• Non ci sono risultati.

I finanziamenti interni come abuso delle società di capitali

Nel documento I finanziamenti dei soci nelle s.r.l. (pagine 40-45)

4. L’approccio della dottrina nell’individuazione del fondamento

4.1. I finanziamenti interni come abuso delle società di capitali

Un autorevole studioso75, già nel 1967, in uno scritto dedicato alla teoria bigiaviana dell’imprenditore occulto, per primo denuncia la pericolosità di operazioni che comportano un’alterazione del sistema finanziario della società. Egli parte dalla considerazione secondo la quale la società per azioni (e lo stesso vale, analogamente, per la più generale categoria delle società di capitali) sorge come strumento di limitazione della responsabilità, che trova un efficace contrappeso nella previsione di particolari forme organizzative per l’esercizio del potere di gestione, la cui osservanza costituisce un mezzo di garanzia per la tutela degli interessi dei creditori sociali.

Si possono, tuttavia, creare dei fenomeni di “abuso” della struttura societaria76: essi sono individuati nella degenerazione delle strutture organizzative interne, a cui fa generalmente riscontro, sul piano contabile, l’alterazione dei congegni di salvaguardia dell’integrità del capitale sociale e della destinazione dello stesso.

75 A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter

Bigiavi, in Riv. dir. civ., 1967, I, pp. 661-662.

76 A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter

Bigiavi, cit., p. 670 ss.; le argomentazioni dell’ illustre Autore sui finanziamenti dei soci come abuso delle società di capitali sono riprese e analizzate nel testo di R. CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 15 ss.

Nell’individuazione delle possibili alterazioni del sistema societario rientra l’ipotesi dei finanziamenti concessi alla società dagli stessi soci allo scopo di surrogare l’insufficiente dotazione di capitali di rischio, in quanto, in questi casi, i soci, sia pur genericamente rispettando le norme sulla formazione del capitale sociale, eseguono a favore della società “finanziamenti” in misura sproporzionata rispetto alle dimensioni del capitale sociale, e perciò i suddetti finanziamenti non trovano giustificazione nel credito di cui la società potrebbe ragionevolmente godere in funzione dell’entità del suo capitale, ma nel potere di gestione e di controllo appartenente ai soci stessi all’interno della società. Accade così, e non infrequentemente, che società, dotate formalmente di un ristrettissimo capitale sociale, abbiano un enorme giro d’affari, esteso, molte volte, ancor di più dal ricorso a finanziamenti esterni di banche o di terzi, in favore dei quali i soci prestano garanzie personali.

In questo modo, il meccanismo della responsabilità limitata viene reso inoperante, giacché il capitale cessa di svolgere la funzione, che gli è propria, di limitare il rischio inerente agli affari sociali; il rischio viene assunto, attraverso forme dirette o indirette, personalmente dai soci, e, quando ciò si verifica, è naturale che in costoro si manifesti od accentui l’interesse alla gestione diretta ed al controllo illimitato degli affari sociali.

L’Autore evidenzia la pericolosità (per i creditori sociali) di codeste operazioni, sottolineando come, dal punto di vista economico, solo impropriamente i finanziamenti possono essere considerati prestiti, in quanto essi concorrono, e spesso in maniera determinante, alla formazione del capitale di gestione, rivelandosi così indispensabili per ottenere “credito” da parte di terzi finanziatori e per conferire all’impresa sociale una dimensione economicamente adeguata e capace di realizzare un utile. Sotto il profilo giuridico, la possibilità di distinguere tra apporti e finanziamenti deriva esclusivamente dalla presenza di un’entità, la società-persona giuridica, giuridicamente distinta dai singoli soci, e,

quindi, dall’esistenza di un patrimonio separato, essendo altrimenti il rapporto di credito inammissibile per l’identità del soggetto attivo e passivo.

Tuttavia, non si può « utilizzare l’autonomia patrimoniale come strumento per consentire ai soci di mutare il rischio d’impresa inerente ai nuovi versamenti in rischio per l’(eventuale) insolvenza del capitale originariamente costituito »77.

Una volta individuato il fenomeno, si tratta di stabilire in che misura la disciplina di tutela del capitale sociale sia compatibile con l’esecuzione, da parte dei soci, di finanziamenti, che non sono giustificati nella fiducia riposta nella “collettività” dal socio finanziatore, bensì dalla comune volontà di incrementare il fondo sociale. La risoluzione del problema attiene, allora, all’individuazione del grado di separazione dei patrimoni, separazione che è posta per tutelare i creditori e non può essere compatibile con il risultato di qualificare come finanziamenti i versamenti dei soci, perché contrasterebbe con i bisogni che hanno dato luogo a tale separazione.

Le ipotesi di soluzione sono due: a) ritenere che il versamento costituisca una forma impropria di apporto, non preceduta da regolare deliberazione di aumento del capitale, con l’eliminazione del diritto dei soci di concorrere con i creditori sociali per il recupero delle somme versate; b) ravvisare una violazione delle norme sull’integrità del capitale sociale e sulla separazione dei patrimoni, con conseguente caduta dei presupposti per l’applicazione del beneficio della limitazione della responsabilità ed estensione ai soci di una responsabilità personale per

i debiti della società, che comporta la possibilità di esser dichiarati falliti,

applicando ad essi (in qualità di imprenditori “indiretti”) gli effetti del fallimento della società78.

