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Fine degli anni ’30: l’avvento di Civirani e le sue innovazion

3. Fase di prosperità e sviluppo: dall’inizio degli anni ’30 alla fine degli anni ‘

3.3. Professionalizzazione del fotografo di scena ed il fotoritratto d’attore

3.3.4. Fine degli anni ’30: l’avvento di Civirani e le sue innovazion

Comincia il cammino, che durerà circa quindici/vent’anni, e porterà alla rivalutazione del ruolo e soprattutto della considerazione del fotografo di scena.

Adesso è ancora l’ultimo anello della lunga catena produttiva del cinema, in assoluta subordinazione ai mezzi tecnici a sua disposizione ed alle condizioni lavorative a cui era costretto ad adattarsi, infatti, sfruttando la testimonianza di uno di loro:

Dalla troupe, il fotografo era considerato, purtroppo, un aggregato, se non addirittura un rompiscatole, anche se era il commendator Pesce in persona.

Tutti i fotografi di scena dell’epoca [cioè degli anni ‘30] hanno sofferto per la poca considerazione che i responsabili della troupe avevano per loro. Più di una volta è accaduto che per il fotografo non ci fosse posto nelle auto in partenza per gli esterni vicino a Roma (anch’io sono rimasto appiedato in alcune occasioni). È anche accaduto che alla distribuzione dei “cestini” durante la pausa per il pranzo, se ne mancava uno, guarda caso era proprio quello per il fotografo di scena perché, secondo l’ispettore di produzione, il fotografo di scena non faceva parte della troupe cinematografica.

Anche per quel che riguardava la diaria per la lavorazione fuori sede, il fotografo era economicamente equiparato ai macchinisti e agli elettricisti e non già ai tecnici come l’aiuto operatore o il fonico. Spesso capitava che tanto Brizzi che Arata93 ci chiamassero, scherzando – ma non troppo – “succhia-ruota” (termine ciclistico che sta ad indicare chi si fa tirare da un

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Reteuna 2000, p: 92

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altro) e ci considerano solo dei “premi-peretta”, dei semplici esecutori che non mettevano niente di proprio nel loro lavoro. E su quest’ultimo aspetto non avevano tutti i torti94.

Queste le parole di Civirani, apprendista di Pesce dal 1934. Sicuramente il commendatore diede il primo input al cambiamento, perfezionando i modelli di impressione della fotografia di scena, come pure alcuni accorgimenti tecnici che consentirono di migliorare i risultati di stampa di queste immagini, adattandoli a meglio visualizzare e trascrivere su carta l’impronta stilistica del film. Pesce fu anche il primo a realizzare fondali fotografici per la scenografia cinematografica. Questi erano costituiti dall’ingrandimento di una fotografia, la quale veniva suddivisa in sezioni, a loro volta fotografate, da questi ulteriori negativi si stampavano altri ingrandimenti di un metro per due. La difficoltà stava nel raggiungere le dimensioni desiderate, senza però sgranarne l’immagine risultante. Poteva comunque capitare che due sezioni vicine risultassero avere tonalità differenti, specie punti di giunzione, in questi casi interveniva il pittore di scena che effettuava i dovuti ritocchi ed appianava le divergenze95.

A determinare la svolta è poi il suo migliore allievo, aprendo alla fotografia di scena nuove sorprendenti possibilità e portando i suoi artefici al meritato riconoscimento della loro professionale artisticità, rimasta fino ad allora repressa, e che adesso non doveva più essere sottovalutata ed estromessa dagli articolati processi di creazione cinematografica.

