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Sulle variazioni di scrittura e modulo

4 Problemi relativi alle Chiose al Teseida

4.1 Sulle variazioni di scrittura e modulo

Prima di passare alle analisi di tratti scrittòri e grafici, sono opportune alcune precisazioni sulla possibilità di considerare le Chiose al Teseida un testo unitario.

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Per la ricostruzione dello stemma cfr. Battaglia 1938, pp. XLVI-LXX; cfr. inoltre pp. LXXXVII-

XCIX. 10

Cfr. Contini 1938, pp. 87-90. 11

Cfr. Battaglia 1938, pp. XXVIII-XXIX. 12

Cfr. ad esempio Ianni 1971, p. 109: «Il ms. può essere attribuito, per ragioni paleografiche, agli anni anteriori al 1350, presumibilmente al 1341-42».

Le Chiose al Teseida non glossano uniformemente tutto il testo. Se il testo si estende da c. 1r a c. 142v (ma i versi iniziano a c. 2v, constando la parte iniziale dell’opera della dedica in prosa a Fiammetta), il commento, più o meno fitto, occupa le carte: 3r-4v, 7r, 7v, 9r-10r, 12r, 14r, 17r, 17v, 20r-22v, 23v, 24r, 26r-27v, 28r, 29r, 30v-35r, 40r, 41v-43v, 44v, 45r, 46r, 46v, 47v-49r, 51v, 52r, 53v-55r, 56v, 57r, 60r-61v, 63v-71r, 72v-81r, 82r, 86r-88v, 91r, 92r-94r, 96r-98r, 100r-101r, 102v-105r, 106r, 108r, 109v-113r, 114r, 115r-116v, 117v-121v, 122v- 138r, 139r-142r.

Le note che compongono il commento appartengono a due tipi diversi: si può parlare di glosse e di esposizioni. Le glosse sono annotazioni puntuali, rife- rite a luoghi precisi del testo; sono scritte in interlinea o nel margine, vicine al testo in versi, in uno spazio di scrittura da esso dipendente, e hanno un’ampiezza che varia dalla singola parola a poche righe. Le esposizioni, pur traendo spunto anch’esse da parti precise del testo, hanno uno svolgimento più ampio, illu- strando generalmente fatti mitologici che sono alla base degli avvenimenti o delle espressioni del testo chiosato; sono scritte nei margini della pagina, in uno spazio di scrittura proprio, e possono estendersi anche per più colonne e più carte13.

Il testo che viene etichettato come ‘Chiose al Teseida’ è un insieme di ele- menti non omogenei, e l’autografia (e quindi la paternità) di tutte le note del manoscritto L non è scontata. La non omogeneità riguarda, come già detto, il tipo di annotazioni, molto diverse fra loro per estensione e contenuti, ma anche la scrittura, difforme al punto da creare dubbi sulla attribuzione di tutte le singole annotazioni. Se non si avanzano dubbi sull’autografia di tutte le note è grazie all’autorità di Vandelli, che in base alla propria conoscenza della scrittura di Boc- caccio ne sancì il completo accoglimento nel corpus dei testi autografi; secondo Vandelli, infatti, nonostante le differenze di scrittura, in tutte le note è possibile riconoscere la mano di Boccaccio14.

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La distinzione fra glosse e esposizioni sfrutta una terminologia già in uso al tempo di Boccaccio, ma ne modifica il referente; nell’uso medievale esposizione, e il sinonimo chiosa, potevano indicare sia il ragionamento intorno a una questione che una sua enunciazione sotto forma di testo scritto o di discorso, mentre glossa definiva specificamente un testo scritto in commento ad un altro (cfr. TLIO, ss.vv. chiosa, esposizione, glossa). Esposizione e glossa formano una dittologia sinonimica nell’opera di Guido da Pisa Expositiones et gloses super Comediam Dantis, databile agli anni fra il 1335 e il 1340, un commento in latino alla Declaratio scritta dallo stesso autore per la Commedia di Dante (cfr. per la datazione Franceschini 2002, in part. pp. 90-100).

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Vandelli si espresse in questi termini: «Nessun dubbio è possibile circa l’autografia di tutte queste note: quantunque la scrittura sia per esse di dimensioni notevolmente più piccole che per il testo, ha pur sempre le caratteristiche della mano di scritto del Boccaccio; e la varietà stessa fra testo e note si osserva, per esempio, in quelle pagine dello Zibaldone Laurenziano che con- tengono l’ecloga di Giovanni del Virgilio al Mussato (cc. 46v-50r) e la corrispondenza bucolica tra il poeta bolognese e Dante (cc. 67v-72v) [...]. Va per altro notato che qua e là nel Teseida le note, anziché col bello e regolare carattere abituale sono scritte con letterine più piccole del con-

Le differenze di scrittura cui si è fatto riferimento riguardano aspetti diversi: nel testo si individuano non solo differenze di tracciato nell’ambito dello stesso tipo librario, ma anche tracce di scrittura in mercantesca.

Per quanto riguarda le differenze di tracciato, si nota che la scrittura delle

glosse è tendenzialmente meno curata di quella delle esposizioni15. Sembra inol- tre possibile cogliere uno sviluppo diacronico, soprattutto nella scrittura delle

esposizioni: le note della prima parte del manoscritto, almeno fino a c. 27, hanno

un tratto più spesso di quelle della sezione seguente. Se questo può far ipotizzare una pausa nell’operazione di scrittura, è altresì vero che si notano differenze di tracciato anche fra note in carte vicine; sembra quindi possibile ipotizzare che la messa per iscritto di TeC sia avvenuta in maniera prevalentemente sequenziale, con l’aggiunta successiva di nuove note nella parti già fornite di commento16.

