• Non ci sono risultati.

LA SICILIA E L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA.

8. Il sistema giudiziario siciliano nel XVI secolo.

8.1 Il processo penale.

Il capitolo 149 del Rito alfonsino assimila i delicta publica ai privata e il contenuto di questa norma sembra attribuire all'accusa privata il ruolo centrale di attivazione del processo.

Il sistema giudiziario si articola sulla commissione e l'intreccio tra l'accusa mossa dalla vittima e l'iniziativa del Fisco.

«Restavano esclusi dall'iniziativa privata tutti i crimini espressamente enumerati nel capitolo 149 del rito e in particolare l'eresia, il crimen lesae maiestatis, il crimine di nefando, la bestemmia, il crimine artis matematicae, l'omicidio contro lo straniero, la falsificazione di moneta, l'iniura contra moniales et ipsarum monasteria, l'ingiuria contro i ministri di culto

celebrantes Divina officia in ecclesia, e gli incendiari»174.

Nei primi anni del XVI secolo si attua la formalizzazione del ruolo dei “perseguidores de crimenes y delincuentes”, e diventa uno degli aspetti peculiari della politica penale della

Monarquia, che nella compartecipazione alla pena pecuniaria degli ufficiali e dei giudici

173 Il Cap. 17 di Federico III tenta di dare un limite massimo per la conclusione delle cause ordinarie (Testa F.,

Capitula I, cit., fol. 56). La stessa previsione viene ripresa da Alfonso, relativamente alle cause summarie ad litis ingressum: Alfonso, Cap. 137 in Testa F., Capitula I, cit., fol. 253, in Sorice R., “...quae omnia bonus iudex considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia (secolo XVI), Catania, 2010.

174 Cit., Sorice R., “...quae omnia bonus iudex considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia

(secolo XVI), Catania, 2010, p. 47.

Sull'impossibilità di una distinzione netta tra i due modelli processuali “classici” accusatorio e inquisitorio e sulle ragioni di tale anacronistica distinzione cfr. Sbriccoli M., “Vidi communiter observari”. Un ordine penale pubblico nelle città italiane del secolo XIII, Quaderni fiorentini 27 (1998). Per un'analisi approfondita dei principali momenti di passaggio che caratterizzano il processo penale e sulle ragioni politiche delle scelte legislative e dottrinarie cfr. Alessi G., Il processo penale. Profilo storico (Biblioteca nazionale Laterza 540, 2001). Per la strutturazione del sistema penale tra medioevo ed età moderna: Cordero F., Criminalità. Nascita

intravede un sistema garantito di repressione del crimine. In questa prospettiva, l'interesse economico spinge i coadiutores e i promoteres alla ricerca di notizie, prove, presunti criminali.

Lentamente il modus procedendi per inquisitionem acquista nella pratica uno spazio sempre più rilevante e la funzione giurisdizionale asseconda la centralizzazione dell'organizzazione politica spagnola. L'adattamento, soprattutto da parte del Fisco, avviene in primo luogo per tutti quei reati con caratteristiche pubbliche evidenti, che è interesse della Corona punire per evitare compromissioni dell'ordine pubblico.

Per i reati pubblici come l'eresia, l'iniuria, l'omicidio contro lo straniero, l'intervento del Fisco ordinarie è naturale, per buona parte dei delicta privata si ha un'apertura dovuta alla prassi e perseguibili secondo il Cap. 149 solo su accusa di parte.

«La dottrina, a fronte della centralità attribuita al processo accusatorio e al ruolo dell'accusatore, inizia a tessere una trama di eccezioni in grado di assicurare l'ingresso del Fisco diretto e indiretto, ossia attraverso la prosecuzione di un procedimento avviato ex

accusatione e continuato per inquisitionem iudicis»175.

Nel corso del XVI secolo la progressiva centralizzazione del potere si realizza soprattutto attraverso il rafforzamento del compito primario della Monarchia di perseguire e punire i crimini.

Il sistema penale è fondato sull'iniziativa di parte. La ricerca di un accusator vero o fittizio in grado di giustificare l'impulso processuale trova con affinata consapevolezza il suo protagonista «...proceditur per via inquisitionis, ita mandante Regia Maiestate..»176. La

Maiestas sovrana monopolizza il sistema e si presenta come unico attore in grado di mettere

in moto la macchina repressiva. Il sovrano, controlla, discerne, accusa e attraverso la sua

longa manus agisce e punisce.

Chi viola un obbligo penale offende il sovrano e a lui stesso spetta il compito di punire i malfattori e di vendicare i suoi sudditi; la disobbedienza turba la pace sociale e colpisce l'intera comunità.

Un aspetto del processo che i sovrani non trascurano è quello della transazione delle parti nelle cause criminali.

La possibilità che la parte offesa rinunci all'accusa di un delitto, o che la ritiri prima della

litis contestatio, o ancora che perdoni il colpevole prima della pronuncia della sentenza, è

avvertita dal potere centrale come un serio indebolimento della propria capacità repressiva del

175 Cit., Ivi, p. 52.

176 Cit. Di Giuliana M., Quaestiones super ritu, fol. 251E, in Sorice R., “...quae omnia bonus iudex

ius puniendi regio.

