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11 Forme sparse

11.2 Dia, stia

Occorrono nei volgari autografi, nel Teseida e nel Decameron, una forma rizotoniche del presente congiuntivo di dare e tre di stare con la vocale tonica chiusa6: Tes (L) dia 113r 21; stia 61r 27; Dec (B) stieno 4v 22, 73a 43.

Le altre forme dei congiuntivi considerati mantengono e in sede tonica:

Tes (L)

dea ‘(che io) dia’ 61r 3; dei ‘(che tu) dia’ 117r 3, 136v 16; dea ‘(che egli)

dia’ 94v 20;

stea ‘(che io) stia’ 37v 7, 45r 40, 112v 20, istea ‘(che egli) stia’ 6v 24, 114r

5;

TrT (T)

stea ‘(che egli) stia’ 24v 1, 26r 21; TrC (C1)

stea ‘(che egli) stia’ 3v 14, 11v 23; Dec (B)

dea ‘(che io) dia’ 4d 5, 13a 40, 69a 16; dei ‘(che tu) dia’ 73b 7; dea ‘(che

egli) dia’ 5b 2, 7d 38, 8a 42, 27c 29, 29d 12, 38b 1, 39c 20, 43a 43, 43a 46, 43b 21, 81a 1, 83a 3, 83a 36, 87d 28, 90c 42, 95c 6/7, 101a 28, 101d 31; deano 14a 40;

steami ‘(che io) mi stia’ 4c 19/20; stea ‘(che tu) stia’ 102a 41; stea ‘(che

egli) stia’ 4c 31, 33c 22, 50c 15, 66a 29, 70c 7, 80b 29, 85b 31, 85b 32, 88c 3, 90a 18, 93d 13, 96a 8, 98d 50; steano 35a 2, 85a 33.

Gli spogli di Castellani mostrano come il fiorentino mantenga a lungo e in sede tonica in queste forme verbali, mentre il tipo dia, stia è attestato fin dai testi più antichi per le altre varietà toscane; si hanno comunque occorrenze fiorentine del nuovo tipo già negli anni ’20 del XIV secolo7. Alle forme segnalate da

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Paola Manni (in Manni 2003, pp. 273-274) cita anche la forma diangli (B 87c 33) che sembra piuttosto da intendere ‘diamogli’: «Ha veduto dove costui è venuto a perdere il senno che egli ci ha da Parigi recato? Or via, diangli di quello ch’ e’ va cercando» (Branca 1976, p. 536).

7 Cfr. Castellani 1952, pp. 72-78; Castellani 1980, pp. 25-26; Manni 1979, pp. 142-43; Manni 2003, p. 274 n.

Castellani (e da Paola Manni) si aggiungono quelle presenti in due testi del

Corpus F:

Stat. fior., 1357: dìa p. 372; dieno p. 338, p. 352, p. 362, p. 373 (ma anche stea p. 340, p. 374);

Stat. fior., a. 1364: dìa p. 64, p. 82, p. 104 (2 occ.); stia p. 107; stieno p. 68,

p. 103 (ma anche déa p. 87, p. 95; stea p. 64).

La presenza nei volgari autografi delle quattro forme con i tonica non crea quindi nessuno scarto fra la lingua di Boccaccio e l’uso fiorentino coevo. Si può però ipotizzare che alla base del fenomeno vi siano due tendenza distinte.

Sembra infatti opportuno considerare separatamente le quattro forme con i tonica che occorrono nei volgari autografi, da una parte le due occorrenze in Tes, dall’altra le due in Dec.

La forma stieno attestata in Dec, con il passaggio ia > ie, sembra rappre- sentare un’evoluzione ulteriore rispetto dia e stia di Tes. La diffusione di questo tipo sarà stata però facilitata dall’analogia con il diffusissimo sieno, dato che le prime attestazioni fiorentine di questi congiuntivi con vocale tonica chiusa rap- presentano proprio forme con ie8.

Considerando le attestazioni di dia e stia, le occorrenze del Teseida forni- scono invece due fra le più antiche testimonianze9. Si era già notato nel prece- dente § 10.7 che l’inversione dell’ordine di alcuni tipi di sequenze di pronomi atoni, fenomeno di origine occidentale in via di diffusione nel fiorentino del XIV secolo, è presente in L in misura maggiore che negli autografi successivi; la distribuzione delle attestazioni è simile per i due fenomeni, che possono quindi avere la stessa spiegazione: anche le forme dia e stia potrebbero essere peculiari della varietà linguistica certaldese. Come le sequenze di pronomi in ordine inver- so, inoltre, le forme dia e stia sono presenti anche in Paolo da Certaldo e in Fran- cesco da Barberino10.

Resta da osservare, riguardo alle occorrenze di L, che la forma stia occorre in rima (fia : stia : sia, cfr. Limentani 1964, p. 413), e che riveste quindi

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Cfr. Manni 1979, pp. 142-143; Manni 2003, pp. 273-274. 9

Seguendo Vitale, si segnalano inoltre due occorrenze di dia ‘(che egli) dia’ in P, corrispon- denti in B a dea (cfr. Vitale 2002, pp. 405-406).

