analisi statistiche ufficiali e di provvedimenti normativi.

Infatti, con la L. 317/91, art. 36, comma 1, si definisce distretto,

“un’area territoriale caratterizzata da elevata concentrazione di piccole imprese caratterizzate da una particolare specializzazione produttiva, dove esiste un particolare rapporto tra presenza di imprese e popolazione residente”.

Il Decreto del Ministro dell’Industria del 21/04/93 determina i parametri per l’individuazione dei distretti industriali e stabilisce che le zone da prendere a riferimento per la definizione dei distretti sono i sistemi locali del lavoro individuati dall’Istat.

In Italia, sono stati censiti 46 distretti specializzati nei prodotti delle filiere tessili e della pelle: 27 distretti sono specializzati nel tessile-abbigliamneto, 19 nella lavorazione conciaria e nella produzione di calzature e pelletteria288.

Sono oltre 35.000 le imprese presenti in questi territori, soprattutto di piccole dimensioni, con un totale di 300.000 addetti; si tratta di una realtà di importanza nazionale, che sta subendo la concorrenza internazionale. In molti casi le imprese lavorano prevalentemente per clienti stranieri, e, tuttavia, a causa della concorrenza proveniente dai paesi emergenti, stanno riducendo le vendite all’estero con percentuali in molti casi superiori al 10%, ma la situazione non è omogenea289.

287 G. Malossi, (1998), op.cit.

288 Mercato Italia, Rapporto sullo stato delle imprese, Abbigliamento-Calzature-Pelletteria, supplemento al n.7-8 di Largo Consumo, Luglio-Agosto 2006.

289 Mercato Italia, (2006), op.cit.

In base a ciò, è possibile individuare i distretti industriali sparsi sull’intero territorio nazionale, che mostrano una specializzazione della filiera produttiva secondo la ripartizione tra il tessile-abbigliamento e il cuoio-calzature-pelletteria290:

• Piemonte

Biella: il laniero

• Lombardia

Bassa Bresciana: le confezioni e l'abbigliamento Bassa Bresciana: il cuoio e le calzature

Bergamasca, Val Cavallina: l'abbigliamento Castelgoffredo: il tessile e le calze

Como: il tessile e il serico

Gallaratese: le confezioni e l'abbigliamento Lecchese: il tessile

Valseriana: il tessile Vigevanese: le calzature

• Veneto

Arzignano: la conceria

Montebelluna: la calzatura sportiva Riviera del Brenta: le calzature

• Emilia Romagna Carpi : la maglieria

Rimini: l'abbigliamento e le calzature

San Mauro in Pascoli e l'area del Rubicone: le calzature

290 Rapporto sui principali distretti industriali italiani, redatto per Confartigianato dal Consorzio A.A.S.T.E.R., 28 giugno 2001, http://www.aaster.it/doc/distretti/pdf

• Toscana

Arezzo: l'abbigliamento

Empoli: il tessile/abbigliamento Firenze: la pelletteria

Lamporecchio: le calzature Prato: il tessile/abbigliamento Santa Croce sull'Arno: il conciario

• Marche Fermo: le calzature

Montefeltro: il tessile/abbigliamento

• Abruzzo

Abruzzo meridionale: l'abbigliamento

Val Vibrata: pelletteria, abbigliamento e calzature

• Molise

Isernia: l'abbigliamento

• Campania

Cittadella Atellana: l'abbigliamento Cittadella Aversana: le calzature

Penisola Sorrentina: i costumi da bagno S. Giuseppe Vesuviano: il polo tessile Solofra: le concerie

• Puglia

Casarano: le calzature

Nord Barese: il tessile e l'abbigliamento Sud Barese: l'abbigliamento

Uno degli elementi fondamentali per il successo di tali sistemi di organizzazione della produzione su base locale è stato identificato, secondo la dottrina, nell’esistenza delle cosiddette economie esterne; Marshall, infatti, introducendo il concetto di filiera produttiva, che è la risultante della scomposizione del ciclo produttivo, sviluppa il tema delle economie esterne come di una “diminuzione dei costi medi di produzione e di commercializzazione di un’impresa dipendenti positivamente dal livello a cui è condotta una certa produzione in un certo luogo291”.

In tal senso, il fatto che in un distretto le singole imprese si inseriscano in un network di processi manifatturieri e commerciali fa si che, in condizioni di efficienza tecnica ed organizzativa, possano beneficiare dei vantaggi derivanti dalla particolare configurazione del sistema produttivo considerato nel suo complesso292.

In sintesi, tale fenomeno è riconducibile ad un meccanismo di scomposizione delle fasi della filiera economico-produttiva nelle sue componenti minime, cui segue un processo di naturale suddivisione di tali fasi tra altrettante imprese. La risultante, almeno nello schema puro del distretto industriale, è l’esistenza di un numero sufficientemente elevato di imprese di piccola dimensione fortemente specializzate in una o pochissime fasi di tale filiera, ma allo stesso tempo altamente integrate nella logica della filiera stessa293.

I distretti della moda in Italia presentano caratteristiche simili a quelle tipiche dei distretti marshalliani: presenza di un’atmosfera industriale e una cultura diffusa, intervento delle istituzioni pubbliche, netta prevalenza di realtà imprenditoriali di piccole e medie dimensioni.

291 M. Bellandi, (1982), Il distretto industriale in Alfred Marshall, in l’Industria n.3, luglio-settembre 1982, pp 355-375.

292 F. Fontana, M. Caroli, (2004), op.cit.

293 G. Becattini, (1989), Riflessioni sul distretto industriale Marshalliano come concetto socio-economico, Stato & Mercato, n. 25, pp 111-128.

Queste numerose imprese di micro o piccole dimensioni gravitano spesso intorno a poli di attrazione costituiti da grandi gruppi industriali294, e non sono animate da meccanismi di funzionamento isolati, quanto piuttosto

Queste numerose imprese di micro o piccole dimensioni gravitano spesso intorno a poli di attrazione costituiti da grandi gruppi industriali294, e non sono animate da meccanismi di funzionamento isolati, quanto piuttosto

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