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Il ruolo della controversia nel progresso del sapere

Capitolo 3. La sfida delle differenze

3.4 Il ruolo della controversia nel progresso del sapere

La controversia è, per Dascal, la forma dialogica che permette la crescita della conoscenza anche in campo scientifico.

Secondo Dascal il progresso, quello del sapere in particolare, riposa su una dualità dialettica tra opposizione e cooperazione, tra dibattito e dialogo. Egli collega il dialogo tra razionalità, che è possibile realizzare durante una controversia, alla sua visione di progresso. Per far questo Dascal richiama i noti concetti introdotti da Kuhn riguardo al progresso scientifico.121

. Kuhn sostiene che la crescita del sapere scientifico non si dà per accumulazione progressiva ed è sufficiente seguire la storia della scienza per accorgersi che essa comprende ampi periodi di “scienza normale”, caratterizzati da continuità, e brevi periodi turbolenti di “scienza straordinaria”, identificati nelle crisi. In un periodo di scienza normale ciò che mantiene uniformità e stabilità è il fatto che i membri di una comunità scientifica condividono lo stesso

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Dascal M., ‹‹Dichotomies and types of debate››, cit., p. 14.

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paradigma fatto di metodi, criteri e pratiche che permettono di identificare i problemi e di risolverli consensualmente all’interno di esso. “La scienza normale” non ha l’obiettivo di trovare novità in campo scientifico che mettano in discussione il paradigma vigente, ma è possibile che ciò accada durante il lavoro di ricerca e queste novità vanno poi a costituire quelle “anomalie” che possono portare a cambi paradigmatici. La scienza normale ha la capacità di effettuare dei cambiamenti necessari ad affrontare le novità, ma, quando si accumulano anomalie che non vengono assimilate, falliscono le soluzioni proposte all’interno del paradigma e la comunità scientifica o la singola disciplina si rende conto del fallimento dei suoi procedimenti normali di risoluzione dei problemi ed entra in un periodo di crisi. Cominciano allora a presentarsi possibili paradigmi alternativi che si dimostrano più idonei rispetto a quello vecchio per la risoluzione dei nuovi problemi scientifici.122

La fedeltà al paradigma vigente non cede immediatamente e la sua caduta richiede, secondo Kuhn, l’esistenza di un candidato alternativo capace di prendere il suo posto. Tuttavia, la resistenza delle anomalie a lasciarsi risolvere dalle norme del paradigma ancora vigente suscita nuovi attacchi contro di esso provenienti da alternative meglio elaborate. Maturano così le condizioni per la transizione dal “paradigma in crisi” ad un nuovo paradigma, attraverso un processo che non è cumulativo. 123 Assistiamo ad un vero e proprio conflitto tra i paradigmi che competono per le loro soluzioni che si conclude spesso con la distruzione del paradigma precedente.124

Il motivo per cui Dascal coinvolge Kuhn nella discussione sulle razionalità

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Dascal M., A Crua Palavra. Dialogo con Marcelo Dascal, cit., p.52.

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Ivi, p.53.

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distinte e il dialogo tra di esse risiede nel fatto che i paradigmi in conflitto in una rivoluzione scientifica sembrano essere un buon esempio di razionalità distinte. Inoltre, esse si trovano in un confronto dialettico che Kuhn ci presenta come necessario per l’emergere di nuovi fenomeni e nuove teorie scientifiche, ossia per la crescita della scienza. Sembrerebbe, da un lato, che l’evoluzione della scienza, secondo Kuhn, illustri la concezione del progresso dialettico-cooperativo che Dascal ha proposto e, dall’altro, che sia un caso sostenente la tesi per cui i dialoghi tra razionalità distinte non solo sono possibili, ma sono tipici di una delle nostre più importanti attività.125

Tuttavia, risulta molto difficile ammettere che un confronto in cui uno dei partecipanti debba letteralmente distruggere l’avversario permetta il tipo di cooperazione che si suole chiamare “controversia”. Non è molto favorevole al dialogo neanche una rivoluzione che si conclude con una vittoria totale di uno dei due paradigmi.

