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I prestiti dei soci: un’ ipotesi negoziale atipica

Nel documento I finanziamenti dei soci nelle s.r.l. (pagine 53-101)

4. L’approccio della dottrina nell’individuazione del fondamento

4.3. I prestiti dei soci: un’ ipotesi negoziale atipica

Si individua l’elemento tipologico della fattispecie nella circostanza che i soci, attraverso il versamento delle somme, effettuano un apporto di nuovo capitale di rischio, di mezzi propri, con la medesima funzione economica dei conferimenti, senza una formale procedura109.

Gli indici sintomatici della presenza dell’elemento tipologico della fattispecie sono rappresentati, in primo luogo, dall’esistenza di un fenomeno di sottocapitalizzazione, intesa come squilibrio tra capitale e altri mezzi propri. In altri termini, « quando i soci eseguono “prestiti” a favore di una società sottocapitalizzata si può affermare che le somme versate, proprio perché erogate nei confronti di un tale soggetto, debbano tendenzialmente qualificarsi alla stregua di “versamenti in conto capitale” o “a fondo perduto” »110

.

Pertanto, nei casi dubbi, l’esame della situazione patrimoniale della società potrà risultare utile strumento di accertamento.

Il secondo indice sintomatico è, secondo l’impostazione in esame, l’anormalità del prestito, rilevabile attraverso un esame delle condizioni contrattuali complessive riguardanti gli interessi, la durata, le garanzie, che non vengono regolamentati con un’espressa pattuizione tra i soci e la società finanziata, quanto piuttosto tramite un accordo parasociale, una “delibera” assembleare o una clausola statutaria, con cui i soci, solitamente, si limitano a stabilire il quantum dei rispettivi versamenti e talora il tempo di esecuzione degli stessi.

Quindi, il prestito sarà anormale quando non vi sarà alcuna pattuizione sulla durata e gli interessi del “prestito” e quando la società non avrà accordato al socio mutuante garanzie relative al rimborso111.

109 M. IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, cit., p. 105. 110 M. IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, cit., p. 111. 111

Secondo l’opinione in esame, vi possono essere anche delle pattuizioni ad hoc sulle condizioni del prestito rivelatrici dell’anormalità dell’operazione: si pensi, ad esempio, al caso in cui si stabilisca che le somme versate saranno restituite dalla società quando le condizioni patrimoniali della stessa lo consentiranno e a discrezione dell’organo amministrativo (M. IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, cit., p. 113).

Ulteriori forti indici sintomatici sono costituiti dall’esecuzione di prestiti da parte di tutti i soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale (essendo, in tali casi, l’analogia con i conferimenti evidente e significativa), e dalla presenza di una compagine sociale ristretta, che facilita l’assunzione di decisioni unanimi dirette all’esecuzione di versamenti in conto capitale o a fondo perduto.

Dopo aver individuato gli indici sintomatici della presenza dell’elemento tipologico112, si passa ad accertare se la fattispecie dei versamenti in conto capitale o a fondo perduto sia riconducibile a modelli tipici, o se, viceversa, non rappresenti un negozio atipico.

Ritenuta ammissibile e lecita la fattispecie dei prestiti dei soci, il primo modello tipico che viene in considerazione è costituito dal contratto di mutuo; e, visto che per provare l’esistenza di un contratto di mutuo si ritiene necessario dimostrare che la consegna è stata effettuata per un titolo che implichi l’obbligo di restituzione, l’assenza nella fattispecie in esame di questo elemento vale ad escludere la sua riconducibilità al mutuo113.

In secondo luogo si è paventata la possibilità che la fattispecie dei versamenti in conto capitale o a fondo perduto possa essere ricondotta agli atti di liberalità. Anche questa strada è stata, però, esclusa poiché si è rilevato come non sussista l’animus donandi, né nei confronti della società, né nei confronti degli altri soci che si siano astenuti dal versamento.

Infine, è stata poi esclusa la riconducibilità dei prestiti dei soci al conferimento, che, al contrario del prestito, affluisce alla società tramite l’osservanza di un procedimento formale.

112 Si ritengono, al contrario, indici non sintomatici: a) il vincolo di destinazione (non

essendo rilevante la denominazione contabile adottata); b) la spontaneità dei prestiti, intesa come libertà di contrarre (essendo un carattere generale e non specifico della fattispecie dei prestiti): M. IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, cit., p. 117.

