• Non ci sono risultati.

LA SICILIA E L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA.

7. Filippo II e la riforma delle magistrature.

La visita del 1562 di Marcello Pignone, marchese di Oriolo, si inseriva nell'ampio quadro delle iniziative di riforma giudiziarie e amministrativa elaborate a Madrid in seno al Consiglio

d'Italia. Oltre a definire le istruttorie rimaste in sospeso, in seguito alle visite precedenti, e a revisionare i conti degli ufficiali pecuniari, il visitatore era stato fortemente incaricato di «dar orden y redrezo en la institucion dello tribunales que en el dicho Reyno se han de reformar»152

provvedendo anche alla convocazione di un Parlamento straordinario che conferisse al potere centrale un'estesa delega in materia e lo autorizzasse a modificare l'ordinamento siciliano. Infatti, in virtù del patto costituzionale che legava alla Sicilia il sovrano e del suo giuramento di osservare l'antica legislazione, si rendeva necessaria un'espressa rinunzia del Regno alle norme in vigore. Tra queste i capitula avevano assunto prevalenza e superiorità rispetto alle stesse prammatiche regie e viceregie poiché erano stati concessi in contropartita dei donativi.

«Insituire et reformare in questo fidelissimo regno li tribunali dandovi il debito et

convenevoli ordine»153: questo era il contenuto della volontà sovrana, espressa in una lettera di

Filippo II ai deputati del Regno, inviata per accreditare il visitatore Marcello Pignone e che fu letta al Parlamento dell'8 dicembre 1562.

La volontà del governo centrale era chiara: realizzare attraverso la riforma il processo di omologazione delle strutture giurisdizionali a quelle milanesi e napoletane. Bisognava riorganizzare in Sicilia le supreme corti di giustizia, quelle di finanza e creare un organo che svolgesse il compito di consilium principis, tenendo a modello soprattutto i risultati conseguiti nel Regno di Napoli.

Il fallimento delle operazioni comportò l'immediata sfiducia del sovrano nei confronti del marchese che fu esautorato dalle sue funzioni.

La generale opposizione del baronaggio e del ministero all'ingresso di exteri nelle magistrature siciliane si fondava sul patto costituzionale che legava la monarchia al Regno. Tutelare il privilegio dei “regnicoli” significava in primo luogo riaffermare l'autonomia dell'isola.

Nella stessa sessione del 1562, il Parlamento chiese a Filippo II che gli ufficiali perpetui non fossero processati dal marchese Oriolo. Inoltre, si denunziò al sovrano l'abuso introdotto di conferire a forestieri gli uffici di Capitani d'arme straordinari destinati all'estirpazione del banditismo.

Il viceré denunziava la corruzione dei giudici, soprattutto nelle cause criminali: l'inserimento dei ministri spagnoli avrebbe potuto rappresentare un rimedio tecnico per moralizzare l'amministrazione giudiziaria.

La prammatica De reformatione tribunalium di Filippo II fu promulgata a Palermo dal

152 Cit. Burgarella P., Fallico G., L'archivio dei visitatori, pp. 37-38

viceré Avalos, marchese di Pescara, il 6 novembre 1569. Una prima rilevante innovazione consisteva nel sottrarre al Maestro Giustiziere del Regno le funzioni di coordinatore a capo dei magistrati.

Le funzioni di presiedere e di coordinare le attività del tribunale della Regia Gran Corte furono conferite ad un presidente togato, eletto “ad meram regiam voluntatem”, ma di fatto perpetuo, con salario annuo di mille scudi. I sei giudici della Gran Corte, divisi nelle due sale, quella civile e quella criminale, restavano in carica soltanto per due anni ed erano eventualmente rieleggibili dopo una vacatio durante la quale venivano sottoposti a sindacato. Inoltre, non godevano di stipendio fisso a carico del real patrimonio, essendo stati loro attribuiti come salario gli emolumenti pagati dalle parti per l'emanazione dei singoli provvedimenti.

