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Riduzione del dittongo al primo elemento

6 Dittongamento spontaneo

6.5 Riduzione del dittongo al primo elemento

Sono attestate in L e in B alcune forme con riduzione del dittongo al primo elemento: Tes (L) figliulo 74v 31; TeC (L) giuco 70rd 1; 25

Anche la forma moversi di TrC corrisponde a una forma dittongata in TrT (muoversi 15r 30); su queste e altre innovazioni introdotte in C1rispetto ai passi corrispondenti in T cfr. Manni

2003, pp. 332-333. 26

Cfr. Manni 1979, p. 121; Castellani 1980, I, p. 22; Castellani 2000, p. 287. 27

Cfr. Stussi 1995, p. 198: «la monottongazione dopo palatale, che inizia a manifestarsi nella seconda metà del Duecento non è documentata nella prosa decameroniana». Per la riduzione del dittongo dopo suono palatale cfr. Castellani 1993, pp. 182-190.

Dec (B) figliulo 70b 43; giuco 91d 13, 103c 21; legnaiulo 59c 44; lugo 97b 12, 97c 33; humo 12b 2, 33a 26.

Per quanto riguarda il Teseida, la forma figliulo si oppone a 27 occorrenze del lemma figliuolo regolarmente dittongate. Per le Chiose, alla forma giuco si oppongono 16 occorrenze del lemma gioco s.m. con dittongo. Nel Decameron, accanto alle forme segnalate, si hanno 335 occorrenze dittongate del lemma

figliuolo, 9 del lemma gioco s.m. (e 2 senza dittongo ma nei versi delle ballate),

203 del lemma luogo, 720 del lemma uomo e 13 di lemmi con il suffisso -uolo indicanti mestieri (brodaiuola, brodaiuolo, lanaiuolo 3 occ., legnaiuolo 5 occ,

pennaiuolo, stamaiuolo, ventraiuola). Entrambe le occorrenze di lugo indicano

l’area di sepoltura di un monastero, ma altrove nell’opera si trova usato luogo nella stessa accezione (cfr. ad esempio Branca 1976, p. 34: «piacevi egli che 'l vostro corpo sia sepellito al nostro luogo?»).

La riduzione del dittongo al primo elemento è un fenomeno attestato spo- radicamente a Firenze e nella Toscana occidentale (mentre si presenta con più frequenza nelle varietà orientali) e le attestazioni autografe di Boccaccio possono essere considerate fisiologiche per il fiorentino del tempo. Rientra nell’uso fio- rentino anche il fatto che sia attestata la sola riduzione uo > u, che è più diffusa di

ie > i in tutte le varietà linguistiche toscane28. Nel Corpus F sono presenti forme con riduzione del dittongo analoghe a quelle dei volgari autografi:

Doc. fior., 1279-80: lugho p. 480;

Doc. fior., 1274-84: lugho p. 480, p. 483, p. 486, p. 492); Doc. fior., 1255-90: figluli p. 252; figlulo p. 216;

Doc. fior., 1281-97: setaiulo p. 20; Doc. fior., 1291-98: chasciaiulo p. 21;

Paolino Pieri, Cronica, 1305 c.: giuco p. 78;

28 Cfr. Stussi 1992, p. 198 e Castellani 1980, I, p 336n. Le prime riflessioni sul fenomeno sono quelle di Giacomo Parodi: «nel toscano più schietto e più popolare i dittonghi ie e uo passavano in i ed in u, non solo nell’iato con vocali a, e, o [[...]], sibbene anche fuori di iato, davanti ad una sola consonante, per motivi e dentro limiti che finora non conosciamo bene» (Parodi 1895-96, p. 98), e: «Non è noto quanto fosse esteso il fenomeno in ciascuna località, ma si può affermare con sicurezza che nella Toscana centrale penetrò dal mezzogiorno, e, se fu più che aretino umbro, certo fu anche più che fiorentino aretino» (Parodi 1913, p. 132). Per la diffusione del fenomeno nelle diverse varietà toscane (e Umbre) cfr. anche: per l’Umbria e la Toscana orienta- le, Agostini 1968, p. 104, n. 11 e Agostini 1978, pp. 21-26 (in part. p. 26); per l’aretino, Serianni 1972, p. 66; per il senese, Castellani 1980, I, p. 336; per i dialetti occidentali, Dardano 1966, p. 171 e Sessa 1979, p. 94; per il sangimignanese, Castellani 1956, pp. 13-14; per il pistoiese, Manni 1982, p. 75; per il pratese, Serianni 1977, p. 39.