Il principale motore del cambiamento è sicuramente ascrivibile allo sviluppo tecnico dei mezzi. In merito a questi ed alle modalità di lavorazione, l’attrezzatura del fotografo di scena dagli albori del suo lavoro sino ad ora era rimasta sostanzialmente invariata:

[…] era composta quasi interamente da materiale americano. Le macchine 21x27 [cm], di cui Pesce si serviva per fare le fotografie di scena, avevano tre chassis doppi con volé a saracinesca dove venivano collocate le pellicole piane, due obiettivi (un corto fuoco e un lungo fuoco; il primo era un Cook 30mm, f. 1:4,5 e il secondo un Rodenstock 50 mm, f 1:3,5), un otturatore universale con scatto rapido e B ovvero posa, un panno nero, la fatidica peretta per azionare l’otturatore e un cavalletto a tre gambe rientrabili [con questa macchina il tempo di posa andava dal mezzo a un secondo]. Il tutto per un peso complessivo di 15 chili; non male da portare a braccia.

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Civirani 1995, p: 37

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Gli avvenimenti e le “attualità” venivano fatti con una macchina piccola, formato 9x12[cm], la Mentor, con otturatore a tendina fino ad un 200° di secondo.

Nel reparto di Pesce, i

che servivano per sviluppare negativi o positivi vi venivano sciolti separatamente: metol

idrochinone-solfito, carbonato da una parte, e bromuro dall’altra. [mentre prima i fotografi erano soliti sciogliere tutti i prodotti chimic

sia di negativi sia di positivi,in un unico

boccione, ottenendo così risultati più omogenei tra loro]

mettendo più di uno che dell’altro, si otteneva uno sviluppo “morbido”, “contrasto” o “extracontrasto”. Un sistema, tra l’altro, che aveva il vantaggio di una maggior durata dei prodotti.

La carta sensibile era suddivisa a sua volta per gradazione: “soave”, “normale”, “contrasto”, “extracontrasto”, ed era conservata nei rispettivi cassetti, dentro un

luce. La carta sensibile aveva già un “supporto” lucido e, una volta lavata, veniva posta su delle piastre cromate, con la parte sensibile a contatto con la superficie lucida della piastra. Un rullo di gomma, passato sopra le copie, to

appoggiata su di un piano riscaldato da sotto elettricamente (la smaltatrice) asciugava le copie positive rendendole ancora più lucide, smaltate appunto.

Inizialmente si adoperava materiale sensibile del dell’Agfa.

[…] Le pellicole piane erano di dimensioni 21x27 cm e venivano infilate in piccoli telai d’acciaio inossidabile, messe così nella vasca per lo sviluppo. Da lì, passavano in quella per il fissaggio e quindi in quella per il lavaggio.

Kodak, in grado di asciugare 150 copie formato 18x24 cm in un’ora, accelerando così il

55 Gli avvenimenti e le “attualità” venivano fatti con una macchina piccola, formato 9x12[cm], la Mentor, con otturatore a tendina fino ad un

Nel reparto di Pesce, i prodotti chimici che servivano per sviluppare negativi o positivi vi venivano sciolti separatamente: metol-solfito, solfito, carbonato da una parte, e bromuro dall’altra. [mentre prima i fotografi erano soliti sciogliere tutti i prodotti chimici per lo sviluppo, sia di negativi sia di positivi,in un unico

boccione, ottenendo così risultati più omogenei tra loro]. Cosicché, a seconda delle esigenze, mettendo più di uno che dell’altro, si otteneva uno sviluppo “morbido”, “contrasto” o asto”. Un sistema, tra l’altro, che aveva il vantaggio di una maggior durata dei

La carta sensibile era suddivisa a sua volta per gradazione: “soave”, “normale”, “contrasto”, “extracontrasto”, ed era conservata nei rispettivi cassetti, dentro un

luce. La carta sensibile aveva già un “supporto” lucido e, una volta lavata, veniva posta su delle piastre cromate, con la parte sensibile a contatto con la superficie lucida della piastra. Un rullo di gomma, passato sopra le copie, toglieva l’acqua tra le copie stesse e la piastra che, appoggiata su di un piano riscaldato da sotto elettricamente (la smaltatrice) asciugava le copie positive rendendole ancora più lucide, smaltate appunto.