Gli appelli alle sentenze civili della Gran Corte erano devoluti ai tre giudici del tribunale del Concistoro, istituito da Filippo II nel 1559 su richiesta del Parlamento dell'anno precedente154. A capo di suddetto tribunale fu posto nel 1569 un presidente togato ad

beneplacitum, con salario fisso e fu parallelamente esautorato l'ufficio di Gran Cancelliere.

Anche al tribunale del Real Patrimonio la prammatica del 1569 preponeva un presidente togato, mentre l'organico veniva definito in sei maestri razionali, quattro nobili e due giurisperiti155.

La linea della perpetuità prevalse per i nuovi capi dei tribunali e per la magistratura patrimoniale, mentre, si era preferita la temporaneità per i giudici della Gran Corte e del Concistoro. La biennalità della carica, soprattutto per la Regia Gran Corte, consentiva l'alternanza negli onori, stimolava l'emulazione, permetteva di correggere scelte sbagliate.

Il ceto forense siciliano, salvo rare eccezioni, fu generalmente favorevole al sistema della temporaneità.

La biennalità della carica comportò il consolidamento del rapporto di clientelismo e di comunanza di interessi tra ministero togato e baronaggio. In tal modo si venne a realizzare in Sicilia una situazione profondamente diversa rispetto agli altri modelli europei, ed in primo luogo rispetto al Regno di Napoli, in cui la vocazione statualistica del ministero, incoraggiata dalla politica del governo centrale, determinò una netta contrapposizione nei confronti della feudalità. Secondo un anonimo autore di Relatione di Napoli del 1579: «i governi ed i carichi

di giustizia venivano affidati a gente bassa introduttavi con la professione delle leggi, ma

154 Cit., Capitula, II, pp. 233-234, in Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana

dei secoli XVI e XVII, 1983.

155 Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVII, 1983, pp.

veramente per preponerla alla nobiltà: quando un ufficiale si dichiara più severo e specialmente contro un nobile, tanto si acquista luogo et riputatione presso lo spagnolo, che lo promuove poi in corte o lo fa ascendere a titoli e gradi maggiori»156.

In Sicilia la giuspubblicistica filoregalista, le fonti epistolari e la poesia satirico-dialettale denunziavano polemicamente l'utilizzazione dell'avvocatura e del ministero quale veicolo di ascesa sociale. Tale ascesa, conduceva al possesso della terra e all'acquisto del titolo attraverso illeciti nell'amministrazione della giustizia e della cosa pubblica, attraverso investimenti patrimoniali nel settore della rendita dello Stato e un'accorta politica matrimoniale.

Le aspirazioni di ascesa sociale dei togati ed il regime della biennalità avrebbero svuotato di contenuto gli aspetti antifeudali della riforma di Filippo II, espressi nell'esautorazione, anche formale, di alcuni grandi uffici della corona.

«Sin dai tempi dei Normanni le cariche di gran giustiziere, di gran cancelliere, di gran

camerario erano in mano dei baroni e dei nobili, quelli riputavansi come i capi naturali, e i presidenti di tutte le supreme amministrazioni, così di giustizia come di economia. Egli è anche vero che alla lontananza della real corte, e sotto il governo dei viceré, e da gran tempo il novello stato di cose avea di molto abbassato questi uffici, ed aveali quasi allontanati dai tribunali: ma ciò era avvenuto più per fatto che per legge: e per legge, e per costituzione volle Filippo II spegnere quasi quegli uffici, togliendo loro ogni qualunque lontana ingerenza nell'amministrazione della giustizia e nel governo de' magistrati»157.

La riforma sembrò realizzata da Filippo II «con grandissima prudenza ad imitazione del regno di Napoli»158, ed il riferimento, più che su analogie esteriori tra le magistrature dei due

regni, era fondato sull'esplicita esaltazione della componente togata e sul carattere verticistico assunto dall'organizzazione giudiziaria isolana. La creazione dei tre presidenti giurisperiti rispondeva all'esigenza di razionalizzare l'amministrazione della giustizia.