Doc. fior., 1274-1310: figliulo p. 355; Doc. fior., a. 1335: figluli p. 648.

È inoltre necessario considerare che per alcune delle forme attestate pos- sono aver concorso alla riduzione del dittongo spinte analogiche e di assimilazio- ne. Si può ipotizzare una forma di assimilazione sintagmatica per umo, che occorre entrambe le volte nella sequenza uno umo (come notato in Stussi 1992, p. 198n); si possono supporre spinte analogiche per il sostantivo giuco, sulla base delle forme arizotoniche del verbo e dei deverbali che in tutto il corpus dei vol- gari autografi occorrono con u in posizione atona29:

Tes (L)

giucando 129v 27, 130r 4; giucaro 130r 11; giucherò 14v 18; Arg (C2)

giucarono 23v 23; Dec (B)

giucando 5a 28/29, 79a 16; giucare 32d 5, 47r 17, 73a 15, 78c 37/38, 96c

50, 99r 52; giucata 99d 13; giucati 99c 39; giucato 99c 42; giucava 99b 39;

giucatore 5c 42.

Si nota in conclusione che le forme attestate in B mancano nel mano- scritto P del Decameron30. Relativamente alle attestazioni in Dec Vitale parla di «forme con riduzione del dittongo secondo usi popolari tosco-fiorentini»31 e di «un trapasso dalle forme correnti e usuali, dominanti nell’uso, a forme tosco-fio- rentine idiomatiche»32; nella sua trattazione non considera però le altre occorren- ze, né quella di C2 né quelle dell’autografo giovanile L.

6.6 Conclusioni

Lo studio dell’alternanza fra forme che presentano il dittongamento spon- taneo e forme che non lo presentano nei volgari autografi di Boccaccio consente numerose osservazioni. Si tratta di osservazioni significative nonostante siano condotte sulla base di un solo fenomeno, sia perché intorno a quest’unico feno- meno operano forze di diverso genere, sia perché interessa suoni così diffusi da offrire attestazioni significative per numero anche in testi brevi.

29

Per l’ipotesi di analogia del sostantivo sulle forme del verbo cfr. Salvioni 1905, p. 398 (che la formulò a proposito del lucchese).

30 Cfr. Branca 2002, p. 28, p. 54, p. 91, p. 105, p. 143, p. 150, p. 159. 31 Vitale 2005, p. 56. 32 Vitale 2002, p. 323.

Come premessa è necessario ricordare la sostanziale rispondenza ai modi fiorentini del tempo. La maggior parte delle forme non dittongate è quindi legata a fenomeni presenti diffusamente nel fiorentino coevo, anche se non con regola- rità. Fra questi, il fatto meno sorprendente è l’uso di forme non dittongate nei testi in versi, percepite come più adatte alla lingua poetica rispetto alle dittongate. Un secondo fatto è la comparsa di forme con riduzione del dittongo dopo occlusi- va + r; questo fenomeno di riduzione si diffonde a Firenze verso la fine del XIV secolo, ed ha nei volgari autografi delle attestazioni alte. Un terzo fatto è la ridu- zione del dittongo al primo elemento, non inconsueta nei testi fiorentini del tempo e sporadicamente attestata anche nei volgari autografi.

Fra i fenomeni previsti dal sistema linguistico fiorentino coevo manca invece la riduzione del dittongo dopo suono palatale, attestata già a partire dalla metà del XIII secolo ma assente nei volgari autografi.