Quando in un dibattito tutto ciò che interessa è sconfiggere l’avversario per il solo fatto di vincere, cioè per dimostrare che soltanto uno ha ragione, il dibattito non riflette nessun interesse nell’accrescere la conoscenza né nel persuadere l’avversario. In questa tipologia, che abbiamo precedentemente identificato nella disputa e che sembra caratterizzare i periodi di “scienza straordinaria”, nessuno dei contendenti cambia a causa del dibattito la posizione che aveva all’inizio, mantenendosi chiuso nel proprio mondo di credenze. Questo aspetto sottolinea che siamo di fronte a razionalità distinte che non riescono ad avere dialogo tra di esse.

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Qualcosa di simile e di opposto allo stesso tempo si manifesta nel caso della scienza normale, governata dal suo paradigma, dove la tipologia di dibattito messa in atto è quella della discussione. Nei periodi di “scienza normale” si ha dialogo senza problemi, tutti i membri della comunità scientifica condividono gli obiettivi, i metodi, i problemi da risolvere, e le forme di validazione delle soluzioni, di cui accettano i risultati. Questa stessa obbedienza rigorosa ad un insieme di regole, che si acquisiscono per poter entrare nella comunità, mostra chiaramente che non c'è posto in essa per le differenze e ancora meno per razionalità distinte. Il fatto che il dialogo sia possibile nell’ambito di una razionalità rigorosamente codificata ed assecondata è cosa normale. Sarebbe invece sorprendente, spiega Dascal, scoprire che i membri di tale comunità scientifica sono anche capaci di dialogare con comunità caratterizzate da altre razionalità e da altri paradigmi.126

Nelle due componenti principali del modello kuhniano, la scienza normale e la scienza straordinaria che porta alla rivoluzione scientifica, non vi è dialogo tra razionalità, anche se per ragioni diverse. Entrambe sono infatti caratterizzate da un'inflessibilità derivata dalla tipica nozione di paradigma che chiude l’attività scientifica in unità sigillate, impossibilitate a comunicare con ciò che è al di fuori di esse. Il paradigma non ha la flessibilità necessaria per adattarsi a situazioni impreviste che regole rigide non possono prevedere. Quello che manca ai paradigmi, parlando in termini leibniziani, è la razionalità mite, capace di completare la razionalità più dura che li caratterizza senza porre in pericolo l’identità di quest’ultima. Nel dialogo con coloro con cui condividiamo

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pienamente un paradigma, una cultura, o una razionalità raramente ci scontriamo con situazioni inaspettate e le regole codificate sono sufficienti per guidarci, ma nel dialogo con l’altro, dove l’inaspettato è la regola, esse non bastano più. Ciò che manca ad un modello come quello di Kuhn, che cerca di introdurre un elemento dialettico nella storia della scienza, è introdurre non solamente la dialettica dura della compatibilità e dell'esclusione che impedisce il vero dialogo, ma anche la dialettica mite del rispetto reciproco e della conciliazione, che contribuisce al progresso del sapere perché permette di riscattare dalle posizioni opposte tutto quello che ha valore e può essere assunto.127 Ai due tipi di dibattito essenzialmente duri, la discussione e la disputa, dobbiamo, quindi, aggiungere il modello della controversia, che per le sue caratteristiche si dimostra la tipologia di dibattito migliore per la crescita della conoscenza scientifica.

La prima importante proprietà delle controversie è che esse non rimangono confinate alle questioni iniziali che le hanno accese e tendono ad espandersi rapidamente sia in estensione sia in profondità. L’espansione delle problematiche include il mettere in discussione da parte dei contendenti le supposizioni metodologiche, concettuali e basiche dei loro avversari. Il carattere dinamico della problematica, il mettere in dubbio crescente i presupposti e la libertà ermeneutica che i contendenti si concedono porta ad un’altra importante caratteristica delle controversie scientifiche: la loro apertura. Tale apertura la riscontriamo nel fatto che non sappiamo dove le dinamiche inerenti alla controversia ci porteranno, perché esse rivelano l’esistenza di profonde differenze riguardanti il significato di concetti, metodi e fatti fino adesso accettati senza discutere e spianano la strada

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all’emergere d'innovazioni radicali. Si può sostenere, secondo Dascal, che le controversie stimolano l’arrivo d’idee, metodi, tecniche e interpretazioni non convenzionali.128