Un intero capitolo del Rito alfonsino è dedicato alla remissione dell'accusato e alla transazione tra le parti.

Un altro ostacolo da superare è la concordia fra le parti che impedisce spesso la prosecuzione del processo a causa delle difficoltà che incontra il Fisco nel nuovo reperimento di indizi e prove.

«Il Rito alfonsino disciplina due diversi modi di procedere in sede penale: uno ordinario e l'altro sommario. A questi si affianca, fino a diventare quasi principale, il procedimento ex

abrupto.

Il processo si svolge con rito ordinario in causis criminalibus non recentibus, ossia quando il delitto è recens, o quando viene rimesso in iustitia un procedimento avviato ex abrupto.

Le differenze sono rilevanti: nel rito ordinario non è previsto l'arresto dell'accusato, se non a conclusione del processo; l'imputato presta fideiussione, gli viene riconosciuto un termine per la presentazione delle reaccusationes e può essere assistito da un difensore.

In summariis, invece, in alternativa della fideiussione è previsto l'arresto, obbligatorio ex lege solo per l'eresia e il crimen lease maiestatis»177.

I termini per la presentazione dei capitula vengono ridotti; successivamente si procede all'apertura del procedimento, che assume prospettive diverse a seconda delle prove prodotte o raccolte, e dell'indice di colpevolezza dell'imputato. Qualora prima del deposito dei

capitula, “consisterit...de maleficio plene vel semiplene”, si deve procedere all'arresto e alla

tortura dell'imputato. Se invece, l'accusato è stato trattenuto in carcere sulla base delle testimonianze prodotte solo dall'accusatore, o se non sono state fornite prove sufficienti a dimostrare la colpevolezza, il giudice può concedere un nuovo termine ad probandum

exceptiones tantum178.

Il procedimento ex abrupto, de facto nullo iuris et ritus ordine servato caratterizza la giustizia in materia penale in Sicilia. In quest'ottica il ricorso agli specialia accompagna la politica accentratrice e repressiva della Monarchia.

Nel 1526 l'avvocato fiscale Antonio Montalto andò in Spagna per denunciare la grave situazione della giustizia nel regno. In particolare, portò all'attenzione di Carlo V gli episodi di violenza e i fatti di sangue, in cui erano coinvolti esponenti di spicco della nobiltà, impuniti perché protetti dalla politica del viceré. La visita di Montalto a Carlo V costò cara, infatti, fu

177 Cit., Sorice R., “...quae omnia bonus iudex considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia

(secolo XVI), Catania, 2010, p. 64.

temporaneamente rimosso dall'ufficio. «In seguito venne rinviato sull'isola con il compito di perseguire delinquenti e fuorgiudicati, istruendo processi ex abrupto con un'ampia facoltà di torturare anche i semplici indiziati»179.

Dopo gli anni delle rivolte e delle congiure in Sicilia la situazione non cambia; infatti, la nobiltà dotata del mero e misto imperio, avvezza a legami con delinquenti e fuoriusciti, e la piaga endemica del banditismo, spingono la Monarchia ad approntare strumenti idonei per frenare il dilagare di questi fenomeni. Negli anni della politica morbida di Pignatelli e del disinteresse di Gonzaga, si alzano da più parti voci che descrivono la situazione della giustizia in Sicilia disastrosa.

Con la linea dura imposta dal viceré Juan de Vega si iniziò ad utilizzare in maniera totalizzante la procedura ex abrupto e dispensativo modo e di decidere delle cause palatine180.

Gli anni del de Vega sono contrassegnati, più degli altri, dal ricorso costante al provvedimento ex abrupto, la politica accondiscendente e permissiva del duca di Medinaceli, suo successore, mantiene ugualmente alto il bisogno di ricorrere a strumenti repressivi eccezionali per controllare il dilagare inarrestabile in campagna e in città d'una criminalità che sommava in miscela esplosiva banditismo e pauperismo.

«L'intelaiatura del processo è improntata sulla rapidità e l'immediatezza. Il reo viene catturato e interrogato. Se dalle informazioni e dalle testimonianze raccolte emerge plene la colpevolezza, o se l'imputato confessa sub iuramento, si procede in audientia publica alla condanna. Se al contrario le prove non sono sufficienti, il giudice ordina la tortura dell'imputato nullis auditis defensionibus facti, sed tantummodo iuris. Dopo la tortura viene concesso all'imputato un termine ad probandum suam innocentiam entro il quale devono essere prodotte exceptiones et defensiones. Superata questa fase si procede alla pronuncia della sentenza e all'immediata esecuzione della pena»181.

L'obiettivo principale è quello di giungere in tempi brevi alla condanna e all'esemplarità della pena. Contrapposta a questo carattere di efficienza vi è però l'irritualità del procedimento. Infatti, vi è una quasi assoluta mancanza di osservanza del rito del processo. Tale irritualità sembra però essere congenita nell'ordinamento stesso.

179 Cit. Baviera Albanese A., Problemi della giustizia in Sicilia, p. 110.

180 Sorice R., “...quae omnia bonus iudex considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia (secolo

XVI), Catania, 2010, p. 69.

181 Cit., Sorice R., “...quae omnia bonus iudex considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia