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patrimonio fotografico del cinema

Che fine fanno tutte le foto di scena, di set, i ritratti e gli special che restano inutilizzate dopo la fase di promozione del film, da parte delle produzioni e quelle invendute dalle agenzie? La risposta parrebbe logica e semplice: vengono conservate, o ancor meglio, raccolte e custodite in appositi archivi preposti al compito di salvaguardare e far conoscere, questo importante patrimonio storico-documentale-artistico della nostra cinematografia, e questi suoi particolari interpreti, che sono i fotografi di scena.

Invece no, la gran parte di esse vanno dimenticate nei polverosi magazzini degli studi di produzione cinematografica e delle agenzie, dove, alla lunga, possono subire danneggiamenti irreversibili. Anche a quelle più moderne, salvate sugli hard disk può toccare una sorte simile, e forse è anche più semplice che accada; infatti, basta un graffio per compromettere la lettura dei files contenuti in un CD, un DVD, o un BlueRay; e anche gli hard disk si possono danneggiare. Impedendo così anche ai fotografi che desidererebbero rientrarne in possesso, di conservarle e ancor meno poterle utilizzare a propria discrezione, perché pur essendone gli artefici non possono vantarne la proprietà.

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Gianfranco Salis in intervista ad Andrea Di Lorenzo, http://www.andreadilorenzo.it, 11 e 18 Marzo 2008, agg. 2014

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All’oggi ancora non esiste un ente incaricato dalle istituzioni competenti, che operi a tal scopo, a livello nazionale. E dopo la lettura di questo elaborato il perché dovrebbe risultare ovvio: non vi è nel nostro paese la mentalità per farlo, almeno a livello istituzionale.

Alla base di questa mancanza cronica continua ad esserci il disinteresse, e peggio la sottostima, del valore storico-artistico dei prodotti della fotografia di scena e dei suoi artefici.

Come dice il professor Gianfranco Arciero284: << Dal punto di vista istituzionale quindi la fotografia di scena non ha alcun peso. […] Il motivo di questa carenza è dato in particolare dalla mancanza di una normativa apposita che regoli il deposito delle fotografie di scena da parte dei produttori presso appositi luoghi adepti alla salvaguardia delle stesse […] è [questa] la maniera più semplice per preservare una traccia dell’esistenza di molti film (e persone) che altrimenti potrebbero sparire o essere dimenticati. [ma] In Italia non esiste una tale sensibilità verso il tema>>.285

Mancando anche una legislazione specifica per la raccolta, la conservazione e la diffusione dei beni fotografici cinematografici, devono essere gli stessi fotografi a prestare attenzione ai loro materiali, a rivendicarli, e volerli attivamente difendere dall’oblio della dimenticanza, attraverso sistematiche attività di archiviazione e diffusione.

Il problema che rende difficoltosa la creazione di tali archivi (oltre alla cronica mancanza di fondi da destinare a tali progetti, soprattutto a causa dei continui tagli al fondo unico per lo spettacolo), è l’assenza di una autocoscienza di gruppo tra gli stessi fotografi di scena. Come ipotizzato dallo stesso Arciero nella medesima intervista, forse perché questi, pur essendo consci della situazione e delle conseguenti necessità, non riescono a capire che la costituzione di un archivio unificato, che raccolga in modo sistematico il loro lavoro, non andrebbe in alcun modo a lederli ma anzi, vi risulterebbero avvantaggiati nella circolazione e valorizzazione di queste loro opere.

Un tentativo in questa direzione lo fecero i fondatori dell’AFS (Associazione Italiana Fotografi di Scena), attiva dal 2000 al 2007. L’associazione coinvolgeva gli esponenti del settore, ed aveva come scopi statutari: la riqualificazione della figura professionale del fotografo di scena, attraverso un sostegno legale. Quindi, la sensibilizzazione al tema, ponendosi come archivio centralizzato, soprattutto delle opere dei soci, che avrebbe consentito ad ogni

284 Docente di Storia e tecniche della fotografia presso l’Università Roma Tre (DAMS), esperto in legislazione

dell’immagine e nel linguaggio fotogiornalistico.

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autore di gestire in piena autonomia il proprio patrimonio fotografico. Doveva anche essere un centro per la conservazione e la catalogazione delle immagini di scena in generale; da perseguire anche ponendosi come ente promotore di mostre e monografie.

Pur annoverando nomi di prim’ordine tra i suoi componenti, primi tra tutti il presidente Gianfranco Salis, ed il segretario Alberto Ludovico Dionisi; seguiti da vicino dai già citati Philippe Antonello, Angelo Turetta, Umberto Montiroli, ed ancora Claudio Iannone, ed altri ancora; tutti i buoni propositi dell’AFS restarono disattesi, e l’associazione si vide costretta a sciogliersi (tra il dicembre 2007 ed il gennaio del 2008).