L’apertura che caratterizza le controversie non equivale a sostenere che esse non seguono nessuna norma. Sebbene non siano governate da regole codificate come lo sono le discussioni e la loro evoluzione tematica possa essere influenzata da eventi esterni (scoperte in altre discipline, nuove tecnologie, e bisogni pratici), le controversie scientifiche manifestano un tipo di ordine o sistematicità che è sufficientemente debole da non privarle della loro apertura essenziale e sufficientemente influente da assicurare che il loro sviluppo non sia interamente arbitrario. In questo tipo di ordine, spiega Dascal, è operativa una speciale forma di razionalità conforme alla teoria delle controversie che è la razionalità mite. 129

Le controversie sono, quindi, indispensabili per la formazione, evoluzione e valutazione delle teorie scientifiche perché è attraverso di queste che il serio criticismo è attuabile e che permette di generare, migliorare e controllare sia la buona formazione che il contesto empirico delle teorie scientifiche. Le controversie sono un contesto dialogico naturale dove le teorie sono elaborate e dove il loro significato progressivamente si cristallizza. Inoltre, lo studio rigoroso delle controversie è un mezzo indispensabile per fornire un’adeguata descrizione della storia dell’evoluzione della scienza perché ci permette, spiega Dascal, di determinare empiricamente, da una parte, la precisa natura di quelle crisi e rotture che presumibilmente introducono un elemento d'irrazionalità rispetto alla

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Cfr. Dascal M. (1995), ‹‹Epistemology, Controversies, and Pragmatics››, Isegorìa p. 12.

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razionalità vigente e, dall’altra, in che cosa consiste la continuità che è presumibilmente richiesta come sfondo per il cambiamento e l’innovazione concettuale. La scienza sembra manifestarsi nella sua storia come una sequenza di controversie che dunque non sono anomalie, ma il naturale stato della scienza, poiché esse sono il luogo dove l’attività critica è esercitata, dove il significato delle teorie è dialogicamente modellato, dove i cambiamenti e le innovazioni nascono e dove la razionalità o l’irrazionalità delle iniziative scientifiche si manifesta.130 Per tutte queste ragioni, sostiene Dascal, ignorare le controversie nella filosofia e nella storia della scienza è un grosso errore che deve essere corretto. 131

L’approccio pragmatico che Dascal utilizza per lo studio e l’analisi delle controversie si dimostra idoneo per questa tipologia di dialogo, soprattutto in campo scientifico. La pragmatica è regolata da norme che assicurano l’intellegibilità degli atti comunicativi e tali norme in contrasto con le norme semantiche non sono di natura algoritmica, ma piuttosto euristica. Esse hanno il carattere di supposizioni, ovvero, le loro conclusioni sono accettate a condizione che non ci sia una ragione più forte per abbandonarle. Questa caratteristica delle sue norme rende la pragmatica un buon modello e forse anche un mezzo di spiegazione per una normativa non rigida, rappresentata dalla ragione mite, che caratterizza le controversie. È sorprendente osservare che raramente le controversie scientifiche sono state studiate da un punto di vista pragmatico. Questo, spiega Dascal, è dovuto alla straordinaria riluttanza, passata e presente, di

130 Dascal M. (1995), ‹‹Epistemology, Controversies, and Pragmatics››, Isegorìa, p.5.

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ammettere il fondamentale ruolo giocato dal linguaggio nella scienza e nel pensiero. Questa riluttanza è stata già apparente nel rifiuto, da parte di Cartesio, Bacone e altri, di attribuire al linguaggio qualcosa di più di un semplice ruolo di mera trasmissione nella costituzione della conoscenza scientifica. 132

3.5 La possibile risoluzione dei conflitti contemporanei.

Le controversie sono il modello dialogico che permette di raggiungere un compromesso e di arrivare ad una soluzione condivisa nei conflitti. Questo paragrafo cercherà di dimostrare, attraverso le interessanti riflessioni di Dascal, come l’applicazione della teoria delle controversie a situazioni conflittuali contemporanee possa portare a buoni risultati di risoluzione.

