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La strategia di distribuzione

Nel documento CAPITOLO I IL CONCETTO di STRATEGIA (pagine 81-89)

ANALISI STRATEGICA DEL MERCATO DEI BENI di LUSSO

CATEGORIA PRODOTTO

2.3.4. La strategia di distribuzione

Tra le caratteristiche dei beni di lusso, deve esservi necessariamente quella della difficoltà di reperimento, poiché intimamente collegata con l’esigenza di unicità che il bene deve esprimere e che il consumatore vuole ottenere.

Molte persone, infatti, si aspettano che un bene di lusso, che sia veramente tale, abbia una distribuzione limitata e che a loro volta anche i negozi che vendono beni di questo tipo ne abbiano una selezione limitata.

Si fa quindi riferimento al ben noto “principio di rarità che è alla base del concetto di consumo vistoso; secondo tale principio i prodotti di lusso sono percepiti dai consumatori come rari; nel caso in cui invece siano reperibili ovunque, perdono gradatamente il loro carattere di lussuosità 190” . Inoltre, il lusso è strettamente legato al fattore estetico : un oggetto di lusso può in alcuni casi essere riconosciuto come un pezzo da museo e, in questo senso, anche l‘ambientazione in cui l‘oggetto è inserito assume questa forte rilevanza estetica.

Tuttavia, dati gli sviluppi attuali, caratterizzati da mercati globali e crescente sovracapacità produttiva, anche nei “luxury products” l’eccesso di offerta è divenuto un fattore strutturale di sviluppo. Ciò impone alle imprese di confrontarsi con consumi irregolari e spesso non fedeli, domande instabili e soprattutto potenziali di consumo mutevoli.

Insomma, cambiano le regole e l’instabilità nel comportamento d’acquisto prende il sopravvento sulla capacità di spesa come hanno sperimentato taluni distretti orafi italiani (esposti alla concorrenza di prezzo e ai mutevoli andamenti dei rapporti di cambio delle monete forti) che subiscono i nuovi scenari competitivi privi di sofisticate capacità manageriali di marketing ed esclusi pertanto dai circuiti della finanza globale191.

190 B. Dubois, C. Paternault, (2003), op.cit.

191 A. Mortara, I nuovi spazi del lusso, op. cit.

Per contro, i mercati globali e in eccesso di offerta stimolano le grandi luxury corporation a competere sulla base di nuove filosofie di gestione, orientate al mercato piuttosto che alla domanda (market-driven management) e quindi caratterizzate da continui confronti con i concorrenti, confini di competizione globali e instabili, alta sostitutività tra i prodotti e, infine, performance condizionate dalla rotazione oltre che dal margine192.

In tali condizioni lo sviluppo di lungo periodo dell’impresa dipende primariamente dal livello di sofisticazione delle risorse immateriali d’impresa (corporate intangible asset), finalizzate a conseguire crescenti volumi di fatturato sui mercati globali, vendite differenziate nelle grandi aree geografiche e, infine, produzioni affidate a terzisti di alta qualità che sostituiscono l’artigianalità dei caratteri distintivi di prodotto (facilmente imitabili e con un’elevata volatilità delle spese di marketing).

La nascita dei negozi del lusso ben si inserisce in una tendenza globale che coinvolge anche l’intero panorama distributivo: assecondare la ricerca da parte del consumatore, nel momento dell’acquisto, di un’esperienza.

Nel mercato attuale dunque, non è più sufficiente produrre buoni prodotti affiancati, magari, da un servizio di qualità, il consumatore si aspetta sempre più di essere coinvolto totalmente nell’acquisto; in quest’ottica quindi, l’applicazione delle tecniche che vanno sotto il nome di marketing esperienziale193 divengono necessarie se si vuole essere competitivi.

Il consumatore di oggi desidera quindi emozioni forti che lo stupiscano e luoghi di consumo che lo coinvolgano totalmente: si pensi alla diffusione delle catene di ristoranti a tema come gli Hard RockCafè, i Planet Holliwood o i Rain forest Cafè che servono lo stesso tipo di junk food, ma offrono tre diversi mondi e quindi tre diversi eataiment194.