113 « Quanto si è appena affermato non esclude certo la possibilità che i soci stipulino

con la società un contratto di mutuo, secondo quanto disposto dagli artt. 1813 ss. c.c. » (M. IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, cit., p. 143).

Per tali ragioni, si finisce col sostenere che la fattispecie dei prestiti dei soci configuri un’ipotesi negoziale atipica, assoggettata alla disciplina del sovrapprezzo con il quale condivide la natura di apporto di mezzi propri e l’imputabilità delle somme versate, anziché al capitale, direttamente al patrimonio.

De iure condendo, tuttavia, la soluzione auspicata pare quella della

riqualificazione della prassi dei prestiti dei soci nella direzione di considerarli postergati a quelli degli altri creditori. La postergazione, infatti, risulta « una soluzione adeguata ed equilibrata a comporre gli interessi in gioco: quelli del socio e quelli dei terzi creditori. Il primo infatti può utilizzare uno strumento di “finanziamento” più flessibile del conferimento… I terzi creditori, invece, non vedrebbero pregiudicate le loro aspettative, dal concorso – in situazioni difficili – con i soci della società debitrice »114.

Soluzione, peraltro, già proposta nell’ambito della ricapitalizzazione delle banche e sulla ricerca di nuovi strumenti di ricorso al mercato finanziario: ci si era interrogati, sin dagli anni ’80, sulla liceità dei prestiti postergati nel nostro ordinamento, poiché chi conferisce un prestito postergato subisce, in modo accentuato, il rischio economico di insolvenza del debitore, accettando di collocarsi in posizione intermedia tra gli altri creditori e coloro che hanno conferito capitale di rischio. Si ritiene, in proposito, che il patto di postergazione sia pienamente lecito nel nostro ordinamento e che però i prestiti postergati costituiscano debiti e non conferimenti di capitale in senso giuridico, in quanto « la clausola di postergazione non consente di mutare la qualificazione data dalle parti

114 M. IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, cit., p. 215. La postergazione, secondo

l’Autore (p. 152) rappresenta la « migliore risposta in termini di giustizia sostanziale e di equità ai numerosi problemi sollevati dalla prassi dei “prestiti” dei soci alla società », ma la si esclude partendo dal presupposto che il prestito subordinato è comunque un debito che deve essere rimborsato alla scadenza, mentre l’elemento tipologico dei prestiti è costituito proprio dall’assenza di un obbligo di restituzione.

al rapporto e di assoggettare tali mezzi alla disciplina propria del capitale di sociale »115.

4.4. Critica delle soluzioni prospettate dalla dottrina.

Le molteplici interpretazioni sostenute dalla dottrina non si sottraggono ad alcune critiche.

4.4.1. Critica all’abuso dello schermo societario.

Innanzitutto suscita perplessità il ragionamento secondo il quale il finanziamento dei soci provoca un’alterazione del sistema che, a sua volta, comporta una violazione dell’integrità del capitale sociale, sanzionata con l’estensione ai soci della responsabilità illimitata.

Benché, infatti, l’autorevole sostenitore di tale teoria limiti l’operatività della responsabilità illimitata a quei finanziamenti « eseguiti da tutti i soci in misura proporzionale alla quota di partecipazione di ciascuno e senza adeguata copertura nel capitale della società »116, ricollegare alla pratica dei finanziamenti da parte dei soci la perdita del beneficio della responsabilità limitata è apparso – alla dottrina e alla giurisprudenza maggioritarie – eccessivo, senza considerare che, nel nostro ordinamento, non è possibile perdere la responsabilità limitata al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge117.

115

G.F. CAMPOBASSO, I prestiti subordinati nel diritto italiano, in AA. VV., Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato (a cura di G.B. Portale), Milano, 1983, p. 377, come riportato in R. CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 29 (nota 37).

116

A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter Bigiavi, cit., p. 672.

117 Cfr., per tutti, S. SCOTTI CAMUZZI, L’unico azionista, in Trattato Colombo

Portale, vol. II, Tomo, II, Torino, 1991, p. 681, come riportato in R. CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 30, nota 40.

A tali dubbi si aggiunge la considerazione secondo la quale se per un verso la proporzionalità tra quota di partecipazione e finanziamento appare necessaria ai fini del superamento della responsabilità limitata, per altro verso non si individua la disciplina applicabile a tutti gli altri finanziamenti. Pertanto, quegli esborsi che non rispettino il requisito della proporzionalità rimarranno privi di regolamentazione, nonostante possano condurre a violazioni dell’integrità del capitale.

