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Prospettive fenomenologiche sull’interculturalità

Capitolo 2. L’estraneità al cuore dell’esperienza

2.4 Prospettive fenomenologiche sull’interculturalità

L’estraneo non solo comincia in noi stessi, ma anche in casa propria, nelle nostre abitudini e nei propri costumi. Quello che avviene tra le culture nell’ambito esperienziale dell’estraneità non è molto diverso da ciò che accade tra i singoli individui. Questo paragrafo ci permetterà, infatti, di ripercorre i punti cardine del pensiero di Waldenfels sull’esperienza dell’estraneità sotto la luce del rapporto tra culture. Ciò che si verifica nell’incontro tra culture diverse non è riducibile al fatto che esse presentano caratteristiche diverse comparabili: ogni paragone culturale parte da una determinata cultura e non esiste uno sguardo imparziale in merito. Questa carenza si cerca di colmarla abolendo i confini delle rispettive culture, concependole come parti di una cultura unica o sottoponendole a parametri identici.

Se si prende sul serio il termine “interculturalità”, scrive Waldenfels, incontriamo una sfera intermedia che non può essere ridotta né a ciò che è proprio, né a ciò che è integrato in una totalità e né a ciò che è sottoposto a leggi universali. Si viene così a costituire una terra di nessuno che collega e separa allo stesso tempo. Questa forma di interculturalità è possibile solo se riusciamo a distinguere e a scindere la nostra cultura da quella dell’estraneo. Tale scissione non preclude che si possa arrivare ad una pluralizzazione o globalizzazione, ma tali risultati presuppongono un’esperienza dell’estraneo a cui non potranno mai risalire. La cultura estranea è qualcosa di più di una cultura tra le altre. “Se questo plusvalore viene cancellato ci poniamo su un piano di livellamento delle

differenze tra proprio ed estraneo”. 74

Il problema dell’estraneo inizia con il significato linguistico della parola. La parola tedesca fremd assume tre tonalità di significato diverse. In primo luogo, fremd è ciò che si mostra al di fuori del proprio ambito e che si oppone a qualcosa di interno. Fremd è in secondo luogo ciò che appartiene agli altri in contrapposizione a ciò che è proprio, richiamando ad un possesso. Infine, fremd è ciò che è altro, strano, inconsueto, che si contrappone al familiare e rimanda al modo della comprensione. Il primo significato trova spazio nella riflessione di Waldenfels secondo la quale, l’opposizione fra proprio ed estraneo non scaturisce da nessuna definizione, ma, come già accennato, dipende da un processo di inclusione ed esclusione. Estraneo è un luogo dove io non sono e non posso essere, e vivo questa impossibilità.

La relazione con l’estraneo si presenta come una sottrazione: lo sguardo estraneo ci coglie quando meno ce lo aspettiamo, riducendo la lontananza iniziale. Quando ciò avviene non comporta il fatto che la distanza tra le due cose viene azzerata, ma che noi tocchiamo l’inafferrabile. L’estraneità nella sua forma radicale sta proprio ad indicare che il sé è in un certo modo fuori di sé e che ogni ordine ha nella zona di penombra, al di fuori dei confini, l’extra-ordinario. Fino a che non si riconosce tale radicalità rimaniamo attaccati ad un’idea di estraneità relativa, ovvero ad un’estraneità per noi che fa riferimento ad un’appropriazione da parte nostra dell’estraneo e, così facendo, travisiamo e violentiamo l’esperienza dell’incontro con l’altro, cosa che molto spesso porta l’altro a ribellarsi contro la sua appropriazione anche con i mezzi di una replicata violenza.

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Nell’ambito interpersonale come in quello interculturale non si parla di estraneità assoluta. Una lingua straniera, ad esempio, se ci fosse totalmente estranea non sarebbe neppure concepibile come tale. Le lingue presentano affinità e lo stesso vale anche per le culture. All’inizio tra due culture non ci sono solo le differenze, ma anche analogie e le mescolanze che mettono a tacere ogni ideale di purezza nazionale, razziale o culturale. 75

Il proprio risulta intrecciato con l’estraneo e l’estraneo comincia in noi stessi, che non siamo mai completamente presso noi stessi; parliamo una lingua che ci è stata insegnata da altri e portiamo un nome che altri ci hanno dato. Questa estraneità interpersonale, di cui abbiamo parlato precedentemente, assume anche i tratti di un’estraneità interculturale. Nessuno è in grado di accedere completamente alla propria cultura, alle proprie abitudini culturali e alle proprie forme di espressioni linguistiche. “L’uomo non è padrone in casa propria”; in caso contrario riuscirebbe a tenersi lontano dal proprio corpo l’estraneo. L’estraneità interna ed esterna non vanno considerate separatamente. Io sono estraneo da me stesso nel momento in cui vengo colpito dall’estraneo. L’estraneità interpersonale e interculturale non devono essere separate dall’estraneità intrapersonale e intraculturale.