192S. M. Brondoni, Luxury mass products ed eccesso di offerta, http://www.mark-up.it/Magazine/156-09-2007/Opinione-Brondoni.html.

193 B. H. Schmitt, (1999), Experiential marketing: how to get customers to sense, feel, think, act, relate to your company and brands, New York, Free Press.

194Neologimo formato dalle parole eat (mangiare) e entertainment (divertimento); allo stesso modo si parla di infotainment (informazione e divertimento), edutainment

Ma la costruzione di esperienza si è diffusa negli ultimi anni anche grazie alla grande distribuzione, basti pensare allo sviluppo delle cattedrali del consumo195 in particolare dei centri commerciali che si sono trasformati

“in una sorta di esibizione permanente, sempre rinnovata, dove si mettono in scena i prodotti196”.

All’ interno la merce conta poco: l’importante è l’allestimento, la musica, la luce, l’atmosfera e la sensazione di far parte di un mondo speciale, in un momento particolare.

Il senso di stupore e al tempo stesso la sensazione di essere pienamente partecipi del sociale, sono prerequisiti per consumare.

Questa tendenza all’intrattenimento globale, oggi così evidente e diffusa, era già presente negli ’80 del novecento quando hanno visto la luce la maggior parte dei concept store, negozi monomarca dedicati al lusso. In quegli anni, approfittando del periodo favorevole, i grandi brand del lusso hanno dato avvio ad operazioni di brand extension e che in alcuni casi si sono tuttavia rivelate controproducenti per la stessa immagine di marca.

Se da un lato il negozio monomarca è nato anche con l’intento di diminuire i costi, grazie all’eliminazione degli intermediari commerciali, dall’altro si sono rapidamente affermati soprattutto per “motivazioni legate alla necessità di comunicare al meglio l’identità dei prodotti e delle marche, anche nel momento dell’acquisto, attraverso la creazione di punti vendita estremamente spettacolari ed espressivi197”.

Antesignano del concept store, Ralph Lauren, per il quale l‘idea del lusso si concretizza “nel considerare in modo sistematico i cinque sensi del consumatore fin dalla fase di costituzione e di concezione dell‘offerta198” apre il primo punto vendita momomarca a New York nel 1989.

(educazione e divertimento,la parola d‘ordine per i musei di nuova concezione) e così via.

B.H. Schmitt, (1999), Experiential Marketing: how to get customer to sense, feel, think, act, and relate to your company and brand, New York, The Free Press..

195 G. Ritzer, (2000), La religione dei consumi, Bologna, IlMulino.

196 G. Fabris, (2003), op.cit.

197 Codeluppi (2000) op.cit.

198 P. Hetzel, (2003), L‘approccio esperienziale nei negozi Ralph Lauren, in A. Semprini, Lo sguardo socio semiotico. Comunicazione, marche, media, pubblicità, V edizione, Milano,

Franco Angeli.

I negozi Ralph Lauren rappresentano delle vere e proprie abitazioni ricche di mobili di pregio e studiate fin nei minimi dettagli per ricostruire l‘atmosfera Old England voluta dallo stilista: “gli ambienti sono lussuosi e perfettamente ricostruiti come se fossero all‘interno di un set cinematografico. Dappertutto ci sono mobili in legno pregiato intagliati a mano, ornamenti in ottone, tappeti orientali e rami di orchidee ...199” .

Le vetrine del negozio, che hanno il compito di separare il cliente dal mondo caldo e ricco che si trova all‘interno, stimolano solo uno dei suoi cinque sensi: la vista; dopo l’ingresso nel negozio, invece, “tutti gli elementi dell’allestimento sono là per saturare in modo omogeneo, convergente e completo i cinque sensi del consumatore (...) il negozio è così una sorta di piccola casa ideale, dove tutto è finalizzato a sollecitare i sensi del consumatore affinché si senta a suo agio e affinché esca con un prodotto che gli ricorderà quel momento di benessere. E’ questa la creazione del valore in Ralph Lauren, e permette di spiegare come i prodotti si vendano a prezzi così elevati200”.

Nei negozi di questo stilista quindi la marca assume sempre più un valore simbolico connotandosi come qualche cosa di fuori dall‘ordinario, caratteristica, come si è visto, tipica del bene di lusso.