Riportiamo al riguardo le motivazioni, senza riserve, addotte dall’ex-presidente della stessa, Gianfranco Salis:

<<E’ una delle tante associazioni nate dopo diversi tentativi fatti da Mario Tursi e da altri fotografi della generazione precedente alla mia. Noi tentammo a fine anni ’90, con questa crisi che ormai continuava da parecchio tempo, di scambiarci delle opinioni, di essere uniti, di rispettare determinate regole da seguire tutti insieme, per questo ci associammo. Devo dire che, però, non è stata una grande esperienza e si è frantumata a causa dei soliti comportamenti scorretti da parte di alcuni membri dell’Associazione, per cui tutto quello che era stato scritto nello statuto e detto nelle varie riunioni è stato disatteso: parlo dell’essere compatti ed uniti nelle trattative economiche (ad esempio non scendere sotto determinate cifre) ma anche per quanto riguarda il comportamento, non essendo sempre disponibili alle richieste, anche tecnologiche (mi riferisco ovviamente al digitale), del produttore che vuole risparmiare. Mentre si continua a girare in pellicola, moltissimi fotografi, pur di avere un privilegio, una preferenza anche economica più che qualitativa, ed essere scelti da parte di un produttore perché si risparmiavano 200 - 300 euro di rullini, hanno incominciato a non rispettare quello che si era in qualche modo stabilito. Ci sono poi stati dei comportamenti scorretti soprattutto nei compensi economici: abbiamo saputo che molti dei nostri associati andavano gratuitamente sui set, per cui prendevano spunto dalle iniziative di Photomovie, quest’agenzia specializzata in foto per il cinema, che già da alcuni anni stava portando avanti, ossia fotografo gratis in cambio di vendita delle fotografie. Era quindi inutile continuare, soprattutto considerati i diversi comportamenti, le valutazioni, da parte di generazioni diverse. Siamo arrivati ad un punto che continuare era inutile.

La cosa più importante, l’idea di questa rinascita che sognavamo, era anche legata alla Scuola Nazionale di Cinema di Cinecittà che sta perdendo, anno dopo anno, un patrimonio per la sua fototeca. Attraverso anche l’appoggio dello Stato, con l’ausilio di collaborazioni e finanziamenti pubblici, si poteva avere una garanzia che fotografi appartenenti

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all’Associazione, quindi professionisti associati e non improvvisatori (come sono molti degli attuali fotografi presenti sui set italiani, quei fotografi che fanno di tutto dal cinema, alla televisione, alla partita), a fine lavorazione lasciassero alla Scuola Nazionale di Cinema, copia delle fotografie dei film che si giravano. Ma ciò non era possibile senza un finanziamento pubblico [mai avuto], per cui il senso della cosa è decaduto e ognuno ha continuato per la sua strada. Questo naturalmente è un danno gravissimo non solo per l’Associazione ma per la categoria, perché non si proporranno più fotografi specializzati nel settore cinema e nessuno di questi fotografi che vanno gratis sui set possono permettersi di dare le fotografie, o una parte di esse, alla Scuola Nazionale di Cinema. E’ un otre che perde vino da tutte le parti. Per questo abbiamo deciso di chiudere.>>286

il già citato Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma (articolata in Cineteca Nazionale e Scuola Nazionale di Cinema); come pure il Museo del cinema di Torino e la Cineteca di Bologna, che posseggono un consistente patrimonio documentale, potrebbero a ragione essere (ma non sono) il luogo adibito alla salvaguardia della storia cinematografica italiana, anche per quanto riguarda la fotografia di scena (nel senso più ampio del termine). Questi enti però non si sono effettivamente dimostrati aperti a promuovere o sostenere questo tipo di iniziative. Un fondamentale contributo alla causa viene invece da un’iniziativa isolata del Centro Cinema Città di Cesena (San Biagio)287. Questo è attivo dal 1998, e non solo col puro lavoro di raccolta e catalogazione delle fotografie in questione, iniziate con donazioni di collezioni private che poco a poco si sono ampliate, costituendo all’oggi un importante archivio,288 ed Incrementate ulteriormente dall’avvio del concorso Cliciak, annuale concorso nazionale per fotografi di scena. Spiega Antonio Maraldi, responsabile della sezione cinema del Centro:

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Gianfranco Salis in intervista ad Andrea Di Lorenzo, http://www.andreadilorenzo.it, 11 e 18 Marzo 2008, agg. 2014

