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Il fiorentino trecentesco

3 Contributi sulla lingua di Boccaccio

3.1 Il fiorentino trecentesco

Punto di riferimento imprescindibile per gli studi su testi fiorentini medie- vali è la «formula del fiorentino» elaborata da Arrigo Castellani in base agli spo- gli su testi del Duecento. Secondo quanto individuato da Castellani, le caratteri- stiche distintive del fiorentino duecentesco sono: presenza di anafonesi e assenza di metafonesi; dittongamento di e e o toniche in sillaba libera e assenza di ditton- gamento in altre sedi; evoluzione di e atona in i; evoluzione di ar atono in er; evoluzione di [rj] in [j]14. Studi successivi, sia dello stesso Castellani che di altri, hanno puntualizzato la definizione, individuando ulteriori fatti fonetici, morfolo- gici e morfosintattici e delineando lo sviluppo della lingua nell’arco dei secoli XIII-XV.

Il fiorentino trecentesco è in sostanza un sistema linguistico ben noto. Per elencarne le caratteristiche principali è sufficiente citare il riepilogo fatto da Paola Manni nella sua monografia dedicata al toscano trecentesco (Manni 2003, pp. 35-41, cui rimando per la bibliografia).

FATTI FONETICI

1) Pur nell’ambito di una spiccata tendenza al passaggio di e protonica a i, si ha la persistenza di e nelle forme Melano, melanese, pregione, serocchia,

nepote, che si possono trovare ancora nel corso del secolo XIV (mentre è un po’

più precoce l’evoluzione di segnore a signore, megliore a migliore).

2) Il dittongamento si presenta regolarmente anche dopo consonante + r (priego, truovo). Fra le singole forme che presentano il dittongo in opposizione all’italiano moderno citiamo niega (e altre voci rizotoniche di negare); alternano dittongo e vocale semplice i tipi verbali lieva e puose (e, modellato su quest’ulti- mo, rispuose).

3) I dittonghi discendenti ai, ei, oi si riducono alla prima componente (forme come meità, preite lasciano il posto a metà, prete).

4) Un fenomeno assimilativo assai diffuso è costituito dall’evoluzione del gruppo ia, io in ie, che si verifica sia in posizione atona (Dietaiuti) sia in posi- zione tonica, soprattutto quando segue altra sillaba (sieno, fieno, avieno più fre- quente di avie).

5) È normale an < en protonico in danari, incontanente, sanatore, sanese e in sanza.

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6) La sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche interessa anche voci che oggi hanno la sorda come aguto ‘acuto’ e anche ‘chiodo’, coverta ‘coperta’, podere sost. ‘fondo rustico’ oppure ‘facoltà’, ‘dominio’ e varie parole in -adore, -idore come amadore, ambasciadore, imperadore, servidore.

7) Il sistema consonantico comprende la variante tenue dell’affricata alveolare sorda [ts], che ricorre in parole dotte come grazia e vizio provenienti da basi latine con -TJ- (mentre si ha la doppia in parole provenienti da basi latine

con -CTJ-, -PTJ- come elezione, eccezione).

8) Sussiste anche il grado tenue della sibilante palatale sorda [ ] che, reso di solito con la grafia sci, rappresenta l’esito di -SJ- (bascio < BASJUM, cami-

scia < CAMISJAM, ecc.), ben distinto dall’affricata palatale sorda [t ], che ancora non ha subito la spirantizzazione in posizione intervocalica. La coincidenza veri- ficatasi fra i due elementi in seguito a quest’ultimo fenomeno (avvenuto a quanto pare nella seconda metà del Trecento) li porta a divenire entrambi varianti di posizione del fonema /t / e ad adeguarsi alla comune grafia c.

9) Il normale esito di -GL- è [ggj] per cui si hanno forme come tegghia <

TEG(U)LAM, vegghiare < VIG(I)LARE, non ancora sostituite da teglia, vegliare per

reazione al fenomeno rustico del passaggio di [ ] a [ggj] in aglio, famiglia ecc. 10) Nella maggior parte dei casi si ha [ ] da -NG- davanti a vocale pala- tale (giugnere, tignere, ecc.).

11) Nelle preposizioni articolate, il tipo con l doppia, che in origine ricor- reva solo davanti a parola iniziante per vocale tonica, si generalizza (se prima si aveva dell’oro ma dela casa, del’amico, si viene ad avere uniformemente dell’o-

ro, della casa, dell’amico).

12) Negli avverbi composti da aggettivi in -le + mente, si ha la sincope se l’aggettivo è piano (naturalmente), mentre se l’aggettivo è sdrucciolo le forme sincopate ancora coesistono con quelle non sincopate (similmente e similemen-

te).

13) Sotto la spinta delle altre varietà toscane scompare il dittongo in iera,

ierano.

14) I tipi serò, serei passano a sarò, sarei.

15) Si ha la conservazione di e tonica in iato nelle voci del congiuntivo presente di dare e stare (dea, stea, ecc.).

16) Si ha la sincope nei futuri e condizionali della II classe (averò, averei passano a avrò, avrei pur senza divenire esclusivi). Diversamente il tipo non sin- copato viverò è ancora costante. Il fiorentino si rivela inoltre avverso alla sincope fra occlusiva (o spirante labiodentale) e r in altri casi, fra cui comperare, diritto,

opera, sofferire, temperare, vespero che si mantengono dominanti per tutto il

Trecento e oltre.

18) Fra i numerali diece resta in uso fino alla metà del secolo XIV, mentre è più tenace la resistenza di dicessette, dicennove, milia. Come diece, hanno e finale gli avverbi domane e stamane.

