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Capitolo 2. L’estraneità al cuore dell’esperienza

2.1 L’ordinario e lo straordinario

“Se ci si mettesse a trattare l’estraneo come un tema speciale, lo avremmo mancato sin dall’inizio. Infatti, così facendo, si prenderebbero le mosse da un ambito del familiare e del noto e, nella migliore delle ipotesi, vi ci farebbe semplicemente ritorno”31

.

Così Bernhard Waldenfels descrive la prospettiva solita da cui l’altro, il migrante è guardato: quella che definisce la situazione a partire da un qui e che sceglie la provenienza geografica come criterio per stabilire ciò che è proprio da ciò che è considerato estraneo. Il nostro atteggiamento nei confronti dello straniero, che sia di repulsione oppure di accettazione, resta così sempre legato alla tradizione secondo cui sì l’estraneo viene ammesso, ma solo a patto di essere pensato a partire da una sfera del proprio che gode di una precedenza ontologica e di una superiorità gerarchica32. Con questo atteggiamento si consolida quella visione dell’esperienza secondo cui l’estraneo è un momento di destabilizzazione del proprio che è destinato ad essere assorbito e normalizzato.

B. Waldenfels si pone l’obiettivo di sviluppare una riflessione fenomenologica in grado di percepire come l’altro si manifesta spontaneamente nel campo plurale dell’esperienza. Parlare di estraneità non è un momento

31 Waldenfels B. (2006), Grundmotive einer Phanomenologie des Fremden, Suhrkamp Verlag,

Frankfurt am Main; trad. it. Fenomenologia dell’estraneo, a cura di Ferdinando G. Menga, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008, p. 5.

accessorio nella sfera del proprio, ma piuttosto un fenomeno caratterizzato da un pathos originario, che ci colpisce rendendo impossibile, detto attraverso un’espressione freudiana, l’essere padroni in casa propria. L’inversione di prospettiva, proposta da Waldenfels, valuta erronea la convinzione che vi sia una forma originaria di esperienza nella quale a volte accade qualcosa di estraneo, ritenendo corretto il contrario, ovvero l’idea che è l’estraneo che sta nell’esperienza fin dal principio e che la costituisce.

L’esperienza dell’estraneo ha un carattere autoreferenziale, in cui assume un ruolo determinante il concetto di “confine”. Non è possibile, sostiene Waldenfels, concepire l’estraneo senza collocarlo in una dimensione spaziale, “l’estraneo è un fenomeno di confine per eccellenza”33. L’estraneità va pensata a

partire dai luoghi dell’estraneo, come un “altrove”, un qualcosa di straordinario, al di fuori dell’ordine costituito. La definizione dell’alterità passa attraverso il meccanismo dell’esclusione/inclusione a partire dal proprio. L’estraneità non è una questione ontologica né una forma di appartenenza ad un’altra civiltà, ma una forma di esclusione. Il peso che viene dato all’estraneità, infatti, è legato al modo in cui è costituito l’ordine rispetto al quale essa viene valutata. Con il mutamento dell’ordine cambia anche l’estraneo. Le espressioni “l’estraneo” e “l’io” sono legate entrambe agli ordini e alle zone di confine, di penombra, luoghi d’incubazione dell’estraneità34

. Si rivela quindi importante riflettere sulla definizione dei concetti di “ordine” e di “confine” per comprendere la complessità del fenomeno dell’estraneo e il suo carattere costitutivo dell’esperienza umana. La riflessione filosofica di Waldenfels parte proprio da alcuni

33 Waldenfels B., Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 17. 34Ibidem.

approfondimenti sulla questione della limitatezza degli ordini, approdando poi al fenomeno dell’estraneo inteso come ciò che travalica di volta in volta tali ordini. L’alterità viene così definita come straordinaria o extra-ordinaria, come un qualcosa che non trova posto nell’ordine e che si sottrae all’ordine dato. Partendo dalla riflessione del posto che occupa l’estraneo rispetto al proprio si arriverà a capire come poter parlare dell’estraneo senza ricondurlo a qualcosa di già proprio e ai termini di comprensibilità di un ordine precostituito.