Il provvedimento rappresentò la decisa risposta dei ceti dirigenti spagnoli all'intransigenza parlamentare del 1562.

Nei decenni successivi alla riforma, invano la deputazione del regno avrebbe richiesto la reintroduzione dell'ufficio di Maestro Giustiziere ed il conferimento delle tre presidenze a

156 Relatione di Napoli, in Tesoro Politico, Colonia, 1958, p. 543 in Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il

ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVII, 1983.

157 Attento giudizio politico di Rosario Gregorio in merito alla Prammatica del 1569, in Considerazioni, cit., p.

541, in Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVII, 1983.

nobili. Gli uffici in cui potevano concorrere cavalieri di cappa e di spada erano pochi: questi, dunque, restavano privi di occasioni per eccellere nel real servizio159.

Fu, inoltre, rilevato che «fu allora mutata la forma del governo, e quello tolto di mano a' Signori fu per ordine dato a' Dottori»160.

L'opposizione espressa dai Parlamenti del 1582 e del 1585 al sistema della venalità degli uffici proveniva in primo luogo dalla preoccupazione della forza che avrebbe potuto acquisire il ceto burocratico di estrazione borghese.

Il sovrano non doveva «levar a fidelissimi vassalli e creati suoi, l'occasione e speranza

d'introdursi e vantaggiarsi per meriti nel suo real servigio»161, ed i “meriti”, per i cadetti delle

nobili famiglie, consistevano molto spesso nelle approvazioni dei donativi favorite dal genitore parlamentare.

Era, infine, noto negli ambienti palermitani che il governo centrale volesse utilizzare il ricavato delle vendite degli uffici per “recatar las rentas”, laddove il baronaggio ambiva ad acquistare titoli de debito pubblico, terre e diritti demaniali162.

L'ufficio dei presidenti era «principalmente non di studiare le cause et leggere li processi,

ma di soprastare che i giudici di loro tribunali bene et con giustizia li provedessero: all'ordinario non avendo voto» se non in caso di parità o di surrogazione di un giudice

dichiarato sospetto163.

Alcuni episodi verificatisi nei primi anni di attuazione della riforma testimoniano le iniziali resistenze ai presidenti da parte dei ministri. In effetti, per l'assenza continuativa del Maestro Giustiziere e del suo luogotenente, costoro prima della riforma erano soliti «tratar y despachar las causas como les parece y quando quieren y de las que an de aber mas provecho»164.

159 AHNM, Estado, leg. 2171. Il consiglio d'Italia rilevò, nel 1619, come la “supplica no es nueva”. In effetti, nel

1586, il viceré conte di Alvadeliste aveva comunicato a corte che l'ufficio di Maestro Giustiziere, non inserito tra gli uffici vendibili, pur essendo dopo la riforma del 1569 “senza esercizio” era valutato per una vita ben 30.000 scudi, in quanto “dignità ed onoreficenza” con salario annuo di 1200 scudi (AGS, Secr. Prov., leg. 1413, Palermo 27 dic. 1586). Nel 1595, il conte d'Olivares aveva venduto a Francesco Maria Bologna l'ufficio vitalizio di maestro secreto del Regno per settemila scudi “con facultad de entrar en el Sacro Consejo”. Filippo II approvò l'inziativa viceregia, motivata da Olivares sulla considerazione che la nuova prerogativa aumentasse il valore dell'ufficio: inoltre, si dava “satisfacion al Reyno que pretende con instacia (que) se empleen Senores y cavalleros de Capa corta en los consejos” (ivi, leg. 986, il Consiglio d'Italia a Filippo II, Madrid 9 giu. 1595) in Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana

dei secoli XVI e XVII, 1983.

160 Cit. Buonfiglio G., Historia Siciliana, Messina 1739, II, pp. 233-234.

161 Cit., AHNM, Estado, leg. 2267; Capitula, cit., II, pp. 295-296 in Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il

ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVII, 1983.

162 Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVII, 1983, p. 92. 163 Foro christiano, ff. 412r-v; Pragmaticarum Regni Siciliae, cit. I (edito da C. Fimia, R. Potenzano, P. Amico),

Panormi 1636, pp. 51-52, II, p. 1 in Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società

siciliana dei secoli XVI e XVII, 1983.

164 AGS, Estado, leg. 1117, 119 in Sciuti Russi V., Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana

Soprattutto per i processi di minore importanza si continuò a rivendicare una totale indipendenza dai presidenti.

Un'importante conseguenza della nuova pianta dei tribunali consistette nell'emergere nel Sacro Regio Consiglio di una “giunta” ristretta, formata dai tre presidenti e dal consultore. All'interno del Consiglio i tre presidenti ebbero funzioni di gran lunga preminenti rispetto agli altri componenti, infatti divennero quasi una sezione distaccata.

Un documento del 1571 testimonia la pretesa del consultore di essere considerato quale quarto elemento di quel ristretto consesso165. È assai probabile che i tre presidenti ed il

consultore abbiano esercitato inizialmente attività consultive e giurisdizionali soltanto in casi eccezionali su richiesta del viceré.

La struttura verticistica del potere giudiziario, che veniva a realizzarsi in Sicilia, fu ulteriormente esaltata dalla nuova procedura per le nomine dei giudici biennali della Gran Corte166 e del Concistoro.

Dopo il 1569 si instaurò la prassi delle terne formulate per ogni “piazza” della Giunta dei presidenti e del consultore, poi trasmesse dal viceré con il suo parere al Consiglio d'Italia.

I presidenti, in quegli anni, si sperava ricoprissero la funzione unificante di mediatori politici.

«Vorrei che tutti i presidenti, e reggitori, superiori ufficiali, con li minori, et loro con

superiori si comportassero l'un l'altro come il padre di famiglia con tutti suoi famigliari, et come con tutto il corpo sono ligati et obedienti tutti membri, senza discordia conservando, […] così l'un con l'altro tutti aiutando, come una accordata musica, in tagliare le calunnie, cercare la verità nelle loro sentenze, procurando pace et concordia anco tra litiganti»167.

Alla fine del Cinquecento il futuro maestro razionale Francesco Fortunato, futuro presidente del Concistoro, nei suoi Avertimientos indicava tra i doveri del viceré quello di controllare e limitare l'autorità dei presidenti, dei fiscali e di esaltare quella dei ministri biennali.

Il viceré non avrebbe dovuto consentire ai ministri perpetui di divenire suoi familiari al punto di “trattar los negocios en privado” con “particular referenda”, ossia in base alla

165 Cit., Baviera Albanese A., L’ufficio di Consultore del Viceré nel quadro delle riforme dell’organizzazione

giudiziaria del sec. XVI in Sicilia, in Scritti minori, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1992, p. 181.

166 Un'indagine accurata sui primi anni della giunta dei presidenti e del consultore è molto difficile, infatti ci

sono pervenuti i registri di consulte soltanto a partire dall'ultimo decennio del secolo XVII. Ne è possibile ricorrere a fonti indirette, poiché ancor più gravi sono le lacune archivistiche riguardo al Sacro Regio Consiglio e all'ufficio del consultore. I più antichi registri di consulte della Giunta conservati all'Archivio di Stato di Palermo risalgono al 1691.

167 Rocco Gambacorta attribuisce ai presidenti le suddette caratteristiche con la speranza che vengano applicate.

relazione verbale del solo presidente.

La contrapposizione dei ministri perpetui ai ministri temporanei, il riconoscimento soltanto ai primi di un elevato prestigio politico determinarono subito, oltre lo strapotere dei presidenti della Gran Corte e del Concistoro sui propri giudici, un'aperta competitività tra il tribunale della Gran Corte e quello del Patrimonio, in cui tutto l'organico era formato da ministri perpetui.

La Gran Corte vantava il prestigio di un'antica tradizione e l'auctoritas della gladii

potestas rispetto alla magistratura patrimoniale.