Diversa la concezione che sottostà alla costruzione di un punto vendita d’eccezione come quello di Prada a New York. All‘interno del negozio vi sono una serie di monitor appesi al soffitto o inseriti nei tavoli attraverso i quali vengono trasmessi a ciclo continuo gli ultimi videoclip, un ascensore in vetro che collega il piano seminterrato con il piano terra ed una serie di camerini intelligenti le cui porte di vetro diventano opache quando entrando si calpesta un apposito pedale posto aldilà della soglia. All‘interno dei camerini, inoltre, è istallato un sistema per captare le onde radio emesse dai chip contenuti in tutti gli oggetti in mostra nel negozio (abiti,accessori,ecc.) ed inviare le informazioni relative al capo scelto allo schermo a cristalli liquidi presente nel camerino stesso: toccando il monitor è anche possibile vedere l’oggetto scelto accompagnato da accessori

199 Codeluppi (2000) op.cit.

200 P. Hetze, (2003).

appropriati o presentato in differenti colori. Lo stesso sistema è applicato a tutti gli oggetti presenti nel punto vendita.

Nell’ottica di prolungare l’esperienza del negozio, il cliente che lo desideri può salvare le informazioni relative a tutti gli oggetti portati nel camerino in un apposito database personale al quale può accedere dal suo computer, nei giorni successivi, per controllare cosa è contenuto nel suo armadio digitale e per, eventualmente, cercare altri oggetti della collezione da aggiungere. Gli

Acquisti però non possono essere effettuati on-line, dato che Prada tiene alla relazione diretta con il consumatore e vuole quindi che il consumatore entri nel suo punto vendita e possa esperire in maniera diretta il negozio e, in particolare, l‘elevato contenuto di servizio offerto201

Per Prada dunque un negozio di lusso si caratterizza per la presenza di una sofisticata tecnologia e di un design innovativo, nonché nella possibilità di esperire di volta in volta in modo diverso e personale gli oggetti a disposizione.

Armani, altro grande nome della moda e del lusso, ha invece scelto di unire in uno stesso punto vendita la possibilità di acquistare non solo abbigliamento, ma anche profumi, arte, libri e fiori e di consumare cibo nei due ristoranti ospitati dal negozio: uno giapponese e uno più tradizionale.

L‘intento è quello di fare “qualcosa di speciale, qualcosa di nuovo e sorprendente202”. Il negozio Armani inoltre è progettato per ospitare al suo interno mostre, presentazioni di libri e riviste con l‘obiettivo di dare spazio alle tendenze culturali emergenti.

In questo caso il lusso è ricercato attraverso il collegamento con beni e servizi particolarmente apprezzati da individui dotati di quello che Bourdieu definisce un elevato “capitale culturale203

Questi negozi, o per meglio dire, “templi” polisensoriali del lusso, sempre più spesso imperversano nei cosiddetti “grandi magazzini del

201 Learning from Prada, 24 Giugno 2002, http://www.rfidjournal.com/article/view/272/

202 R. Filippini, Benvenuti in casa Armani, L‘Espresso, 28settembre 2000

http://www.speciali.espressonline.it/moda/2000/articoli_speciali/armani_casa/megastore.ht ml

203 P. Bourdieu, (1983), La Distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino.

lusso”, il “suk a sette stelle”, da Londra a New York, da Milano a Istanbul, i centri commerciali si insinuano in tutte le città, guidano le classifiche dello shopping e assumono un ruolo essenziale204.

Distribuzione su larga scala del lusso, dunque, distribuzione despecializzata come strategia vincente, per arrivare anche alle middle classes, per rendere l’unicità accessibile e creare un elitè di massa.

Sembrerebbe un controsenso, dato che invece i prodotti di lusso devono essere esigui e per pochi, invece sono le tendenze attuali. Ed è così che i grandi magazzini del lusso sono in pieno boom.

Era il 2000 quando le previsioni erano molto negative: nel giro di qualche anno i department store sarebbero morti, insidiati dal basso dagli shopping mall del largo consumo e pressati dall'alto dalle boutique del lusso205.

