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LA SICILIA E L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA.

8. Il sistema giudiziario siciliano nel XVI secolo.

8.2 Il sistema probatorio in Sicilia.

Nel corso del Cinquecento la procedura ex abrupto diventa strumento ordinario di giustizia del regno e il procedimento extra ordinem viene esteso anche ad alcuni reati procedibili con rito ordinario. Tutte le cause si svolgevano summarie, de plano, sine strepitu

et figura iuditij. L'eccezionalità del rito adottato si riflette sul sistema d'acquisizione e

accertamento delle prove. Il giudice non può e non deve giudicare omettendo le “probationes

necessarie, quia illae sunt de iure divino”.

In tema di plaena probatio i giuristi prendono le mosse dalla vera et clara scientia delicti, che deriva dall'immediata percezione del fatto. La materiale rappresentazione del crimine e la probabile identificazione del colpevole mettono nelle mani del giudice l'infallibilis notitia

veritatis.

Nei giudizi criminali il discrimine fra l'acquisizione di una prova piena o semiplena deriva dal praeiudicium della non appellabilità della sentenza, dal periculum di un'ingiusta condanna e dall'eventuale giudizio di sindacato182. Il percorso che porta il giudice alla condanna, nei

processi penali, deve fondarsi sulla pienezza della prova; per le cause civili non è necessaria l'exacta probatio, ma sono sufficienti anche delle prove semipiene.

Per i giudizi criminali è quindi fondamentale la prova piena, ossia tutti quegli elementi che riproducono direttamente i fatti o che ne provano il crimine: la deposizione conforme di due

teste de visu, la confessione, la flagranza e il notorio. La confessione è l'elemento che

caratterizza maggiormente il processo penale. Il reus è considerato l'unico vero detentore della verità e le sue parole concorrono a rappresentare o meno la colpevolezza. La confessione è quindi il mezzo diretto e concreto per costruire materialmente la prova.

Importante è il luogo in cui avviene la confessione e i modi utilizzati per far parlare il reus. La tortura, la reclusione in ambienti malsani, possono cambiare i contenuti della confessione stessa.

In Sicilia l'orientamento più diffuso è quello di provare la qualitas della confessione sotto tortura, in caso si proceda summarie o ex abrupto; se invece il rito è ordinario il reo chiede di essere ascoltato «debet tortura supersederi, perchè, qualibet tortura evitaretur, cum reus

semper confiteretur qualitate aliqua adducta»183.

La confessione deve riguardare il delitto del quale l'accusato è stato condannato; a volte il

182 Cit., De Septimo J.A., Adnotationes...super Ritu, fol. 50B, in Sorice R., “...quae omnia bonus iudex

considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia (secolo XVI), Catania, 2010.

silenzio dell'imputato si veste di significato e viene considerato prova sufficiente per la condanna e omettere di rispondere alle domande viene visto come un segno di colpevolezza.

Nel raggiungimento della prova piena, la dottrina elabora una serie di correttivi e di eccezioni; il punto di partenza è che in criminalibus nessuno può essere condannato sulla base di indizi e presunzioni. «Si fa strada l'idea che il giudice possa infliggere una condanna anche “ex praesumptionibus et indiciis indubitatis”»184.

Al giudice spetta il compito di valutare per ogni singolo caso ogni aspetto probatorio ad esso pertinente, e su questo piano si ricercano delle regole ben precise da seguire.

Vi sono una notevole quantità di indizi che il giudice deve seguire e valutare, fra gli indizi un posto particolare è occupato dal concetto di fama, già affrontato nel precedente capitolo. Per molti giuristi la fama assume una buona funzione probatoria solo se rafforzata da altri indizi, uno di questi può essere la presenza di almeno due testimoni che «...deponentes de

fama publica et voce notoria...qui deponant hoc audivisse a maiore parte populi, et quod ex ea traxit originem a probis et honestis viris...»185.

La fuga sia che avvenga prima o dopo la proposizione dell'accusa, viene considerata come prova sufficiente ad condannandum e sono considerati complici del delitto tutti coloro che contribuiscono alla fuga dell'accusato.

L'accumulo delle prove caratterizzerà proporzionalmente la pena dell'accusato, ma il giudice con il suo arbitrio potrà decidere se aumentare o diminuire la durata della stessa.