FATTI MORFOLOGICI

19) Il tipo debole dell’articolo determinativo maschile singolare, che si affianca al tipo forte lo, può presentarsi anche nella forma enclitica ’l, specie dopo alcuni monosillabi (che, è, e, se).

20) Le forme ’l e il possono rappresentare anche il pronome atono maschile di III persona singolare (che ’l vide ‘che lo vide’).

21) Le desinenze di I persona plurale del presente indicativo -emo, -imo (avemo, perdemo, sentimo) lasciano il posto a -iamo in analogia col congiuntivo (abbiamo, perdiamo, sentiamo). Le desinenze -emo, -imo sono le uniche presenti nei testi fiorentini anteriori al terzultimo decennio del Duecento (per quanto riguarda i verbi della I classe mancano esempi utili relativi all’epoca più antica).

22) La I persona singolare dell’imperfetto indicativo esce regolarmente in

-a < -AM.

23) Per l’imperfetto indicativo dei verbi della II e III classe sono diffuse le desinenze -ea, -eano (avea, aveano), in qualche caso affiancate da -ia, -iano che tendono a passare a -ie, -ieno (avia, aviano e avie, avieno).

24) Per la I e II persona plurale dell’imperfetto indicativo dei verbi della II, III e IV classe la desinenza -i (che tu abbi, che tu facci, ecc.), già modellatasi su quella della I classe, resta nel complesso dominante, anche se ad essa si affianca la moderna desinenza -a, analogica alla I e III persona (che tu abbia,

che ti faccia, ecc.), di cui si hanno esempi già in Dante.

25) Le desinenze di III persona singolare del perfetto indicativo di tipo debole, nei verbi delle classi diverse dalla I, -eo, -io (perdeo, sentio) sono sosti- tuite da -é, -ì.

26) Alla III persona plurale del perfetto indicativo la molteplicità degli esiti è particolarmente vistosa. Nei perfetti deboli, con accento desinenziale, si hanno ancora le desinenze primitive -aro, -ero, -iro < -AR NT, -ER NT, -IR NT

(amaro, perdero, sentiro) affiancate però da -arono, -erono e -irono (amarono,

perderono, sentirono), dove l’aggiunta di -no è analogica alla III persona plurale

del presente indicativo. La stessa tipologia si presenta in fuoro (furo) < *F RUNT

poi passato a fuorono, furono. Per i perfetti forti (e le forme corrispondenti del- l’imperfetto congiuntivo e condizionale), accanto all’uscita etimologica -ero < -ER NT (dissero), che prevale, si hanno diverse forme in -ono (dissono), anch’esse analogiche alla terza persona plurale del presente indicativo, e qual- cuna in -oro (desinenza già attestata alla fine del secolo XIII nella forma ebboro, dove è presumibilmente l’influsso della labiale a determinare l’assimilazione della e originaria alla o finale).

27) La desinenza etimologica di II persona singolare -e < -AS, che in ori-

gine caratterizzava il presente indicativo dei verbi della I classe (tu ame) e il pre- sente congiuntivo dei verbi della II, III e IV classe (che tu abbie, che tu facce,

che tu parte), tende a scomparire assimilandosi alla -i che era propria delle altre

voci del paradigma (ossia la II persona singolare del presente indicativo dei verbi delle classi diverse dalla I uscenti originariamente in -ES, - S, -S, e la seconda

persona singolare del presente congiuntivo dei verbi della prima classe uscente in -ES); si ha quindi: tu ami; e che tu abbi, che tu facci, che tu parti). Per la II persona singolare del presente congiuntivo dei verbi della II, III e IV classe, fin dall’inizio del secolo XIV, si può talora trovare anche la desinenza moderna -a (che tu abbia, che tu faccia, ecc.), dovuta a un conguaglio analogico con la I e la III persona uscenti in -a < -AM, -AT.

28) La desinenza di I persona singolare dell’imperfetto congiuntivo -e < -EM (che io potesse) è sostituita da -i (che io potessi) in analogia con la II per- sona singolare che aveva regolarmente -i < -ES.

29) La II persona singolare del presente indicativo del verbo essere è sè (*SES), che rappresenta la norma nel fiorentino (e toscano) medievale. Al futuro,

in alternativa a sarà, saranno, si possono avere le forme sintetiche fia, fie e fia-

no, fieno continuatrici del futuro di FIO (FIET,FIENT). FATTI MORFOSINTATTICI

30) È rispettata la legge Tobler-Mussafia, che obbliga a porre in posizione enclitica al verbo le particelle pronominali atone sia dopo pausa (e in primo luogo ad inizio di proposizione principale posta in apertura del periodo o anche coordinata asindeticamente ad altra o ad altre che la precedono), sia, normalmen- te, dopo alcune congiunzioni coordinanti come e e ma. La tendenza all’enclisi vige anche nel caso di principale posposta alla dipendente, pur ammettendo varie eccezioni. Alla legge Tobler-Mussafia obbedisce pure il pronome atono unito all’imperativo, che in posizione libera predilige comunque la proclisi.

31) Nelle sequenze delle particelle pronominali atone l’accusativo pre- cede il dativo (lo mi dai ‘me lo dai’), ma le generazioni nate nel Trecento già adottano l’ordine inverso e moderno. Si lega al primitivo ordine accusativo + dativo il nesso pronominale gliele invariabile, che continua, unificandoli, i tipi più arcaici li li e le le, derivanti a loro volta da lo li, la li, ecc., lo le, la le, ecc.

Nel corso di questo lavoro si considereranno particolarmente i tratti nn. 2 (§ 6), 4 (§ 10.2), 5 (§ 8), 12 (§ 9), 14 (§ 10.2), 15 (§10.2), 16 (§ 7), 17 (§ 6.3 n. 18) e 31 (§ 10).