287http://www.comune.cesena.fc.it/sanbiagiocesena/ilcentro 288

<<Siamo arrivati alla foto di scena attraverso un percorso un po’ particolare: abbiamo avuto in donazione, agli inizi degli anni ’90, l’archivio di Antonio Pietrangeli, all’interno del quale erano conservate 6500 foto di scena, molte dei suoi film, ma molte inerenti anche altri film e raccolte quando era un giovane critico agli inizi degli anni ’40. Dovendo metterle a posto abbiamo cominciato a cercare notizie su chi erano questi fotografi, gli autori delle foto, e scoprendo, dopo poco, che sull’argomento non c’era nulla. Da lì abbiamo iniziato una ricerca certosina su i fotografi storici del cinema italiano, che abbiamo avuto anche la fortuna di conoscere in alcuni casi. Alcuni di essi ci hanno anche donato i loro archivi, come ad esempio Vittorugo Contino, da noi contattato perché tra le foto di Adua e le compagne, che sono di Angelo Pennoni, abbiamone ritrovate timbrate Contino: dopo varie ricerche siamo arrivati a lui, che ci ha spiegato come su quel film fece uno special su Sandra Milo per conto del produttore. E’ stato molto generoso donandoci il suo archivio a carattere cinematografico che conta circa 22mila negativi.>> (Antonio Maraldi in intervista ad Andrea Di Lorenzo, http://www.andreadilorenzo.it, 2008, agg. 2014).

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<<Da questo è nata l’idea del concorso per fotografi di scena: il problema era che, se negli archivi storici qualcosa, bene o male, si riesce a trovare, soprattutto per il florido periodo che va dagli anni ’30 agli anni ’70; per quanto riguarda il presente non c’era molto, non si riusciva a catturare le foto e il lavoro dei fotografi di oggi; fu così che ci venne quest’idea e nel ’98 siamo partiti. Le difficoltà non furono poche, non è stato semplice, anche perché non c’erano associazioni di categoria, non c’erano elenchi, però, anno dopo anno, la cosa è cresciuta e, per fare un raffronto, mentre il primo anno sono arrivate 250 foto, quest’anno che abbiamo festeggiato l’undicesima edizione, ne sono arrivate quasi 1300.

Il fondo di Cliciak raggiunge ormai le 15 mila fotografie e questa, forse, è la cosa più singolare, perché nessuno oggi in Italia ha una fototeca sul cinema italiano contemporaneo così consistente e così particolare, perché poi la cosa che noi abbiamo particolarmente apprezzato è stato che i fotografi stessi, capita la funzione del concorso, che non era tanto quella di mettere a confronto i più bravi, ma quella di creare una fototeca sul cinema contemporaneo, oltre ad inviare più delle foto previste dal bando, hanno per Cliciak un occhio particolare, cioè, mettono da parte quelle che sono le foto per loro più interessanti, che non vengono assolutamente utilizzate dagli uffici stampa.>>289

Grazie al loro impegno si può affermare che l’attenzione per la figura del fotografo di scena è in qualche modo cresciuta, la strada ed il lavoro da fare sono ancora tanti ma le continue, crescenti risposte positive, sia a livello di partecipanti al concorso, sia a livello di pubblico dello stesso, aiutano a ben sperare, rinvigorendo le motivazioni da cui traggono le energie e la volontà per continuare a impegnarsi in questo senso.

Tuttavia questo lavoro diventa sempre più complicato anche a causa delle tecnologie digitali, ormai utilizzate quasi da tutti. Infatti, ne consegue una maggiore difficoltà nella classificazione e catalogazione di questi materiali, dato che sono pochissimi i fotografi che ancora stampano in modo sistematico i loro lavori, essendo più comodo e diffondibile usare CD e DVD.

Un evidente contributo è dato anche dalla consistente attività editoriale sull’argomento, a corredo di mostre ed altri eventi promossi dallo stesso ente. Si ricorda qui la collana di monografie,che affianca il concorso, con cui ogni anno viene reso omaggio ad uno dei grandi fotografi di scena, a cominciare da quelli del passato290.

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Antonio Maraldi in intervista ad Andrea Di Lorenzo, http://www.andreadilorenzo.it, 2008, agg. 2014

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All’infuori di questi e pochi altri, recenti, esempi, le fonti librarie disponibili al riguardo scarseggiano, gran parte dei quali sono appunto cataloghi di mostre e monografie. Questi, pur presentando al pubblico un cospicuo numero di fotografie, sono però troppo carenti dal punto di vista testuale, quasi esclusivamente di premessa al volume.

Un’ulteriore riprova, questa, della scarsa attenzione data sino ad ora alla nostra materia d’indagine, che invece, da quanto fin qui emerso, risulta essere interessante e ricca di sfaccettature meritevoli di essere indagate e quindi conosciute.

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5. Conclusioni

Il fotografo di scena: mestiere in via d’estinzione o un