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Dalla fondazione ontologica della fenomenologia dell’altro alla teoria delle

Capitolo 2. L’estraneità al cuore dell’esperienza

2.5 Dalla fondazione ontologica della fenomenologia dell’altro alla teoria delle

L’inatteso è da sempre nel corso della storia, elemento strutturale che caratterizza i nostri vissuti. L’irruzione dell’estraneo nell’esperienza che, con il suo carico potenziale d'inafferrabilità si sottrae alla nostra presa e al nostro controllo, può, da sempre, irrompere e stravolgere ordini vigenti. Che l’inatteso abbia sempre avuto luogo nella storia dell’umano è cosa indubbia. Con l’avvento della modernità e la scoperta della contingenza emerge, però, uno spazio in cui è possibile pensare l’esperienza dell’estraneità in una nuova modalità. Con la rottura degli ordini assolutistici del mondo, si giunge alla presa di coscienza di una mancanza di fondamento alla base degli ordini stessi. Il mondo non è più un ordine precostituito, ma diviene uno spazio storico e limitato, e quindi, esposto al cambiamento. È a questo livello che l’aspetto dell’inatteso e l’irruzione

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dell’estraneo divengono il centro dell’esperienza e il nucleo dei nostri vissuti.82

La modernità, data la scoperta della contingenza del mondo e degli ordini costituiti, si presenta anche come la tradizione che aspira alla realizzazione di una fondazione universalistica per risolvere i problemi legati alla sua alterabilità. Il motivo di questo è riscontrabile nell’inevitabile ammissibilità che viviamo in un'ineliminabile condizione d'incertezza. Il discorso moderno si costituisce quindi fra due poli: da un lato l’abbandono di ogni riferimento a strutture ontologicamente precostituite da cui ne consegue l’affermazione di un primato dell’estraneità e dell’inatteso nell’esperienza e dall’altro il tentativo di rassicurazione dalla minaccia della contingenza radicale che aspira a una fondazione universalistica. Su tale contesto oscillatorio fra una piena assunzione della contingenza e il tentativo di addomesticarla emerge in modo ancora più problematico la necessità della ricerca di una forma discorsiva in grado di rispondere all’estraneità e all’inatteso che costituisce ontologicamente l’esperienza. Come accedere discorsivamente in modo adeguato all’inatteso senza tradire il suo carattere di estraneità originaria?83

Questo è lo scenario in cui si sviluppa la riflessione di Waldenfels, autore che, come abbiamo accennato, attraverso un percorso di riflessione fenomenologica, ha dedicato attenzione all’analisi dei lineamenti costitutivi dell’esperienza umana sotto il segno di quello che ha definito fenomeno “dell’estraneità radicale”. Il tema dell’estraneità diventa elemento originario dell’esperienza.

Per Waldenfels, è la presa di coscienza moderna riguardo all’inevitabile

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Waldenfels, B., Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 91.

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Cfr. Menga, F., L’inatteso e il sottrarsi dell’evento. Vie d’accesso filosofiche fra domandare e

inaccessibilità del fondamento ontologico dell’ordine a trasformarsi in una visione secondo cui l’esperienza, nel suo nucleo più intimo e profondo, non può più ritrovare i caratteri classici del proprio, bensì, quelli della sottrazione e dell’estraneità. Il filosofo tedesco descrive il fenomeno dell’inatteso e dell’imprevedibile nell’esperienza nei termini di un sottrarsi dell’estraneo, ovvero di ciò che si da a vedere solo “nella misura in cui si sottrae”84

e ricerca un linguaggio adeguato a rispondere all’esperienza radicale dell’inatteso che non è mai anticipabile. Egli intercetta uno spazio appropriato che accoglie i due atteggiamenti discorsivi dell’incontro con l’estraneo: il domandare e il rispondere, il peso nella sua riflessione si concentra tutto sul carattere originario della risposta. L’originarietà dell’evento, proprio nella misura in cui già da sempre si sottrae ed è segnata da un’inevitabile estraneità, ha la possibilità di apparire solo nella risposta ritardata, provocata dall’immancabile appello che la sottrazione stessa produce col suo irrompere. La risposta quindi, per Waldenfels, costituisce l’unico e autentico registro discorsivo in cui l’estraneo è capace di manifestarsi. Il carattere del ritardo si riferisce al fatto che la risposta, non cominciando mai da sé, ma sempre “altrove” dimostra nel suo ritardo l’imprevedibilità dell’irruzione dell’estraneo nell’esperienza che è originaria. Si evince conseguentemente, quindi, che l’estraneità non è solo esterna, ma anche interna, essa si trova persino nella nostra stessa intimità e nessuno possiede quindi una completa autotrasparenza. Si può perciò asserire che lo straniero, riconosciuto nella sua estraneità inaccessibile, non sorge semplicemente fuori di me, ma egli è annidato già dentro me stesso presentandosi nei termini di un’alterità intrasoggettiva e intraculturale.