L’atto stesso del costituire un ordine crea conseguentemente dei confini e dei limiti che permettono di definire ciò che sta dentro e ciò che sta fuori. Per quanto riguarda l’essere umano l’azione di delineare dei confini è caratterizzata da una certa inquietudine, poiché tali confini vengono messi sempre in discussione e sono in continua evoluzione. Il comportamento umano non segue binari sicuri e prestabiliti e il suo rapporto con i propri confini, che siano spaziali o temporali, muta non essendo l’uomo un essere racchiuso in un perimetro fisso.

L’atto di tracciare i confini e di creare diverse forme di ordine non ha solo un carattere geografico e pragmatico, ma anche epocale. Ogni epoca, ogni cultura e ogni società si muove all’interno di determinati confini, sostenuta di volta in volta da una determinata politica confinaria che varia. Il modo di rapportarsi con i confini, quindi, rivela il pensiero e la cultura di un’epoca.

Attraverso una riflessione storico filosofica sul concetto di ordine incontriamo nella filosofia greca la nozione di kosmos, una forma classica di ordine che ha avuto un ruolo emblematico per molto tempo. Il cosmo non rappresenta un ordine tra i tanti possibili, ma la personificazione dell’ordine in quanto tale, che ha come alternativa soltanto il caos. All’interno di questo cosmo,

secondo la semantica dell’armonia, ogni ente trova il suo posto e la sua forma che lo delimitano rispetto all’esterno da qualcos’altro. A partire da Platone è la dialettica a porre in relazione ogni ente come tale con il suo altro. Vi è inoltre una gerarchia verticale che relaziona il tutto razionale al singolo, e in questa prospettiva l’uomo sta al di sopra dell’animale e il greco al di sopra del barbaro. La ragione qui decide la posizione del singolo nella gerarchia che ordina il tutto. Parliamo in questo tipo di ordine di un tutto illimitato che non può essere inquadrato o subordinato a nient’altro. In termini aristotelici il mondo è un tutto dal quale niente è fuori e quindi esistono solo limiti interni. Colui che oltrepassa i confini di questo cosmo va incontro alla cattiva infinità che non ha scopo e fine, o si incarna nella figura di Icaro che paga il suo desiderio di valicare i confini del possibile con la morte35.

Il cosmo greco è quindi un ordine totalizzante che trasforma tutto ciò che accade in momenti suoi propri, non lasciando spazio ad alternative rispetto alla razionalità del tutto. Nonostante questa impostazione, anche nel mondo greco ci sono delle figure che non aderiscono completamente ai canoni dell’ordine, ad esempio Socrate che partecipa alla vita politica dei suoi concittadini, ma lo fa in un’altra forma, interrogandosi e interrogando gli altri su tutto, e non rientrando così in nessuna definizione prevista da tale ordine. Questo richiama l’attenzione sul fatto che ogni normalità non comprende tutto e dimentica all’esterno ciò che si manifesta in forma anomala rispetto ad essa.

Con la modernità si verifica la messa in discussione di questa totalità e la presa di coscienza che non esiste un unico fondamento per l’esperienza in tutte le

sue forme. Mentre nell’età premoderna l’ordine era prestabilito, assoluto e necessario, con la modernità si spezza questa concezione tradizionale e si afferma il principio di contingenza, secondo il quale il mondo nel complesso delle sue forme, regole e istituzioni può essere anche altrimenti da come si presenta. Un ordine non può solo degenerare in disordine, ma si può trasformare in un altro ordine. Ciò che caratterizza e costituisce la modernità è la scoperta del carattere contingente dell’esperienza e la scoperta di un sé che fa saltare la struttura relazionale dell’ordine totale classico.

Con il crollo del mondo ordinato da Dio, l’umanità giunge alla consapevolezza che il mondo non può essere un ordine ontologicamente precostituito e deve essere inteso come uno spazio storico e limitato di matrice politica. Alla presa di coscienza dell’inammissibilità di un principio assoluto e trascendente, su cui si possa costruire i propri paradigmi di senso, si collega l’inevitabile rimando a un’istituzione politica, come spazio collettivo. Hannah Arendt ha messo in luce come il fondamento del potere politico collettivo non ha uno strato ontologico. Partendo dalla premessa dell’assenza di una fondazione ontologica dell’esperienza, la filosofa ebrea approda al riconoscimento del carattere irriducibile dell’incommensurabilità della condizione umana36

. Una volta che viene a cadere il primato ontologico dell’essere, questo non sta più alla base della relazione, ma al contrario sarà la relazione stessa a far emergere qualcosa di costitutivo nell’essere.

La modernità segna un punto di non ritorno nel campo della scoperta della contingenza, la quale, precisa Waldenfels, ci rivela che qualcosa non è necessario,

36 Cfr. Hannah Arendt, Vita Activa. La condizione umana; trad. it. di S. Finzi, Bompiani, Milano

ma non per questo arbitrario. Ovvero, qualcosa di contingente può essere altro da ciò che è, ma non nel senso che potrebbe essere qualsiasi altra cosa. Possiamo inoltre distinguere tra una contingenza moderata e una radicale. La prima caratterizza la concezione di ordine nel mondo classico in cui un qualcosa può anche essere altrimenti, ma questo “essere altrimenti” rientra sempre in una serie di possibilità all’interno del cosmo stesso. Ad esempio anche in Kant troviamo questa forma di contingenza, e in special modo nella sua filosofia morale. In essa vi è una regola prefissata che però concede un ampio spazio all’azione per realizzare tale regola37. A questi tipi di ordine si oppone solo il disordine e il caos; si tratta di un contesto dove vi sono solo due strade: il vero e il falso.

L’altra forma di contingenza definita radicale è quella che caratterizza l’età moderna. Questa forma radicale non sostiene che all’interno di un ordine qualcosa è così ma potrebbe essere anche altrimenti da come è, bensì che l’ordine stesso è contingente. Gli ordini culturali oppure quelli linguistici potrebbero essere completamente diversi da come sono e questa diversità, questo essere altrimenti esce dalle possibilità interne all’ordine stesso. Questa forma di contingenza radicale emerge anche in alcune espressioni letterarie, come scrive Waldenfels, citando il romanzo L’uomo senza qualità di Musil, dove anche Dio preferisce parlare del suo mondo in termini di possibilità, pensando, mentre lo crea, che potrebbe benissimo farlo diverso38.

Nella modernità l’uomo si scopre un soggetto in cerca del suo posto nel mondo che non gli viene più assegnato da una ragione unica. Questo comporta un cambiamento nel tracciare i confini che diviene un separare l’interno dall’esterno

37 Cfr. Waldenfels B. (2011) a cura di Ugo Perone, Estraneo, Straniero, Straordinario. Saggi di fenomenologia responsiva, Rosenberg e Sellier, Torino, p. 24.

nella forma dell’inclusione e dell’esclusione. Si delinea così il concetto di “proprio” e tutto ciò che si sottrae al proprio è ciò che viene percepito come estraneo. Waldenfels sostiene che la distinzione tra “proprio” ed “estraneo” è diversa da quella che separa il medesimo dall’altro. Ne consegue che l’altro e l’estraneo sono due cose diverse. L’estraneità di una lingua, di un’altra cultura, dell’altro sesso non è riducibile al fatto che qualcuno possa mostrarsi diversamente. L’estraneità porta con sé il proprio, che non è assolutamente simile a quel qualcosa di medesimo che viene distinto a partire da un terzo. L’estraneo non è un altro qualsiasi: è altro rispetto a me. Esso irrompe come domanda rispetto al mio modo di dare ordine e senso alle cose, si presenta come esperienza dell’inconcepibile nel concepibile, si fa presenza laddove sinora era sconosciuto, e da quel momento non può più essere ignorato.

L’atto del tracciare i confini avviene in un punto neutro che non si trova né all’interno e né all’esterno di questi confini, è una zona chiamata da Waldenfels “zona di penombra”, in cui il proprio si confronta con l’estraneo e in cui si realizzano esperienze di confine paragonabili all’esperienza di essere sulla soglia tra la veglia e il sonno.