Non è condivisibile neppure l’impostazione che applica analogicamente le norme dell’unico azionista e quotista, in quanto, a parte l’oggettiva difficoltà di stabilire in concreto a quali condizioni i finanziamenti costituiscano espressione del dominio dei soci sulla società, è l’assunto di base che non convince: l’applicazione analogica, infatti, presuppone la violazione sistematica di ogni regola di organizzazione societaria da parte di tutti i soci, mentre il fenomeno può essere anche sporadico e attuato da uno o più soci; inoltre, le norme in oggetto prevedono la sanzione della responsabilità illimitata non per una violazione delle regole dell’organizzazione sociale, ma per l’assoluto dominio dell’unico socio sull’impresa sociale, appartenendo tutte le azioni o quote ad una sola persona118.

D’altro canto, dopo la riforma, è ancora più chiaro come quello della responsabilità limitata costituisca un principio generale nelle società di capitali, essendo stata riconosciuta la costituzione di una s.p.a. anche per atto unilaterale119.

Per quanto, infine, concerne l’utilizzo dello strumento dell’exceptio doli per paralizzare la richiesta di rimborso avanzata dal socio, l’obiezione è che l’eccezione di dolo potrebbe essere opposta al socio che formuli la

118 Rilievo sollevato da A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’“imprenditore occulto”

nell’opera di Walter Bigiavi, cit., p. 667 e poi ripresa da G. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni capitalizzata, cit., p. 98. Contro l’opinione espressa da Galgano in numerosi scritti, L. PARRELLA, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nelle società di capitali, cit., p. 46.

119 Su tali aspetti v., A. GAMBINO, Limitazione di responsabilità, personalità giuridica

e gestione societaria, in Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum, I, Torino, 2006, p. 48.

richiesta di rimborso solo, in sede fallimentare, attraverso il curatore, mentre i creditori (non soci) rimarrebbero privi di tutela durante

societate, nel caso in cui la società decida comunque di rimborsare il

prestito al socio (salvo l’esercizio di un’azione di responsabilità a carico degli amministratori).

4.4.2. Critica alle tesi che pervengono ad una riqualificazione dei

prestiti.

Le varie tesi sulla riqualificazione del prestito sono state sottoposte a

critica serrata120.

Esse hanno in comune l’elemento della riqualificazione del prestito in conferimento, sulla base di una « valutazione dell’operazione economica » che si effettua i) o con riferimento alla congruità dei mezzi resi disponibili per lo svolgimento dell’attività economica; ii) o verificando il carattere durevole del prestito e l’agire del finanziatore uti

socius; o con una ricerca dell’effettiva volontà delle parti e della finalità

sostanziale dell’operazione121

.

i) In relazione alla tesi che, postulando l’esistenza, nel nostro

ordinamento, di un principio di non manifesta inadeguatezza, riqualifica il prestito in conferimento attraverso lo strumento giuridico del negozio

120 G. FERRI JR, Investimento e conferimento, cit., p. 499, distingue il fenomeno del

finanziamento da quello dell’investimento, affermando che solo nel primo, e non anche nel secondo, sussiste un’alterità sostanziale tra creditore e debitore; e sottolinea come nel fenomeno dei versamenti dei soci vi sia una identità sostanziale tra creditore e debitore che conduce ad annoverare il fenomeno in esame nella sfera dell’investimento funzionalmente atipico, ameno che non si tratti di finanziamenti in senso stretto, i quali saranno regolati dalle norme dello schema contrattuale adottato. L’Autore conclude sostenendo che (p. 519) i versamenti dei soci, proprio perché investimenti atipici, saranno sottratti a qualsiasi disciplina societaria, non solo sul piano contabile (escludendo una loro collocazione nell’ambito del patrimonio netto ed ammettendo una

contabilizzazione tra i debiti della società che ne metta in risalto il carattere di « investimento atipico » e non di « finanziamento »), ma anche sul piano sostanziale e si

collocheranno sul piano parasociale. Tali operazioni mantengono, dunque, un valore giuridico tipicamente individuale, coinvolgendo, non l’intera collettività dei soci, ma solo coloro che, concretamente, decidano di prendervi parte.