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Ogni dimensione dell’esperienza, sia essa soggettiva, collettiva o istituzionale, in quanto connotata da radicale contingenza, per Waldenfels, non può mai partire da se stessa, cioè dal possesso dell’intera gamma di elementi e significati che ne costituiscono il proprio nucleo d’identità, bensì sempre e soltanto da un’indisponibilità rispetto alla propria origine.

Nel suo percorso fenomenologico Waldenfels, invece di superare la modernità la analizza facendo emergere il carattere sempre presente di estraneazione, visto come un irriducibile momento in cui non vi è la possibilità di un’appropriazione diretta dell’evento, ma vi è l’estraneo con il suo “pungolo”. Questo pungolo imprevedibile, non può che proporre una sfida e, con ciò, esigere la dinamica di una risposta indiretta e contingente e lungi dall’essere trattato come elemento di fastidio e di disturbo da ridurre e contenere, essendo percepito, invece, come inestimabile risorsa e motivo di sollecitazione per creazioni ed accrescimenti all’interno dello spazio istituzionale.

Il terreno fertile delle idee sull’estraneo di Waldenfels è stato fondamentale nella prima parte della mia ricerca perché mi ha permesso di definire ontologicamente l’estraneo, di comprendere che l’estraneità è già insita dentro di noi e di considerare tale estraneità non un momento accessorio dell’esperienza bensì il suo carattere costitutivo. Una volta trattato il tema dell’estraneo sotto una luce ontologica, ho ricercato su un piano più pratico soluzioni idonee per la costruzione di un rapporto funzionale con l’altro, ed è qui che entra in gioco la teoria delle controversie elaborata da Marcelo Dascal. L’impegno di ricerca del filosofo israelo-brasiliano sul tema del dialogo e la sua innovativa proposta di articolazione delle polemiche, in dispute, discussioni e

controversie, mi ha aperto ad una nuova modalità d'interazione con l’altro. Grande studioso di Leibniz, dalla filosofia del quale estrapola la teoria della razionalità mite, Dascal sostiene che vi siano diverse e distinte tipologie di razionalità, contrariamente all’idea secondo cui vi è una forma di ragione universale e uniforme per la maggior parte degli individui e delle culture. Forme di dialogo, allora, si possono avere anche dove non vi è la condivisione di un quadro concettuale di riferimento tra gli interlocutori, in opposizione con la credenza generalmente accettata, che un dialogo tra differenti razionalità sarebbe impossibile. Dascal s'interroga sulla combinazione della nozione di “dialogo” e “razionalità”, mettendo in dubbio la validità dell’argomento secondo il quale è impossibile l’esistenza di più razionalità differenti e legittimando la possibilità del dialogo interculturale basato sul riconoscimento delle differenze tra culture. Egli sviluppa nuove modalità d'interazione inter-culturale e inter-personale che superano i contatti strumentali o conflittuali che caratterizzano la maggior parte delle relazioni umane.

La forma di dialogo che ci propone Dascal è caratterizzata da un’apertura di entrambi i partecipanti. Quest’apertura è fondamentale per comprendere e imparare dall’altro ed è l’atteggiamento da tenere per porsi in ascolto di rivelazioni provenienti dall’altro. Il dialogo è, perciò, una sfida importante che non prevede comportamenti di passività. Dascal teorizza tutto questo nella teoria delle controversie con la quale introduce una nuova forma di relazione dialogica: la controversia, “il cui obiettivo non è né la determinazione certificata della verità né la vittoria, ma la persuasione razionale dell’avversario e della comunità per

mezzo di argomenti ragionevoli seppure non deduttivi né imbattibili”.85

L’idea di pluralismo insita nella teoria delle controversie ci permette di comprendere che i conflitti in generale non hanno una sola modalità di risoluzione ed è importante quindi trovare nella posizione altrui elementi capaci di dimostrare l’assenza di quell’abisso tra noi e gli altri. Questa flessibilità che caratterizza la teoria delle controversie permette un possibile riscontro pratico di tale teoria nella realtà.

85 Dascal M. (2010), a cura di G. Scarafile, A Crua Palavra. Dialogo con Marcelo Dascal, Lulu,