Inizialmente si adoperava materiale sensibile della Kodak, della Ferrania e qualche volta

pellicole piane erano di dimensioni 21x27 cm e venivano infilate in piccoli telai d’acciaio inossidabile, messe così nella vasca per lo sviluppo. Da lì, passavano in quella per il ndi in quella per il lavaggio. Pesce utilizzava una smaltatrice rotativa della Kodak, in grado di asciugare 150 copie formato 18x24 cm in un’ora, accelerando così il

Figura 21- Una fotocamera Deardo 20×25cm

Cosicché, a seconda delle esigenze, mettendo più di uno che dell’altro, si otteneva uno sviluppo “morbido”, “contrasto” o asto”. Un sistema, tra l’altro, che aveva il vantaggio di una maggior durata dei

La carta sensibile era suddivisa a sua volta per gradazione: “soave”, “normale”, “contrasto”, “extracontrasto”, ed era conservata nei rispettivi cassetti, dentro un armadio a tenuta di luce. La carta sensibile aveva già un “supporto” lucido e, una volta lavata, veniva posta su delle piastre cromate, con la parte sensibile a contatto con la superficie lucida della piastra. glieva l’acqua tra le copie stesse e la piastra che, appoggiata su di un piano riscaldato da sotto elettricamente (la smaltatrice) asciugava le

la Kodak, della Ferrania e qualche volta

pellicole piane erano di dimensioni 21x27 cm e venivano infilate in piccoli telai d’acciaio inossidabile, messe così nella vasca per lo sviluppo. Da lì, passavano in quella per il Pesce utilizzava una smaltatrice rotativa della Kodak, in grado di asciugare 150 copie formato 18x24 cm in un’ora, accelerando così il

Una fotocamera Deardorff, formato 20×25cm.

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processo di asciugamento dei positivi, decisamente all’avanguardia rispetto la maggior parte dei colleghi attivi in quegli stessi anni96.

Dopo lo sviluppo del negativo, la successiva e fondamentale fase che, negli anni ’30 ha raggiunto un notevole grado di sviluppo, era il ritocco manuale (di cui Civirani era maestro, avendo appreso la pratica in giovanissima età nello studio fotografico del padre). Questo era eseguito con matite grasse utilizzate direttamente sul negativo, per correggere le macchie nere causate dal riflesso e dai pori della pelle, per modellare le mezzetinte della luce, così da rendere meno piatte le zone illuminate e più trasparenti le ombre. Una di queste tecniche di ritocco è detta “a grana”, consiste nel ricoprire piccole porzioni del negativo con piccolissimi tratti di forma varia.97

Le “stelle” non sono tutte così belle né così giovani come appariscono sullo schermo, e la lastra fotografica, rivela, con compiacenza, le rughe, le borse, tutti i segni di una tramontata giovinezza, e quelli di una bellezza artificiale. Ecco, in tal caso apparire la matita del ritoccatore98

A questo punto si poteva passare alla stampa in camera oscura,con provini e ingrandimenti, quasi un secondo scatto dal momento che oltre ad avere a che fare con i prodotti chimici, alcuni omologhi altri diversi rispetto quelli usati nella fase di sviluppo, la stampa ed in particolare nel caso di ingrandimenti, richiedeva una nuova regolazione della messa a fuoco, la scelta del formato e del campo dell’inquadratura, e dell’esposizione del negativo99. Altri espedienti utilizzati erano ad esempio: anteporre all’obbiettivo filtri diffusori di vetro o calze di nylon, garze ed altro ancora, allo scopo di causare e sfruttare non naturali fenomeni di rifrazione della luce, che davano modo di smussare i contorni delle figure, dando alla foto un carattere vagamente pittorico100.

A completare il lavoro si applica una smaltatura, che aumenta il grado di brillantezza ed il contrasto della copia positiva101.

96 Civirani 1995, pp: 18–19 97

Reteuna 2000, p: 64

98

Berne De Chavannes P., Il fotografo di scena, in <<Cinema>>, Milano, nr. 4, 25 agosto 1936, U. Hoepli Ed., p: 158

99 In particolare la scelta dell’esposizione del negativo per la stampa è fondamentale, in quanto a tempi di posa

diversi corrispondono risultati nettamente diversi, al punto che è possibile passare da un’immagine molto chiara in negativo ad una molto scura in positivo; così come da una molto contrastata ad una poco contrastata. Guadagnini 2003, pp:60-62.