121

in frode alla legge, si contesta l’eccessivo condizionamento derivante dall’intento di trasporre, nel nostro sistema giuridico, regole e principi elaborati ed applicati in altri contesti normativi. In particolare, non sembra rintracciabile nell’ordinamento italiano un principio di non manifesta inadeguatezza del capitale, in quanto l’art. 2248, n. 2 (previgente) pone soltanto la regola secondo cui la società deve disporre dei mezzi economici necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale, non il modo con cui deve essere coperto il fabbisogno finanziario, quindi non va a completare la regola dell’art. 2327 c.c. che, al contrario, si limita a fissare un capitale minimo, lasciando i soci liberi di decidere sul “se” e sul “come” predisporre i mezzi finanziari necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale122

. L’istituto della frode alla legge, poi, appare inadeguato in quanto, per la

sua stessa natura, è idoneo a sanzionare elusioni con riferimento al caso concreto, ma non suscettibile di giustificare soluzioni generalizzanti come quella esaminata.

« Da tale impostazione deriva, altresì, l’impossibilità di configurare sulle riserve vincoli ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge o dallo statuto, in assenza di un capitale adeguato, e di qualificare i prestiti dei soci un negozio in frode alla legge »123. A tale riguardo, dunque, la tesi della riqualificazione in esame non sembra poter essere condivisa.

ii) Anche rispetto alla tesi che riqualifica i prestiti dei soci assimilandoli

ai conferimenti in godimento sono state manifestate perplessità che appaiono decisive: in primo luogo, si critica la possibile configurabilità di un conferimento in godimento di somme di denaro124. In secondo luogo, si sottolinea la scarsa praticabilità del tipo di riqualificazione proposta e le evidenti difficoltà operative cui essa condurrebbe: l’autore della tesi

122 Si vedano, al riguardo, la dottrina e la giurisprudenza citate nelle precedenti note 87

e 88.

123

Così, R. CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., p. 33.

124 Il rilievo critico alla tesi citata è formulato da G. TANTINI, I “versamenti in conto

capitale” tra conferimenti e prestiti, cit., p. 72 e ripreso da M. IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, cit., p. 162 il quale evidenzia la difficoltà di configurare una locazione di cose consumabili.

qui criticata, infatti, dopo aver qualificato i prestiti come conferimenti in godimento, si vede costretto a riconoscere, in caso di fallimento della società, al socio finanziatore il diritto di partecipare al concorso in quanto creditore per il rimborso delle somme conferite in godimento, ma con la conseguenza di postergare le sue pretese rispetto a quelle degli altri creditori (non soci) per evitare che il concorso lo avvantaggi125. È, dunque, evidente la macchinosità del congegno proposto e la scarsa utilizzabilità dello stesso126.

Infine, si evidenzia l’incoerenza di riqualificare forzosamente i prestiti, da un lato, e di salvaguardarne la disponibilità piena e definitiva in capo al socio, sottraendola al rischio d’impresa, dall’altro127

.

iii) La tesi, infine, che propugna la ricerca della effettiva volontà delle

parti, pur avendo il pregio di superare l’indagine sul comportamento delle parti e di subordinare la riqualificazione del versamento in rapporto alla circostanza che la società si trovi in difficoltà economiche, appare, anch’essa, censurabile sotto alcuni punti di vista.

Innanzitutto, pur di risolvere il problema di evitare il concorso dei soci finanziatori con gli altri creditori sociali, essa dà luogo ad una evidente forzatura interpretativa. Non viene, difatti, spiegato in alcun modo, in base a quale principio, nel caso in cui la società non sia in grado di restituire le somme versate, la volontà dei soci finanziatori debba essere interpretata sempre nel senso di escludere la natura creditizia dell’operazione. Così, peraltro, l’indagine sulla effettiva volontà delle parti risulterebbe del tutto superflua, in quanto a priori tale volontà non

125 P. ABBADESSA, Il problema dei prestiti dei soci nelle società di capitali: una

proposta di soluzione, cit., 513.

126 G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, cit, p. 117,

riprendendo l’obiezione mossa alla tesi in esame da G. TANTINI, op. ult. loc. cit., rileva come « questo presuppone che l’attivo della massa sia sempre sufficiente a soddisfare gli altri creditori: a meno di non pretendere di accantonare all’infinito quelle somme ».