Un’esperienza collettiva di uno scambio culturale, dalla prospettiva dei soggetti coinvolti, si può esprimere linguisticamente soltanto nella modalità in cui il “noi” diventa un “voi”. Il Noi in questo scambio collettivo assume un significato esclusivo, cioè non include tutto ciò che sta fuori dai confini del noi. Il Noi ha bisogno di un portavoce che rappresenti il gruppo, le culture si incontrano

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attraverso figure mediatrici che rappresentano le rispettive culture. L’estraneità si presenta con i tratti dell’incertezza, minacciosità e incomprensione. Per questo necessita di una mediazione secondo regole linguistiche e sociali, che sono le istanze di mediazione che intervengono per regolare nell’esperienza dell’estraneo. La richiesta dell’estraneo però giunge da altrove e la sfera intermedia non costituisce nessun terreno comune sul quale si possa basare l’esperienza dell’estraneo e non rappresenta nemmeno un territorio sottoposto a regole comuni.

L’estraneità è inaccessibile e il suo carattere di non appartenenza rende impossibile tutti i tentativi di mediazione e di appropriazione. L’estraneità si mostra come un eccesso che travalica i confini dell’ordine e le regole al suo interno. Ogni esperienza estranea è un’esperienza di contrasto ed esige un’indiretta modalità di azione e di risposta, dato che l’estraneo si mostra indirettamente giungendo prima come inquietudine e disturbo. Ogni tentativo di controllare e impossessarsi di questo momento iniziale di turbamento è vano e porterebbe solo ad una razionalizzazione forzata di un evento che non è normalizzabile. L’estraneità mette a nudo la realtà, per cui nessuno è pienamente a casa presso se stesso e nel proprio mondo.

Ponendo l’attenzione sulla figura del terzo che interviene nell’incontro con la diversità lo dobbiamo pensare, dice Waldenfels, come una figura con un ruolo determinato, che è necessaria nel momento in cui si verifica un reciproco contrasto. Il terzo, sia esso in forma di persona o di legge, consente di avere un punto di riferimento comportamentale e consente il dialogo tra culture. Non solo la lingua ma anche i gesti costituiscono la sfera del terzo, che non può essere ricondotto né al proprio né all’estraneo. Il terzo non è qualcosa di secondario,

anzi, è co-originario rispetto all’estraneo e al proprio. Waldenfels a livello fenomenologico critica la posizione che definisce il terzo come mediatore, come qualcosa che sta nel mezzo tra due estremi e che attraverso questa sua posizione mira a togliere l’estraneità. Il terzo che viene posto nella fenomenologia dell’estraneo, al contrario:

(…) è un terzo che interviene, nel senso più letterale della parola, dunque che inter-viene, giunge in mezzo, che irrompe tra, che determina me e l’altro in quanto qualcosa o in quanto qualcuno, ci pone in un ruolo all’interno di un sistema che non elimina, che non risolve in un’indifferenziata unità il proprio e l’estraneo.76

Questa figura può assumere diverse funzioni a seconda del grado di partecipazione: il terzo partecipante è l’ascoltatore che esprime approvazione o disapprovazione con applausi o fischi; il terzo testimone che testimonia raccontando alcuni eventi a cui ha assistito; il terzo osservatore è colui che è disinteressato e distaccato rispetto all’accaduto che descrive come ad esempio uno storico. Il terzo appare anche in funzioni diverse all’interno di un ordine, ad esempio abbiamo l’interprete che media tra lingua propria e lingua straniera e il giudice che dirime un conflitto. Anche in queste forme il terzo non è mai in una posizione completamente neutrale, il traduttore non è colui che sta al di sopra di tutte le lingue o che le parla tutte, ma è colui che media tra lingue diverse, sempre a partire dalla sua lingua madre, attraverso la quale cerca di creare una

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Waldenfels B., Estraneo, Straniero, Straordinario. Saggi di fenomenologia responsiva, cit., p. 82.

connessione.

Nessuno scambio culturale è pensabile senza queste figure di riferimento e di mediazione. Talvolta, il terzo in questione cerca di attenuare l’inquietudine provocata dall’incontro con l’estraneo, cercando di rendere uguale ciò che non lo è e non lo sarà mai. Includere all’interno di un ordine precostituito l’estraneità è una modalità di risoluzione che il terzo in questione può mettere in atto, ma senza eliminare la diversità che caratterizza l’estraneo e lo rende tale.