La scrittura mercantesca compare nelle annotazioni di c. 42d; si tratta di una serie di glosse, disposte su tutta la pagina, 13 righe scritte nel margine destro del foglio e almeno 9 in interlinea. L’ipotesi che l’autore sia Boccaccio, avanzata già da Vandelli, è stata ripresa, pur con i doverosi dubbi, dagli studiosi succes- sivi; ad esempio Albinia de la Mare, nel parlare delle testimonianze della grafia mercantesca di Boccaccio, ne individua le attestazioni, oltre che nello Zibaldone

Magliabechiano e nella Lettera a Leonardo del Chiaro, «probably also in some

marginalia, for example to his autograph of the Teseida»17.

Un ultimo elemento di disturbo per il riconoscimento dell’autografia com- plessiva è l’opera di ripasso compiuta nel tempo su parti deteriorate del mano- scritto. Il ripasso ha interessato le chiose al pari del testo centrale in versi. Se ne notano, ad esempio, tracce evidenti nelle note a c. 20v e a c. 61v18.

In base a queste considerazioni si capisce come l’accettazione dell’auto- grafia di tutte le singole note di L, nonostante il placet di Vandelli, non sia avve- nuta in maniera incondizionata da parte degli editori. Oltre a rare annotazioni sueto e a tratti fini fini e meno calligrafiche; tipo di scrittura che si incontra anche in qualche postilla d’altri autografi del Boccaccio e che, esaminato attentamente, serba pure certe caratteri- stiche boccaccesche, e sarà da spiegare con un momento di fretta o, magari, con la condizione momentanea della penna o chi sa con quale altra ragione occasionale» (Vandelli 1929, pp. 45- 46).

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La diversità fra la scrittura delle glosse e a quella delle esposizioni è forse alla base dell’ipo- tesi di Battaglia di non escludere che le «chiose interlineari» fossero frutto di una revisione posteriore (cfr. supra § 4 e Battaglia 1938, p. LXXXVIII).

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Cfr. inoltre infra § 4.2.1. 17

de la Mare 1973, p. 22. Fra le testimonianze certe della mercantesca di mano di Boccaccio, cioè quelle offerte dallo Zibaldone Magliabechiano e la Lettera a Leonardo del Chiaro, inter- corrono almeno 25 anni (e cfr. la proposta di datazione più alta di una parte iniziale del codice avanzata in Mostra 1975, p. 126), ma le caratteristiche di questo tipo grafico restano sostanzial- mente immutate (cfr. Petrucci A. 1963-64, p. 126).

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Cfr. Battaglia 1938, p. XIII. Si possono imputare al ripasso gli usi grafici non documentati in altre parti del manoscritto, come la grafia giungno (61vd 14) con o soprascritta ad n.

escluse dalle edizioni perché evidentemente di mano diversa ed epoca posterio- re19, restano infatti fuori dall’edizione Battaglia almeno quattro note (nelle tra- scrizioni che seguono si segnala fra parentesi lo scioglimento delle abbrevia- zioni):

1 - 3v 29: ipemestra, Lino; 2 - 52v 40n: bevuto;

3 - 94v 3n: li crescea;

4 - 98v margine inferiore: no(n).

Si possono ipotizzare due motivi diversi per l’esclusione di queste scrit- ture: la nota 1 è tracciata con segno sottile e andamento corsivo al termine di una chiosa dalla scrittura libraria molto accurata e il motivo di esclusione potrà essere la differenza rispetto alla scrittura che la precede (anche se altrove nel mano- scritto si trovano scritture dalle caratteristiche simili a queste); le note 2, 3, 4, invece, sono caratterizzate da una scrittura disordinata, che risalta non tanto per l’andamento quanto per il fatto che le lettere non poggiano sul rigo di scrittura con l’ordine e la regolarità propri delle scritture di Boccaccio.

Si capisce come ogni editore abbia avuto ampio spazio di riflessione nel- l’interpretare l’autografia del testo. Limentani, ad esempio, ha accolto nella sua edizione le note 1 e 2 già escluse da Battaglia20, mentre si può dire che i mede- simi motivi che sembrano alla base dell’esclusione operata da Branca delle chiose 2, 3, 4 lasciano dubbi sull’autografia di altre tre note, accolte in entrambe le edizioni21:

5 - 33r 19n: cioè i(n)chatenato e stare i(n) priegione; 6 - 45v 20n: p(ro)sp(er)e;

7 - 95r 11n: intriso.

Data la brevità delle sette note in questione e l’assenza in esse di elementi notevoli dal punto di vista della grafia e della scrittura, la questione della loro autografia si può considerare irrilevante ai fini dei paragrafi successivi22.

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Si segnala fra queste la nota nel margine inferiore di c. 137v, che contiene le parole iniziali di una carta successiva, ora caduta. La scrittura è certamente posteriore al Boccaccio ma abba- stanza antica, e dimostra che il distacco della carta fosse avvenuto già in epoca alta (cfr. Van- delli 1929, p. 23).

20

Cfr. Limentani 1983, rispettivamente p. 256 e p. 389. Cfr. anche Limentani 1959, che con- tiene un elenco delle chiose assenti nelle edizioni Battaglia 1938 e Roncaglia 1941.

21

Cfr. rispettivamente Battaglia 1938, p. 84, p. 115, p. 252 e Limentani 1983, p. 335, p. 369, p. 525.

22

La nota 5 contiene invece una forma rilevante dal punto di vista linguistico: la forma prie- gione (per cui cfr. infra § 6.1).

4.2 Svolgimento della scrittura: osservazioni sul carattere di a