Tracciare i confini ha un carattere autoreferenziale, che consiste nel separare se stessi da un fuori delineando una preferenza nel marcare ciò che mi distingue dall’altro. L’unilateralità e l’asimmetria che si creano caratterizzano la contrapposizione tra proprio ed estraneo. Chi distingue si colloca da una parte e colloca a sua volta l’estraneo dall’altra, in quanto esso è ciò a partire da cui viene fatta la distinzione. Il riferimento all’estraneo consiste in questa sottrazione dell’estraneo, che si caratterizza come ciò che costitutivamente “si sottrae

all’afferramento dell’ordine”39

, si presenta come extra-ordinario, travalica e mette in discussione l’ordine stesso, facendo riaffiorare l’originaria contingenza e l’impossibilità di comprendere tutto. Così nessun ordine può avere un momento fondativo proprio che possa giustificare la chiusura al confronto con l’altro. La fondazione di un ordine non è un atto presente, ma si mostra come una fondazione retroattiva. Secondo Waldenfels, tale fondazione, poiché non può essere concepita come atto che scaturisce da un’origine interna all’ordine stesso, è da concepire come risposta creativa della collettività alle richieste ogni volta singolari che l’ordine riceve in mancanza di fondamento. Ogni ordine, creandosi da questo appello, non riuscirà mai ad inglobare in sé l’estraneità da cui nasce e avrà sempre necessità di un carattere plurale, contingente ed alterabile.

L’evento della fondazione dell’ordine non fa parte dell’ordine fondato40

. La fondazione dell’ordine non avviene allo stesso livello dell’ordine istituito. L’estraneità non scompare neanche in scene fondative, come ad esempio nella dichiarazione del 4 luglio 1776 che segna la nascita della Costituzione americana. Qui l’estraneità non sparisce poiché, come Waldenfels fa notare, “tale dichiarazione non è parte della Costituzione già soltanto per il fatto che questo popolo si costituisce come titolare di una volontà politica esclusivamente a partire dall’atto costitutivo”41. Il “noi” che compare nel contenuto della dichiarazione non

è lo stesso “noi” che esisteva prima dell’atto dichiarativo. Il noi lo fanno le persone che partecipano alla dichiarazione e non i rituali compiuti collettivamente.

39Cfr. Waldenfels B. (1987), Ordnung in Zwilicht, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main; trad. ing. Order in the Twilight, a cura di David Parent, Ohio University Press Athens, United States of

America 1996, p. 20.

40

Waldenfels B. (2005), a cura di Ferdinando G. Menga, Estraniazione della modernità. Percorsi

fenomenologici di confine, Città aperta, p. 130. 41

Il tentativo di eliminare questa distinzione tra l’ordine e il suo momento fondativo produce un totalitarismo dell’ordine costituito. A livello politico, i regimi totalitari cercano di inserire la fondazione all’interno dell’ordine stesso, elaborando così una mitologia delle origini. L’ordine, non riconoscendo neanche la fondazione come momento al di fuori di sé, non riconoscerà la sua contingenza e giustificherà il totalitarismo nel suo essere. Questo atteggiamento appartiene anche al fondamentalismo religioso. L’ordine nella definizione di Waldenfels è una connessione regolata e non arbitraria di elementi differenti. L’ordine non comincia con una legge, ma con una replicabilità nell’esperienza. Infatti, un’esperienza che avviene una sola volta non può costituire un ordine, il quale è quindi possibile nella sua ripetizione costitutiva. Paradossalmente però vi è anche un momento nell’ordine che non è ripetibile. Irripetibile è il motore che sta dietro alla dinamica dell’ordine, in altre parole: conosco qualcosa dal momento in cui si ripete, ma ciò che ha azionato il processo di conoscenza di questo qualcosa non è ripetibile mai. Per questo motivo non esistono all’interno degli ordini alcune identità precostituite che poi si ripetono semplicemente, ma qualcosa diventa ciò che è acquisendo la sua identità attraverso dei processi di ripetizione, che però non sono costituiti fin dall’inizio. In questo senso, ogni ordine regolato ha al proprio interno uno spazio di apertura che a sua volta non è regolamentato42.

La contingenza, che abbiamo visto caratterizzare gli ordini nella modernità, rimane fuori dall’ordine, senza per questo corrispondere al disordine. Essa indica piuttosto quel posto vuoto che non può essere a sua volta riempito dall’interno e caratterizza quella forma di ordine che Waldenfels definisce anche

42Waldenfels B., Estraneo, Straniero, Straordinario. Saggi di fenomenologia responsiva, cit., p.