127

G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, cit., p. 117; L. PARRELLA, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nelle società di capitali, cit., p. 50, sostiene, inoltre, che la tesi sostenuta da Abbadessa, riferendosi alla ragione concreta del negozio, ricava un limite all’autonomia privata, senza individuare alcun indice normativo posto a giustificazione di tale limitazione.

sarebbe considerata libera di scegliere lo strumento giuridico da adottare (mutuo o apporto) per finanziare la società128.

Si aggiungono, poi, gli ostacoli che incontra la disciplina applicabile all’accantonamento dei versamenti nel momento in cui li assimila alle riserve volontarie. In primo luogo, la riserva volontaria (come del resto quella legale) nasce da un accantonamento di utili, mentre con i versamenti in conto capitale dei soci affluisce alla società capitale di rischio (in senso aziendalistico); in secondo luogo, le riserve devono essere costituite attraverso una delibera assembleare, mentre la posta conseguente ai versamenti in conto capitale si viene a creare direttamente con l’apporto delle somme da parte dei soci. Non sembra pertanto applicabile alla fattispecie la disciplina delle riserve facoltative129.

4.4.3. Critica alla configurazione di un negozio atipico.

La tesi che sostiene che il fenomeno dei prestiti dei soci configuri un’ipotesi negoziale atipica, ha avuto il pregio di anticipare, nell’individuazione della fattispecie, alcuni degli indici sintomatici poi accolti dal legislatore della riforma, nonché di aver auspicato, de iure

condendo, l’utilizzo della postergazione, quale soluzione equilibrata e

adatta ad assicurare, ai soci, uno strumento di finanziamento più agile rispetto al conferimento, ai creditori, la tutela rispetto ad un eventuale pregiudizio derivante dal concorso con i soci. Se non che tale

128 Il rilievo critico è di L. PARRELLA, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti

nelle società di capitali, cit., pp. 62 – 63, il quale sostiene come la tesi confutata confonda, dunque, tra di loro due piani differenti, in quanto escludere, sempre e comunque, un’operazione di natura creditizia tra soci e società, quando quest’ultima versi in difficoltà economiche, significa risolvere la questione su un piano diverso, per così dire, pregiudiziale rispetto a quello dell’interpretazione dell’affettiva volontà delle parti. E poi aggiunge che « Ciò non vuol dire…, che, su tale ultimo piano, alla circostanza dell’impossibilità del rimborso da parte della società non debba darsi rilievo ma essa potrà essere considerata quale elemento idoneo, eventualmente, in concorrenza con altri, ad escludere la natura di prestito dell’operazione solo nell’ambito di un’indagine in concreto sulla reale intenzione delle parti, al di fuori di ogni valutazione preconcetta ».

129

orientamento finisce per riconoscere gli elementi tipologici della sola fattispecie dei « versamenti in conto capitale » (o « a fondo perduto »): il fatto che si tratti di apporti di mezzi propri, effettuati dai soci senza la formale procedura propria dei conferimenti e rispetto ai quali non sussiste un obbligo di restituzione da parte della società. Le diverse riflessioni sull’argomento, però, hanno evidenziato come, grazie alla fantasia degli operatori economici, il fenomeno dei prestiti dei soci si presenta con numerose varianti rispetto alle quali risulta difficile enucleare con sicurezza gli elementi tipologici dei versamenti in conto capitale o a fondo perduto. La conseguenza di tale ragionamento è che si finisce per lasciare nell’incertezza interpretativa tutte le numerose alternative con le quali si presenta il fenomeno dei prestiti130.

5. L’utilità del riferimento alla dottrina e il suo limite.

« La feconda ed elaborata interpretazione dottrinale, che pure – come si è visto – ha spesso condotto a risultati non uniformi, ha avuto il merito di creare il fertile sostrato per l’attuale elaborazione normativa, anticipando molti dei problemi teorici sottostanti la nuova disciplina: i) il profilo del comportamento abusivo del socio che cerca di sottrarsi al rischio d’impresa; ii) il rapporto tra capitale, finanziamenti e conseguimento dell’oggetto sociale; iii) il superamento del nomen iuris attribuito dalle parti e la rilevanza della finalità sostanziale dell’operazione; iv) le proposte di inquadramento del fenomeno dal punto di vista contabile; v) l’auspicio all’adozione della postergazione quale migliore strumento di

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