Dascal, sottolineando l’importanza delle parole nel confronto con l’altro, ci presenta il metodo del dialogo come l’unica strada per fermare le azioni violente. Nel suo paese, Israele e in ogni altra nazione dove incutere terrore è ritenuto da alcuni un mezzo legittimo ed efficace per raggiungere finalità politiche, è necessario fare uno sforzo per oltrepassare l’istintiva e giustificata repulsione rispetto a queste azioni e cominciare un dialogo con coloro che le mettono in atto. Dobbiamo questo alle vittime delle azioni di violenza, agli autori di quello che sarà il futuro, e infine, spiega Dascal, lo dobbiamo a noi stessi per sapere cosa fare e per decidere verso cosa indirizzare la nostra protesta e la nostra azione costruttiva.133

132 Dascal M., ‹‹Epistemology, Controversies, and Pragmatics››, cit.,p. 23.

133 Cfr. Dascal. M. (2005), ‹‹Discomunication and Pseudo-Morality in the action-reaction

dialectics of terror.›› In G. Meggle (ed.), Ethics of Terrorism and Counter-Terrorism. Frankfurt: Ontos, pp. 113.

L’uso delle parole per spiegare i nostri pensieri e per comprendere un nostro simile o un avversario non è privo dei suoi pericoli. Le stesse parole possono significare alcune cose per David ed altre completamente differenti per Ahmed. Le parole possono essere veritiere ma possono anche mentire, così come il dibattito può servire per enfatizzare ciò che separa gli opponenti piuttosto che ciò che li avvicina. Il dibattere in modo critico può contribuire a riconoscere che l’opponente ha ragione almeno in alcuni punti e con ciò portare alla risoluzione del problema, ma può anche diventare un mero esercizio dell’arte del provare che solo uno ha completamente ragione e il suo opponente ha completamente torto.134

Sebbene quindi le possibilità di successo del dialogo non siano assicurate, vale la pena correre il rischio, sostiene Dascal. Non solo perché parlare è l’unica alternativa alla violenza, ma anche perché tenere un dialogo con l’altro ti permette di vederlo come un essere umano senza correre il rischio di deumanizzarlo, come invece avviene nei confronti dell’avversario nel terrorismo e in alcune misure anti-terrorismo. Discutere con un opponente è una modalità di rapportarsi all’altro particolarmente importante per evitare la violenza.135

Per confrontarsi positivamente con le ragioni dell’avversario si deve fare un serio sforzo per capirle adeguatamente. Questo significa inquadrare le supposizioni dell’altro e individuarne le eventuali inconsistenze teoretiche e le inaccettabili conseguenze pratiche. Accogliendo e ascoltando le ragioni dell’avversario seriamente, infatti, si diventa consapevoli delle assunzioni dell’altro e se ne scoprono anche le debolezze. Tale processo necessita che i

134 Dascal. M., ‹‹Discomunication and Pseudo-Morality in the action-reaction dialectics of

terror.››, cit., p. 115.

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dialoganti vestano i panni del rispettivo avversario per vedere il conflitto come quest’ultimo lo vede, così da ottenere una visione meno legata al proprio punto di vista. Questo non necessariamente richiede di accettare le ragioni dell’altro, ma certamente richiede la comprensione di tali ragioni.

La teoria delle controversie offre, in questo campo, idee innovative che fanno aumentare le possibilità di risolvere le divergenze che accendono uno scontro.

In un conflitto, dove due differenti tradizioni e culture si confrontano e la tendenza dei contendenti è quella di evidenziare le loro divergenze, è importante provare a cogliere quegli elementi di similitudine che permettono il superamento delle differenze e infine la riconciliazione.

I conflitti violenti sono forme estreme di confronto, dove gli antagonismi latenti diventano espliciti e apparentemente irrisolvibili, se non con l’uso della forza che a volta si dimostra comunque insufficiente. Il conflitto israelo- palestinese vissuto in prima persona da Dascal, ad esempio, sembra essere di questo tipo. Per quelli la cui vita è segnata da sofferenze quotidiane imposte da tale tipologia di conflitto, quest'apparente mancanza di prospettiva di soluzione è insopportabile. Appellarsi alla filosofia in tali atroci circostanze può sembrare nient’altro che una forma di evasione dalla realtà, ma, al contrario, Dascal dimostra come la riflessione filosofica possa offrire una prospettiva per una più profonda comprensione dei conflitti in generale, anche regolando principi di azione in situazione di conflitto. 136

Storicamente i conflitti sono fenomeni duraturi e piuttosto difficili da

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Cfr. Dascal M. (2007), ‹‹Tradition and controversy and conflict resolution: Can past approaches help to solve present conflict››, in Dascal M. e Hang- Liang Chang, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam, p. 283.