«In questa prospettiva è fondamentale, da parte dei giuristi, creare uno schema di riferimenti giuridici all'interno del quale il giudice possa pronunciare la sua sentenza spesso fondata su prove incomplete e fatti dubbi»186.

Se un delitto è provato soltanto da presunzioni e indizi e mancano totalmente o hanno molte lacune le prove testimoniali o documentarie, l'accusato deve essere punito con una pena più mite.

Il giudice ha la possibilità di scegliere tra una pena pecuniaria, una “pena

corporalis...levis” e per i delitti più efferati può ricorrere alla pena capitale. La motivazione

della durezza della pene è da inquadrare nel periodo storico di riferimento e nelle ragioni repressive dell'ordinamento.

«Gli anni sono quelli in cui si avvia l'offensiva di Marco Antonio Colonna, appena asceso al potere, contro il “brigantaggio signorile”»187. I viceré tendono a colpire con forza l'impunità

184 Cit., Sorice R., “...quae omnia bonus iudex considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia

(secolo XVI), Catania, 2010, p. 87.

185 Ivi, p. 94. 186 Ivi, p. 99.

goduta dai criminali al soldo del baronaggio, che offre protezione a uomini di malaffare in cambio di preziosi e banditeschi favori.

Inizia a farsi strada il concetto di esemplarità della pena, ma l'oggetto più ricercato e desiderato è il colpevole. Si ha un'affannosa ricerca di arrivare al vero colpevole e per questo il giudice utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione. Il ricorso alla tortura è uno degli strumenti migliori che il giudice possiede, infatti soltanto dalla bocca dell'imputato può emergere la prova della colpevolezza, egli possiede e conosce la veritas.

«In generale la “regola” che il giudice deve imporsi è quella di fare ricorso alla tortura “ob

defectum probationem, ad veritatem investigandam”. I tormenti devono essere inflitti come

unico e ultimo mezzo: “...nam regulariter ad torturam deveniri non debet nisi in

subisidium...quando aliae probationes haberi non possunt”»188.

La regola della necessità degli indizi si sgretola anche di fronte al silenzio dell'imputato. Ma non è soltanto la scelta del non proferir parola che viene presa in considerazione. Infatti, dopo la cattura del reo il giudice procede all'interrogatorio e osserva, valuta le incertezze, le contraddizioni, il pallore, il tremore della voce: elementi che possono costituire indizi ad

torquendum. Dopo di ciò il giudice può deliberare o meno se deve essere prevista la tortura.

Egli deve procedere cum moderamine e deve seguire un preciso rituale che presiede all'inflizione dei tormenti.

L'accusato viene spogliato e ammonito dal giudice a dire la verità, viene legato e avvicinato agli strumenti di tortura, nella speranza che il terrore generato dal luogo e dall'approssimarsi del dolore e della sofferenza produca e induca a proferire verba veritatis. Più l'accusato si professa innocente più l'accusatore accentua i tormenti. Se l'accusato non risponde il giudice ordina fino a tre tratti di corda, anche se dice la verità e questa non serve al processo, sarà necessario infliggere nuovamente dei tratti di corda. Il giorno successivo verrà ripetuto lo stesso rituale; se l'accusato si professerà colpevole verrà calato e potrà iniziare la procedura per la ratifica della confessione.

Se l'imputato continuerà a professarsi innocente, verrà ricondotto in carcere e rimesso in giustizia oppure, se il reato è punibile con una pena pecuniaria, verrà rimesso in libertà189.

La tortura veniva effettuata anche se l'imputato appariva confesso e convinto. Essa rimane

188 Cit., Sorice R., “...quae omnia bonus iudex considerabit...”. La giustizia criminale nel Regno di Sicilia

(secolo XVI), Catania, 2010, p. 104.

189 L'opera di Cumia In Ritus, è perfettamente inserita nel quadro della tortura regolata. Egli offre ai pratici

(ossia ai professionisti della tortura praticata) una pagina stampata di ordinati caratteri, che formula e cristallizza il verbale del terrore e della sofferenza, che ogni buon magistrato può riutilizzare all'infinito. Cumia J., In Ritus Magnae Regiae Curiae, ac totius Regni Siciliae Cuiriarum Commentaria, Praxique super

e si conferma come il mezzo di prova privilegiato, giustificato e consolidato dal punto di vista teorico e ormai connaturato alla logica del processo.