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Per i verbi dare e stare si trovano, in Francesco da Barberino, 4 occorrenze di congiuntivi presenti con i e 1 occ. con e in posizione tonica nei Documenti d’amore (cfr. Egidi 1905-1927: dia v. I pp. 124, 243, v. III pp. 35, 211 e dea v. III p. 166) e 25 occ. con i e 2 occ. con e nel Reg- gimento e costumi di donna (cfr. Baudi di Vesme 1857: dia pp. 62 2 occ., 82, 83, 212, 232, 268, 285; diala p. 59; diavi p. 143; istiano p. 286; stia pp. 29, 34, 45, 59, 62, 82, 126, 127, 141, 163, 186 2 occ., 293, 312; stiale p. 141; stiano p. 276 e dea p. 342; dean p. 265); nel Libro dei buoni costumi di Paolo da Certaldo si trovano solo 5 occorrenze con i (cfr. Schiaffini 1945: dia pp. 146, 148, 155 2 occ.; diamo p. 238). Cfr. inoltre Castellani 1952, p. 74; Castellani 1980, p. 26.

un valore limitato e solo in relazione all’esistenza di dia all’interno del verso («che non si dia a tua vita riparo», Limentani 1964, p. 577). Per questo motivo si è invece trascurata nel corso della trattazione la forma seano ‘(che essi) siano’, attestata in Tes (c. 35v 17), che occorre in rima (aveano : seano; cfr. Limentani 1964, p. 342).

12 Conclusioni

Nel corso di questo lavoro sono stati studiati alcuni tratti scrittòri, grafici, fonetici e morfosintattici del corpus dei volgari autografi di Giovanni Boccaccio. Nonostante le ricerche siano state condotte in maniera indipendente per ognuno dei tratti considerati, queste hanno ugualmente individuato alcune tendenze comuni.

Punto di partenza del lavoro è stata la considerazione della sostanziale aderenza della lingua di Boccaccio al sistema linguistico fiorentino coevo (cfr. § 3.1). La sua lingua è stata quindi investigata in due direzioni, con lo scopo di individuare elementi caratteristici della lingua dell’autore ma anche con lo scopo di approfondire usi fiorentini generali, sfruttando un corpus di testi particolar- mente affidabile perché composto da autografi e perché prodotto da un autore di elevata cultura e di alta consapevolezza linguistica.

Gli strumenti e i metodi di lavoro sono stati presentati nei precedenti §§ 1.2 e 1.3. È bene però ricordare un concetto teorico che è stato alla base delle analisi condotte. Si tratta del concetto di dimensione scalare del corpus dei vol- gari autografi (per cui cfr. § 1.2), che comporta, per ogni occorrenza presa in esa- me, la collocabilità nell’ambito della produzione autografa volgare di Boccaccio per mezzo della sola indicazione della sigla del testo in cui occorre.

Per sfruttare le prospettive di lavoro offerte dalla definizione della dimen-

sione scalare è stata necessaria la datazione di ogni testo dei volgari autografi.

Per la maggior parte di questi la bibliografia è stata capace di indicare soluzioni ragionevoli e generalmente condivise. Per due dei volgari autografi è stata però necessaria una riflessione mirata; si tratta delle Chiose al Teseida secondo L (TeC) e delle Chiose toledane secondo T (ChT), due testi costituiti da annota- zioni scritte a margine di altri testi, con funzione di commento o apparato.

Per quanto riguarda TeC, i due maggiori contributi critici, Vandelli 1929 e Battaglia 1938, non erano in accordo sul rapporto cronologico fra le chiose e il

Teseida copiato in L: il primo considerava le chiose successive al poema, l’altro i

due testi quasi contemporanei (cfr. supra § 4). L’analisi di elementi scrittòri (la forma di a minuscolo, per cui cfr. §§ 4.2 e 4.4) e grafici (i tratti romanzi analiz- zati da Corradino 1994, per cui cfr. §§ 4.3 e 4.4) ha raggiunto risultati che sugge- riscono il trascorrere di un arco di tempo fra la messa per iscritto in L di Tes e quella di TeC; le differenze interessano però fenomeni di così rapida evoluzione che il periodo intercorso sembra essere breve, certamente inferiore ai 10 anni (es- sendo TeC precedente a TrT) ma probabilmente ben più ridotto. Si è quindi con- siderata per TeC una datazione di poco posteriore a Tes e di poco successiva all’inizio degli anni ’40 (cfr. § 4.3.3).

Relativamente alle chiose di ChT, la bibliografia non trattava il problema della loro datazione (e, soprattutto, della loro messa per iscritto nel codice che li documenta) separatamente da quella del testo cui sono collegate (la silloge dante- sca di T) e il silenzio degli studi suggeriva la contemporaneità fra le chiose e i testi commentati. In effetti l’analisi di elementi scrittòri (la forma di a minuscola, per cui cfr. §§ 2.3.2 e 2.3.3) e grafici (le grafie gle, gnia e ngne, per cui cfr. §§ 2.3.1 e 2.3.3) ha raggiunto risultati che non contraddicono la contemporaneità ipotizzata; in conseguenza, si è scelto di considerare ChT contemporaneo agli altri testi di T, in particolare a TrT. Si è quindi considerata per ChT la datazione ai primi anni ’50.

Una volta ricordate queste acquisizioni preliminari, si possono riassumere le diverse tendenze individuate nel corso della trattazione. Come anticipato, si sono ottenute indicazioni per due aspetti diversi: fatti comuni o presumibilmente comuni agli scriventi fiorentini del tempo; fatti propri della lingua di Boccaccio.