risolvere. I loro acuti periodi di violenza non sono altro che rilevanti episodi all’interno di un processo dialettico crescente, nel corso del quale assumono anche sembianze miti come ad esempio, le politiche economiche o altre forme di competizione. Una fase violenta del conflitto è, infatti, generalmente preceduta e/o seguita da un periodo d'intensa attività verbale, sia essa nella forma di un reciproco criticismo oppure anche di trattati di riconciliazione e cooperazione che terminano in parziali accordi di pace. La comunicazione tra le parti può avvenire, quindi, simultaneamente in entrambi modi: attraverso atti violenti e attraverso le parole. La relazione tra questi due aspetti del conflitto può invertirsi velocemente, soprattutto quando da entrambe le parti ci sono potenti gruppi che sono più interessati al persistere della violenza piuttosto che a qualche pacifica forma di coesistenza.

È in queste circostanze che sorgono alcuni interrogativi per cercare una convivenza pacifica. Dascal ritiene che dovremmo chiederci come ideare e mettere in atto metodi pratici capaci di sostenere e, in tal modo prolungare, periodi pacifici riducendo così in qualche modo il rischio di nuove eruzioni di violenza. Per far questo egli si pone importanti interrogativi: come definire, accordare, sviluppare e rafforzare gli “interessi comuni” delle parti che forniscono la base per tali soluzioni politiche? Come stabilire gli “interessi fondamentali”, le richieste essenziali e giuste di ogni parte, senza la soddisfazione delle quali, nessun metodo sostenibile può funzionare? Quali sono i principi etici di dialogo che permettono alle parti nel conflitto di negoziare una duratura e giusta soluzione senza annullare me stesso e l’altro? Può uno reprimere le modalità di violenza così da non permetterle di danneggiare irrimediabilmente le prospettive di

riconciliazione? Come mantenere aperte e attive, anche nei periodi di violenza, i canali dialogici che serviranno una volta che il periodo di riconciliazione arriverà? E, infine, in una luce più metafisica, ci possono essere soluzioni durature, data la natura ontologicamente dinamica e dialettica del processo del conflitto? 137

Dascal si concentra in particolare su due di questi aspetti menzionati: gli “interessi comuni” e gli “interessi fondamentali”.

La nozione di “interessi comuni” s'intreccia alla nozione di azione “collettiva” che si ha quando le intenzioni individuali di ognuno, coinvolte in tali azioni, sono riferite in modo non eliminabile ad un “noi” che compie un’azione congiuntamente. In questo senso, si può dire che un’azione è collettiva quando c’è un’intenzione comune condivisa da coloro che fanno quest'azione. Un gruppo di amici, ad esempio, che organizzano una festa condivide l’intenzione di organizzare tale festa e ognuno accetta di intraprendere azioni specifiche che questa intenzione collettiva assegna, così che ognuna di queste azioni ha senso solo riferita all’intenzione comune del gruppo.

Dobbiamo però, tenere presente che anche se gli interessi dei differenti individui o gruppi coincidano ad un certo livello, questo non basta a rendere le loro azioni collettive nel senso appena definito. Ad esempio, c’è senza dubbio un interesse comune di Hamas e degli abitanti degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania alla non realizzazione della “road map” e della pacifica risoluzione alla quale questa può portare. Le loro azioni favoriscono questo comune interesse creando una catena causale di azione-reazione di violenza che mina le basi delle condizioni per portare avanti le negoziazioni e impedisce la realizzazione dei passi

137 Dascal M., ‹‹Tradition and controversy and conflict resolution: Can past approaches help to

pratici richiesti per mettere in atto la “road map” o qualsiasi altra versione di processo di pace. In questo senso, spiega Dascal, loro si aiutano l’un l’altro, ma non si può dire che questi due gruppi condividano un’intenzione comune per svolgere particolari azioni finalizzate a perseguire i loro comuni obiettivi, infatti, essi dimostrano di avere scopi diversi.138

Dal punto di vista dell’azione collettiva, un processo di negoziazione finalizzato a risolvere il conflitto deve essere un processo di riconoscimento di una serie d’intenzioni di gruppo condivise dagli opponenti. Una volta disponibili,