Invece si sbagliavano. Sicuramente vi sono minacce ed insidie a causa dello shopping online, che sottrae parte delle vendite, e che ormai imperversa anche nei beni di lusso, ma non c'è concorrente che tenga rispetto all'esperienza di shopping dei department store.

Anche in questo caso, l’esperienza spettacolare è assicurata, e il punto di partenza sono le vetrine. A Londra, capitale internazionale insieme a New York dei department store da Selfridges, di proprietà della famiglia Weston, le vetrine sono delle vere e proprie opere d'arte. Per non parlare di Harrods e Harvey Nichols, soprattutto nel periodo natalizio206.

Harrods, di proprietà di Mohamed Al Fayed, è il terzo "monumento"

più visitato di Londra. Uno dei pochi posti al mondo dove si può trovare di tutto, come loro propagandano, "dall'ago all'elefante", ed in ogni momento, visto che la nuova regola è di stare aperti sette giorni su sette. Ferme davanti all'ingresso ci sono limousine da cui scendono signore di ogni razza per andare nella food hall, la sala delle specialità culinarie: dai dolci di ogni

204 Grandi Magazzini del lusso – torna il “sunk a sette stelle”, Affari&Finanza, Value Partners, Rassegna Stampa, 27 Novembre 2006Milano, http://www.valuepartnersgroup.com/VP_pubbl_pdf/PDF_Comunicati/Scrivono_di_noi/200 6%5Crep_061127_grandiMagazziniLusso_santucci_affariFinanza.pdf

205 Grandi Magazzini del lusso- torna il “sunk a sette stelle”. op. cit.

206 A. Mortara, (2003), op.cit.

luogo, a qualsivoglia specialità di pesce. Non manca la Spa, tanto di moda di questi tempi207.

Il clima da sogno, in versione american dream, lo si ritrova da Bergdorf Goodman, a NewYork. Dalle enormi vetrine che si affacciano sulla Fifth Avenue e sulla 58esima Strada si possono intuire tutte le tendenze della stagione. L'ingresso è un tuffo nei gioielli e nei profumi. Se si esce di là anche solo avendo comprato un rossetto ci si sente parte della upper class americana. Le vetrine sono dei capolavori artistici. E la cura del cliente è ossessiva. Fanno sfilate private per i vip, edizioni limitate, liste di attesa per gli accessori più di tendenza. I department store si comportano con la logica del club privato. Sono un punto di riferimento per presentare i nuovi prodotti. L'ultimo cellulare si lancia nel grande magazzino208.

Ma i più bei department store, in questo momento, sono in Giappone. Il più interessante è Isetan a Tokyo che ha un'identità molto forte.

La conferma arriva anche a da un altro guru della distribuzione, Giacomo Santucci, attualmente responsabile della divisione lusso di Value Partners.

«I prossimi cinque anni saranno strategici per questo genere di negozi. Si muoveranno nuovi protagonisti e nasceranno nuove situazioni – dice – Ma il loro successo dipenderà dalla varietà dei prodotti e da come li sapranno esporre». Vince la logica del suk, ma a sette stelle209.

In tutti i casi citati appare evidente che i negozi di lusso, dalle boutique ai grandi magazzini, sono tutti improntati ad offrire ai consumatori un’esperienza tale da essere considerata da molti come un’ importante fonte di valore.

L‘atmosfera che si trova nel negozio, di cui sono parte integrante l’arredo e la musica di sottofondo, il modo in cui i prodotti sono presentati all‘interno e nelle vetrine, l‘interazione con il personale di vendita, tutto deve contribuire a creare un‘atmosfera di raffinatezza e di benessere.

207Grandi Magazzini del lusso – torna il “sunk a sette stelle”. Op. cit.

208Grandi Magazzini del lusso – torna il “sunk a sette stelle”. op. cit.