100

Reteuna 2000, p: 64

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L’articolato insieme di materiali e fasi di lavorazione, di non immediato e semplice utilizzo e realizzazione, a dispetto delle comuni opinioni imperanti nell’ambiente cinematografico; ed il fatto che questa complessità intrinseca comportasse, salvo eccezioni, lo svolgimento di un apprendistato a bottega, per imparare direttamente dai maestri del mestiere (che spesso avveniva in primo luogo da padre in figlio, come un’eredità di conoscenze da trasmettere), denotano un’alta professionalità ed una piena maturità tecnica raggiunta verso la metà degli anni ’30. I fotografi di scena sono finalmente pronti a reclamare il loro posto, forti di una nuova propria espressività.

Questa nuova realtà rivolta alla professionalizzazione si ripercuote ovviamente anche sulle condizioni contrattuali, che vennero standardizzate, soprattutto per quelle botteghe che vantavano nomi di fotografi già affermati. Le serie fotografiche venivano quindi retribuite con un compenso “a negativo e copia campione positiva” in formato 18x24 cm, che andava dalle 18 alle 25 lire (in base soprattutto al valore del film). Tendenzialmente, veniva richiesta e quindi eseguita una serie di 120-150 negativi, tecnicamente buoni (e solo questi erano pagati).

Ai positivi stampati, oltre la copia campione già inclusa nel compenso base, erano corrisposti circa 90 centesimi cadauno; e per alcuni negativi della serie scelta, la produzione poteva richiedere la stampa di ulteriori positivi, da 50 a 100 copie.

Spesso la stampa era fatta su carta sensibile formato 18x24, con cornice bianca di meno di mezzo centimetro sui lati superiore e laterali, mentre quello inferiore era di due centimetri, questo perche qui vi andavano stampati, contemporaneamente al positivo, il titolo del film, il nome del regista, quello degli attori e della produzione e, dalla fine degli anni ’30 inizio ’40 in parte, in piccolo (in parte, a volte direttamente sul retro) anche l’autore della foto o più spesso il nome dello studio fotografico di cui faceva parte102.

Il maestro di bottega poteva pertanto ottenere un incasso da 1500 a 2000 lire a film, da cui doveva detrarre le spese di materiale, spese generali ed il compenso per il fotografo incaricato di seguire quel set.

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Figura 22 - Bozza di contratto che stabiliva il rapporto tecnico economico tra produzione del film ed il fotografo di scena. (Civirani 1995, p:34).

Ed ancora nel <<Manuale della produzione cinematografica>> edito nel 1942 si trova l’elenco per nominativi, del personale tecnico e artistico dell’intero apparato cinematografico italiano, con domicilio ed eventuale numero di telefono, tra questi era compresa anche la voce <<Fotografi>>:

Bertazzi, Bonaventura, Bragaglia Arturo, Ciolfi Ampelio, Corimaldesi Renato, De Antonis Pasquale, D’urso Salvatore, Ghergo, Guidotti Gino, Luxardo Elio, Malandrino, Pesce Aurelio, Pesce Ettore, Pinto Alfredo, Serenissima S. A., Vasari Tommaso, Vaselli, Venturini Tito, Villoresi Manlio103.

I quali, cominciando a veder ufficialmente riconosciuto il loro lavoro, acquistano consapevolezza del loro valore, non solo artistico ma anche commerciale. Ciò si traduce in azioni di autopromozione su quelle stesse pubblicazioni su cui fanno mostra le loro opere:

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PRODUTTORI! PER I FILM ITALIANI FOTO VASELLI ORGANIZZAZIONE PER RIPRESA FOTOGRAFICA DIRETTA. ROMA VIA DEI MILLE N. 3/A, TORINO C° LOMBARDA N. 104104