Se lo status extra-ordinario dell’estraneo viene conformato allo statuto del particolare interno all’ordine si rischia poi di ricondurre tutto sotto il punto di vista dell’universale. Cadiamo così, spiega Waldenfels, nell’universalizzazione.77

L’alternativa a questo universalismo consiste nel mettere in discussione il proprio da parte dell’estraneo, le cui richieste singolari non si lasciano mai uniformare in nessun ordine totalizzante. Estraneo è ciò che non si lascia includere.

Parliamo adesso di quell’estraneità che caratterizza le culture, la quale non ha nulla a che vedere con la molteplicità delle culture e della loro possibile unità. Riconosciamo la molteplicità delle culture quando consideriamo la nostra una cultura tra le tante, anche se questo non è del tutto possibile. La nostra cultura, così come la nostra lingua madre, ci aprono al processo d’iniziazione con il quale entriamo nel mondo. Il mondo in cui viviamo si suddivide - detto in termini husserliani - in mondo domestico e mondo estraneo.78 Una cultura estranea non è semplicemente una cultura altra rispetto alla propria, perché è capace di gettarmi in luoghi sconosciuti dove non sono a casa. Un’esperienza estranea interculturale,

77 Waldenfels B., Estraneo, Straniero, Straordinario. Saggi di fenomenologia responsiva, cit., p.

82.

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infatti, non comincia con una comparazione tra culture diverse, ma con il prestare ascolto, e ciò significa che comincia altrove. E’ quindi l’incontro con l’altro che permette di scoprire e di far venire alla luce le caratteristiche più profonde della propria cultura e che aiuta a conoscere meglio le proprie abitudini culturali. Ogni cultura tuttavia è in grado di estendersi oltre se stessa tramite l’eccedenza transculturale. L’esperienza interculturale presuppone che le culture in questione si relazionino reciprocamente, poiché esse non vivono in compartimenti stagni. Per questo ciò da cui dobbiamo partire è un intreccio formato da culture diverse.

Culture che entrano a fare parte di uno scambio e di una discussione reciproci sono intrecciate e incatenate le une alle altre. Sono esse stesse a separarsi l’una dall’altra e non già di per sé separate come entità indipendenti. L’idea di culture pure e incontaminate si rivela essere una chimera, un’idea assolutamente discutibile. Effettivamente nel proprio ambito ogni cultura interseca i percorsi di altre culture. Questo vale tanto per l’Europa così cosmopolita, ricca di confini e di storia, quanto per gli stati dell’America Latina, ad esempio, nei quali culture autoctone si sovrappongono ad altre introdotte o imposte dall’esterno, quanto per gli stati dell’Africa, le cui popolazioni sono state decimate dalla schiavitù e la cui cultura ereditaria si è estraniata.

Al relativismo di una cultura che impone se stessa, fa valere i suoi criteri vigenti e vive l’esperienza dell’estraneità sempre a partire da se stessa, si contrappone una filosofia della cultura, che sottopone ogni cultura, compresa la propria, a criteri trasversali per ogni cultura. Il problema di quest’ultimo approccio è il ricorso a criteri di ragione universali che derivano sempre da condizioni locali o regionali, relativi ad una determinata cultura. Il passaggio al di

là della cultura può essere visto anche fuori dai due modelli sopra accennati, che ci riportano alle categorie rispettivamente della barbarie e della ragione. La radicalità dell’estraneo spezza ogni ordine culturale e, una cultura che si nega alle richieste dell’estraneo, cade nella mera riproduzione di se stessa.

Un’alternativa alla filosofia culturale che si attiene alla cultura vigente e si modella su di essa, nonché alla filosofia della cultura che cerca di elevarsi sopra le altre applicando ad esse delle misure comuni a tutte, potrebbe essere una filosofia che sta tra cultura e aculturalità.79 Essa costituirebbe un altrove che irrompe e impedisce qualsiasi tipo di chiusura della cultura in se stessa. Basterebbe inoltre riconoscere che ogni cultura è più di una cultura pura che vive solo di se stessa. Nell’incontro con le altre culture così come nell’incontro individuale con l’estraneità non ho a che fare con un qualcosa di totalmente diverso e lontano da me. L’estraneità inizia già in me stesso e nelle mie abitudini. Ogni cultura e ogni morale ha il suo punto cieco così come ogni ordine, fin dalla sua fondazione, è contingente e contiene già in sé la possibilità di incontrare l’estraneità che è tale rispetto ad esso.