209 Grandi Magazzini del lusso – torna il “sunk a sette stelle”. op. cit.

In fondo è il negozio , lo store, ad essere considerato come un oggetto di lusso e per questo ci si aspetta che sia in grado di fornire simili benefici210

In alcuni casi però un’atmosfera troppo raffinata potrebbe in fondo rivelarsi controproducente per alcune categorie di consumatori che, avvertendo un senso di inadeguatezza nei confronti dei beni di lusso, potrebbero essere imbarazzati nell’ entrare in un negozio che vende oggetti di questo tipo, in quanto timorosi di apparire incompetenti, malvestiti, maleducati nei confronti degli altri clienti e dei commessi che sembrano invece appartenere pienamente e a buon diritto a questo mondo211

Si può tuttavia obiettare che, dal momento, che, come si è visto in precedenza, il lusso è tale quando è per una ristretta elitè, anche questa conseguenza, a prima vista negativa, può non essere priva di risvolti positivi. L‘effetto intimidente anche dei grandi magazzini dedicati al lusso, potrebbe addirittura essere una strategia, voluta o meno, dichiarata o meno, per accentuare e mantenere il carattere di esclusività dei prodotti offerti, barattando, in un certo senso quantità per qualità, ovviamente dei clienti.

210 Dubois, Laurent, Czellar, 2001, op. cit.

211 Dubois, Laurent, Czellar,2001, op.cit.

2.3.5 La gestione strategica delle marche del lusso

La gestione strategica della marca nelle imprese di lusso (Luxury Brand) si caratterizzata per alcune peculiarità; queste ultime derivano in primo luogo dal modo con cui la marca di lusso viene considerata e definita.

Prendergast e Phau sostengono che le Luxury Brand si caratterizzino per cinque caratteristiche principali: a) devono evocare esclusività, b) possedere una ben nota brand identity, c) godere di una elevata notorietà, d) generare una elevata qualità percepita, ed e) ottenere elevati livelli di customer loyalty212.

In linea con questa ottica, Kapferer213 distingue tre tipologie di marche del lusso:

a) la griffe, che possiede un’identità e contiene dei prodotti dalla creazione pura ed unica, capaci di incarnare i canoni della perfezione,

b) la marca di lusso (in senso stretto) che prevede la realizzazione di prodotti a serie limitata dal carattere artigianale-hand made ed infine

c) le marche-prodotti di alta gamma che si contraddistinguono per le realizzazioni seriali di qualità molto elevata rispetto alla categoria di prodotti di riferimento214.

212 I. Phau, and G. Prendergast, ( 2000) Consuming luxury brands: the relevance of the rarity principle, in “Journal of Brand Management”, Vol. 8 No. 2, 2000.

213J.N. Kapferer., Strategic Brand Management, London, Kogan Page, 2nd edition, 1997.

214Nueno e Quelch a loro volta hanno sviluppato una tassonomia delle marche di lusso distinguendo tra a) marche di lusso a notorietà limitata (centrate su una specifica linea di prodotti, in un mercato di nicchia esclusivo), b) marche ad elevata notorietà inaccessibili al mercato di massa a causa del prezzo elevato e della distribuzione selettiva e c) marche ad elevata notorietà “a basso livello” (accessibili ad un target più ampio in virtù di prezzi più bassi e di una distribuzione meno selettiva). Nueno J.L., Quelch J.A. (1998), The Mass marketing of Luxury, in “Business Horizons”, November-December, 1998. Dubois e Czellar, sulla base dei risultati di una ricerca empirica qualitativa distinguono tra Luxury Brand e Prestige brand. Gli autori definiscono il prestigio quel giudizio di valutazione soggettiva relativo all’elevato livello di status sociale di un persona o di un oggetto come un brand che lo può incorporare. Lusso e Luxury brand sono invece definiti sulla base di percezioni soggettive di comfort bellezza e suntuosità cosicché le Luxury brands sono associati ad una cerchia di beni e servizi più ristretta rispetto a quella collegata alle Prestige brands. Cfr. Dubois B., Czellar S. (2002), op.cit. In linea con questa ottica, il contributo di Alleres propone tre livelli contigui di beni di lusso: il lusso inaccessibile (beni prodotti in numero limitatissimo, distribuiti in circuiti selettivi, a prezzi elevatissimi e con una marca fortemente evocativa), il lusso intermedio (beni prodotti sulla falsa riga dei beni di lusso inaccessibile ma non più in modo customizzato sebbene adattabili alle esigenze del cliente, distribuiti in modo selettivo a prezzi molto elevati), il lusso “accessibile” (beni di lusso

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