A queste forme fisiologiche di deroga al dittongamento si aggiunge una tendenza che sembra propria della lingua di Boccaccio: l’uso di forme prive di dittongo per i verbi levare, negare, porre e composti e rispondere. I tipi leva,

nega, pose e rispose sono presenti in aree linguistiche marginali a quella fioren-

tina, e penetrano sporadicamente anche in essa. L’alta percentuale di forme non dittongate nei volgari autografi, soprattutto per il tipo pose e rispose, è però un’a- nomalia che distingue la lingua dei volgari autografi da quella dei testi fiorentini coevi. L’ipotesi avanzata, da Castellani, per spiegare l’anomalia è che si tratti di un fatto proprio della varietà linguistica di Certaldo.

Oltre a queste riflessioni, che riassumono quanto concluso nei paragrafi precedenti, l’insieme dei dati relativi al dittongamento spontaneo evidenzia due tendenze generali.

La prima tendenza è la minor stabilità del dittongo uo rispetto al dittongo

ie: le forme prive di dittongo da latina sono più diffuse di quelle da , sia che si

tratti di forme di uso poetico sia che si tratti di forme con dittongo ridotto. La minor stabilità del dittongo uo è un fatto generale toscano, per cui si può ipotiz- zare, con Livio Petrucci, che il fatto fonetico sia legato ad un fatto culturale: il dittongo ie potrebbe essere più diffuso di uo perché percepito come meno volga- re, essendo presente nelle lingue di prestigio culturale e letterario assai più di quanto non succeda per uo, pressoché assente. Per la riduzione del dittongo dopo occlusiva + r la minor stabilità del dittongo uo sembra invece un fatto proprio di Boccaccio (mentre certamente non lo è la riduzione del dittongo al primo ele- mento, più diffusa per u da uo piuttosto che per i da ie in tutte le varietà toscane in cui il fenomeno è documentato)33.

33

Una seconda tendenza è la riproposizione nelle ballate del Decameron di usi attestati prevalentemente nel Teseida. Il riferimento è all’uso di forme non dittongate di ascendenza poetica, che hanno alte attestazioni soprattutto in questi due testi (o sezioni di testi), ed alla predilezione del latinismo loco sulla forma di esito diretto luogo. Se le percentuali indicate dagli spogli sono simili, il contesto delle attestazioni è così diverso che sembra plausibile ricercare spiegazioni diver- se: una volta individuati dei tratti percepiti da Boccaccio come più adatti alla lin- gua poetica, si può supporre che questi siano usati nel Teseida con preferenza, ma senza programmazione, in base ad un meccanismo automatico di adesione all’ideale di genere. La scelta di queste forme, marcate in senso poetico, è infatti meno perseguita negli Argomenti in terza rima, dove viene a mancare l’argo- mento lirico che, combinato al fatto del metro, influenza le scelte linguistiche. Nel Decameron i tratti in questione prevalgono invece in maniera assoluta sugli allotropi di esito comune, usati nella prosa: l’adesione lirica non sembra più appassionata e spontanea, ma calcolata, legata all’intento di creare uno scarto fra la lingua della narrazione e quella delle liriche cantate dai personaggi34.

34

La distinzione fra lingua della narrazione e lingua delle ballate sarà stata ricercata dall’autore già all’atto della prima redazione del Decameron (e quindi non sarà stata introdotta in seguito, come altri elementi espressivi, all’atto della copia in B; cfr. Branca 1981-82, pp. 53-54): stando agli spogli di Branca 2002, ad esempio, è già netta in P la divisione luogo-prosa/ loco-versi (cfr. Branca 2002, pp. 10-11).

7 Sincope

Il fiorentino del Trecento prevede alternanza fra forme sincopate e forme con mantenimento della vocale nei nessi occlusiva (o spirante labiodentale) + vocale + r, s + vocale + nasale e r + vocale + occlusiva (o spirante labiodentale). Nell’alternanza si individuano però delle tendenze precise: in particolare, nei nessi occlusiva (o spirante labiodentale) + vocale + r è forte l’incidenza della sin- cope per i futuri e i condizionali dei verbi della II classe, mentre negli altri casi si ha forte resistenza al fenomeno, che si manifesta in una percentuale di forme sin- copate più bassa rispetto a quanto avvenga nelle altre varietà toscane1.