“ordine in potenza”. Quest’ultimo presenta le seguenti caratteristiche: in primo luogo, i limiti di tale ordine sono mobili, ma non eliminabili e, secondariamente, il conflitto nell’ordine e fra ordini cambia, in particolar modo nello scontro tra vecchio e nuovo ordine. Il nuovo non è solo disordine, come potrebbe apparire agli occhi di chi sostiene l’ordine vigente, ma è prima di tutto un ordine emergente che si presenta come altro rispetto all’ordine in carica. Questo presentarsi come altro non può essere superato all’interno delle dinamiche dell’ordine vigente, altrimenti dovremmo tornare ad una concezione di ordine classico e totalizzante, in grado di contenere tutte le possibilità. La differenza che emerge tra l’ordine nuovo e vecchio rappresenta invece una possibilità di assumere qualcosa di assente nell’ordine vecchio.

L’invenzione umana è un creare qualcosa di nuovo, ma non dal nulla. Queste innovazioni avvengono attraverso ciò che Waldenfels definisce eventi chiave in cui accade qualcosa che dà origine ad un ordine nuovo. L’esempio politico che incarna bene questa definizione è la Rivoluzione francese, definibile evento chiave per il cambiamento che ha prodotto nella politica europea. Altro esempio analogo nel mondo dell’arte si identifica nella figura di Picasso, padre della nuova corrente pittorica cubista, che porta un nuovo modo di dipingere e inaugura la possibilità di forme espressive nuove ed inedite43. Ogni vera e propria innovazione poggia sempre su una tradizione preesistente. Come Picasso nella sua innovazione si è richiamato alla pittura spagnola a lui precedente, così la Rivoluzione francese parte da crepe di ordini politici antecedenti. L’innovazione implica una elaborazione della tradizione; gli eventi che portano a cambiamenti

43

Waldenfels B., Estraneo, Straniero, Straordinario. Saggi di fenomenologia responsiva, cit., p. 31.

radicali all’interno degli ordini, originando a volte ordini nuovi, vengono riconosciuti dopo come accadimenti portatori di cambiamento. Questa creazione responsiva, che non prevede creazioni dal nulla, pone dei limiti e non è schiava delle mode o del nuovo per il nuovo.

Un evento che trascende le regole costituite all’interno di un ordine non è un’azione contro le regole stesse, ma sono le regole che si mostrano inadeguate per quell’evento. Senza regole l’evento si volatilizza. Gli eventi chiave sopra citati impongono un nuovo paradigma. La produzione di un nuovo ordine non è soltanto la sostituzione con l’opposto dell’ordine presente. La causa del nuovo ordine è all’interno del vecchio ordine. La zona in cui si manifesta l’evento portatore del cambiamento è una zona di transizione, dove si verifica un'ambivalenza a causa della presenza di due ordini, il vecchio e il nuovo, che entrano in conflitto. Tale conflitto cessa quando uno dei due diviene l’ordine fondamentale. Ci può essere collisione anche tra due ordini esistenti quando un ordine presenta se stesso come deformazione dell’altro, un esempio di questa situazione può essere fornito da una repulsione fra culture.

Di fronte all’innovazione si possono assumere due atteggiamenti: familiarizzarsi con il nuovo e ammirarlo, oppure rimanere legati alla tradizione. All’inizio la reazione principe è quella di rimanere legati alla tradizione e all’ordine vecchio. Il futuro sviluppo o il cambiamento da un ordine ad un altro non può avvenire senza la cooperazione delle componenti della tradizione precedente. L’Innovazione è il momento in cui l’inizio del cambiamento era già avvenuto mediante alcune azioni all’interno dell’ordine vigente; successivamente c’è l’accettazione che ci fa mettere in discussione il vecchio paradigma e a volte

ci porta a sostituirlo con uno più idoneo ad affrontare i problemi e le situazioni attuali per cui quello vecchio si è mostrato inadeguato, provocando il cambiamento.

Gli ordini limitati, che nascono attraverso il meccanismo dell’inclusione e dell’esclusione, conducono spesso ad un conflitto fra ordini effettivi e ordini possibili, e questo conflitto è insuperabile, nel senso che nessun ordine ha ragioni sufficienti per vincere necessariamente. Si arriva a scegliere in base a preferenze