77 A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter

Bigiavi, cit., p. 673.

78

A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter Bigiavi, cit., p. 674.

Viene preferito il secondo rimedio, sulla base della constatazione che la disciplina propria della società di capitali, e della persona giuridica in genere, è il frutto di un delicato equilibrio tra interessi individuali e interessi collettivi, tra interessi interni e interessi esterni. Partendo, dunque, dal presupposto che esiste tra le componenti di tale disciplina una relativa indipendenza, quando i soci con il loro comportamento finiscono per alterare questo equilibrio « è perfettamente ammissibile che qualcuna delle regole in essa comprese divenga inoperante qualora vengano meno le condizioni per la sua applicazione »79. « Di qui la necessità di applicare, nella sfera collettiva, la disciplina della società di capitali, in modo che siano fatti salvi i principi sull’autonomia patrimoniale; e di imputare individualmente ai soci la responsabilità personale per i debiti sociali, estendendo ad essi il fallimento nel caso di insolvenza della società »80.

In questa visione, però, non si realizza un superamento dello schermo della personalità giuridica, in quanto si accosta alla responsabilità dell’ente sociale con il suo patrimonio, la responsabilità del socio che ha violato le predette norme81.

Il fenomeno dei finanziamenti dei soci, configurato come forma di abuso della personalità giuridica, viene spiegato da un altro punto di vista da chi ritiene che, con la pratica dei prestiti, « dietro il simulacro formale di una società di capitali, i soci si comportano come soci di una società di persone con conferimenti non predeterminati, tenuti a norma dell’art. 2253, comma 2, c.c. “a conferire, in parti uguali fra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale” »82

.

79

A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter Bigiavi, cit., p. 686.

80 A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter

Bigiavi, cit., p. 681.

81

Sotto questo profilo Pavone La Rosa riprende la teoria del Bigiavi (W. BIGIAVI, L’imprenditore occulto, Padova, 1954), in relazione all’individuazione della responsabilità del socio « tiranno ».

82

F. GALGANO, L’abuso della personalità giuridica nella giurisprudenza di merito (e negli “obiter dicta” della Cassazione), in Contratto e impresa, 1987, p. 370, come

La nostra dottrina ha ritenuto di radicare il principio generale di abuso e di superamento della personalità giuridica sugli artt. 2362 e 2497 (precedente formulazione), comma 2, c.c.83, che, se applicati analogicamente, offrono un modello di superamento della personalità giuridica84. Tali norme, infatti, sono state dettate come sanzione delle posizioni di dominio della struttura societaria ed, in quanto tali, saranno applicabili tutte le volte in cui ricorre la eadem ratio. Tale impostazione, pertanto, comporterebbe la perdita del beneficio della responsabilità limitata del socio o dei soci finanziatori esclusivamente nei casi in cui i finanziamenti siano effettuati con modalità tali da integrare la eadem

ratio delle norme citate.

Qualora, però, non ricorra un sistematico finanziamento, da parte di un socio, tale da creare una posizione di dominio della società, la società potrà utilizzare lo strumento dell’exceptio doli al fine paralizzare la richiesta di rimborso avanzata dal socio85.

riportato in R. CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 370 (nota 8).

83 V. per tutti, F. GALGANO, Il fallimento delle società. Gli aspetti sostanziali, nel

Tratt. di dir. comm. E di dir. pubbl. dell’econ. diretto dal F. Galgano, X, Padova, 1988, p. 92; secondo questa dottrina « le società sottocapitalizzate ed alimentate sistematicamente dal finanziamento dei soci » costituiscono una fattispecie tipica di abuso della personalità giuridica (p. 97).

84 Su questo punto si è espressa, peraltro, anche la giurisprudenza; v. l’interessante

pronuncia del Tribunale di Venezia (sentenza 6 agosto 1982, in Dir. fall., 1983, II, 744, con nota critica di G. RAGUSA MAGGIORE, Capitale insufficiente e superamento della personalità) secondo cui nel caso di società sottocapitalizzata e di cui l’intero fabbisogno di capitale di rischio sia fornito dal socio finanziatore può, oltre alla società, essere dichiarato fallito in quanto - peraltro – imprenditore autonomo (in proprio), esercente un’ attività di finanziamento alla società; la decisione è criticata anche da F. GALGANO, L’abuso della personalità giuridica nella giurisprudenza di merito (e negli “obiter dicta”della Cassazione), cit., p. 371 ss.

85 D. CENNI, I “versamenti fuori capitale” dei soci e la tutela dei creditori sociali, in

Contr. e impr., 1995, p. 1773: l’Autrice afferma che, nel nostro ordinamento, possa essere riconosciuta un’eccezione di dolo generale. E a tal proposito cita G.L. PELLIZZI, Personalità giuridica e infrazioni valutarie, in Banca, borsa e tit. cred., 1978, I, p. 226, il quale partendo dalla circostanza che l’eccezione di dolo sia specificamente prevista, in materia cambiaria e di limitazioni statutarie dei poteri degli amministratori, sostiene che ciò induce ad affermare che essa sia applicabile tutte le volte in cui si configuri un abuso della semplificazione analitica della fattispecie, quindi anche in caso di abuso della personalità giuridica.

L’opinione è ripresa e riportata da R. CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 18.

Nel documento I finanziamenti dei soci nelle s.r.l. (pagine 40-45)