Nella filosofia della cultura, così come nella filosofia culturale, è impossibile parlare di interculturalità nei termini di un inter-evento, un accadere che ha luogo in un framezzo, in cui culture diverse si fecondano reciprocamente, potendo anche entrare in aperto conflitto. Infatti, se è vero che l’estraneità interculturale non deve per forza coincidere necessariamente con l’ostilità, è altrettanto palese come il rischio per cui ogni estraneità possa trasformarsi in aperta ostilità. Questo rischio prende corpo ogni volta che si presenta qualcosa di

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singolare che non può essere colto né come parte di un tutto capace di inglobarlo né come caso particolare di una legge generale. Esso si presenta quindi sia sul piano di culture che si sono formate a livello regionale o nazionale, sia sul piano di culture mondiali.

Ogni comparazione interculturale è solo una comparazione parziale. Una comparazione in toto di culture o di lingue sarebbe un’impresa senza speranza, poiché il luogo stesso della comparazione, come accennato all’inizio di questo paragrafo, appartiene sempre ad una cultura specifica. Come la traduzione linguistica segue un percorso che va dalla lingua di partenza a quella di arrivo, allo stesso modo lo scambio culturale si muove da una cultura di partenza verso una cultura altra, che funge da punto di arrivo. La comparazione si gioca all’interno dell’orizzonte di una determinata cultura e non in un non-luogo transculturale.

C’è un incomparabile che si sottrae alla comparazione interculturale proprio perché non poggia su elementi separati appartenenti a un insieme circoscritto, ma scaturisce da un intreccio interculturale. Eppure questa non è l’unica ragione. In più vi sono eccedenze transculturali, in cui ogni cultura supera di volta in volta se stessa. Anzitutto dobbiamo guardarci dal cadere in un estremismo culturalista, spiega Waldenfels, attribuendo l’incomparabilità alla cultura come tale. Ciò che si rivela essere incomparabile non sono opere e valori immanenti alla cultura, ma la sua estraneità.

Waldenfels sostiene che l’estraneo incomparabile non è afferrabile in maniera diretta, ma indiretta; ossia in quanto eccedenza o eccesso che supera la misura normale, come deviazione che sconvolge un sistema di norme o di valori

esistente, in quanto quell’in-condizionato e impossibile, che fa saltare il quadro delle condizioni di possibilità. L’estraneo che irrompe e si insinua, i cui effetti precedono ciò che lo rende possibile, ci porta a vivere, sentire, vedere, pensare e agire diversamente da come facevamo prima. In tutti gli ambiti della cultura, nella scienza, nella tecnica, nella politica e nel diritto, nella morale e nella religione, perfino nella vita privata, ci imbattiamo in eventi istituenti singolari, che non si dimenticano. Dimenticarli significherebbe dimenticare se stessi. Un dimenticare di questo tipo è possibile, ma solo nella forma di una rimozione, poiché ciò che viene dimenticato continua comunque a essere effettuale in modo sotterraneo e continua occasionalmente a ripresentarsi. Come tutto ciò che è estraneo, anche l’estraneo intra e interculturale esibisce i tratti dell’inconscio che ci colpisce a casa nostra. Il dimenticare reattivo, che rimane attaccato al passato, si contrappone a un dimenticare produttivo, attraverso il quale il vecchio non viene rimosso, ma solo trasformato nel nuovo. Gli spostamenti delle strutture d’ordine, che insieme all’ordine trasformano anche ciò che è a esso esterno, aprono la strada a sfide e rischi imprevisti.80

L’interculturalità, spiega Waldenfels, è legata alla scienza della politica dell’estraneità, ovvero l’etnopolitica. Una politica che lascia spazio all’estraneo dovrebbe riconoscere nel politico un momento di apoliticità inteso come qualcosa che nell’ambito politico si sottrae all’ordine. Questo momento politico resisterebbe ad ogni forma di totalizzazione e volontà di inclusione permettendo di vivere l’estraneità per come si presenta.

In base a quanto appena descritto, ci chiediamo come sia possibile vivere

80

Cfr. Waldenfels B, Comparare l’incomparabile. Un’oscillazione interculturale, in “Rivista internazionale di filosofia e psicologia”, Vol. 3 (2012), n. 2, 24 luglio 2012, pp. 241-253.

l’estraneo senza “deturparlo del suo pungolo”81

. Una volta riconosciuta la capacità dell’estraneità di farci uscire fuori dal campo delle nostre possibilità, di travalicare i confini dell’ordine vigente, lo dobbiamo pensare esclusivamente come pathos che ci coinvolge inevitabilmente. La parola pathos conserva in sé anche il soffrire che è insito nell’incontro con l’estraneità. La risposta che do alle richieste estranee è più di un comprendere sensato o di un accordo normativamente guidato e l’esperienza interculturale si limita ad un'inclusione o comparazione se non riconoscere la forza e la natura dell’incontro con l’altro.

2.5 Dalla fondazione ontologica della fenomenologia