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LA FORAGGICOLTURA NELL'ALLEVAMENTO OVINO E CAPRINO: ASPETTI GESTIONALI, RICADUTE ECONOMICHE E INFLUENZA SULLE PRODUZION

L. GAGLIARDO Cargill S.r.l.

Parole chiave: qualità dei foraggi, taglio anticipato, foraggi fasciati, piccoli ruminanti. INTRODUZIONE

I foraggi costituiscono la base alimentare dei ruminanti. Essi rivestono il duplice ruolo di apportare principi nutritivi quali proteine, carboidrati, minerali e vitamine e di fornire all’animale fibra avente una struttura, per dimensioni e caratteristiche, indispensabile ad assicurare le funzioni motorie e fermentative del rumine. I foraggi, dal punto di vista analitico, sono costituiti prevalentemente da componenti fibrose il cui contenuto, espresso come NDF (Fibra Neutro Detersa), varia in genere dal 30 all’80%. La fibra rappresenta l’insieme dei costituenti della parete della cellula vegetale quali cellulose, emicellulose, pectine e lignina. All’interno della cellula è presente il contenuto cellulare costituito da acqua, zuccheri, amido, lipidi, aminoacidi e proteine. Le sostanze del contenuto cellulare sono notoriamente caratterizzate da minimo ingombro ed elevata digeribilità, al contrario la fibra è degradata dai batteri ruminali in tempi più lunghi da cui l’effetto di ingombro e a cui l’animale può ovviare unicamente attraverso la masticazione e la ruminazione (Righi e coll., 2012).

La fibra può essere divisa in quattro frazioni in base alla sua degradabilità: non degradabile, potenzialmente degradabile, lentamente degradata (2-3% all’ora) e rapidamente degradata (1- 15% all’ora). Più è elevata la quota di fibra degradabile fornita all’animale e più veloci saranno i processi digestivi. Pertanto il rumine si svuoterà più rapidamente consentendo un aumento di ingestione di sostanza secca da parte dell’animale (Bartolini, 2013). La degradabilità dell’NDF dipende da diversi fattori e può risultare molto variabile; essa non è chimicamente costante nelle diverse materie prime e nei foraggi. I suoi costituenti chimici, ovvero l’emicellulosa, la cellulosa e la lignina in ordine decrescente di degradabilità, possono trovarsi al suo interno in diverse proporzioni. Inoltre possono creare tra loro legami più o meno stabili e difficili da rompere. In generale l’invecchiamento dei tessuti vegetali, soprattutto in presenza di elevata disponibilità di acqua, luce e calore, comporta un aumento del contenuto di lignina e un consolidamento del suo legame con l’emicellulosa, a scapito della degradabilità della fibra (la lignina è sostanzialmente indigeribile). Tale fenomeno è particolarmente evidente nei foraggi (Righi e coll., 2012).

Anche nell’allevamento ovicaprino, cosi come per le vacche da latte, sono state selezionate, nel corso degli anni, razze con grandi capacità produttive. Questi animali presentano però elevati fabbisogni nutrizionali non più soddisfabili solo con l’utilizzo di foraggi o con il pascolo.

Per i livelli produttivi più elevati l’impiego dei concentrati diviene indispensabile per fornire un’adeguata supplementazione proteica, minerale e vitaminica e, soprattutto, energetica. Infatti l’ingestione di energia è il fattore alimentare che maggiormente influenza la produzione lattea. Molto importante è anche la qualità dei foraggi utilizzati: peggiore è la loro qualità maggiore è la necessità di ricorre a forti quantità di concentrati e questo può comportare il rischio di dismetabolie per gli animali, oltre che aumentare il costo della razione. È quindi fondamentale scegliere il tipo di foraggio e valutarne attentamente la qualità soprattutto nel caso si debba ricorrere al mercato per l’approvvigionamento (AA.VV., 2005). Per ottenere foraggi di qualità è indispensabile che la raccolta e l’utilizzazione siano effettuate al giusto stadio di maturazione. La scelta di un determinato calendario di raccolta si ripercuote in maniera importante sia sulle rese, sia sulle caratteristiche nutritive del foraggio, sia sulla durata del prato (C.R.P.A., 2005). Quanto più precoce è la raccolta tanto più l’erba è ricca in proteine, povera in componenti fibrose (soprattutto in lignina), digeribile e ad alto valore nutritivo (Borreani e Coll., 2005). Nel caso delle graminacee il momento ottimale per effettuare lo sfalcio coincide con l’inizio e la metà della spigatura; per le leguminose con l’emissione dei bottoni fiorali.

In tabella 1 è riportato, a titolo di esempio, il valore nutritivo della loiessa in funzione dello stadio di sviluppo vegetativo. Come si può notare al progredire della maturazione corrisponde una riduzione della qualità in termini di minore contenuto energetico e proteico del foraggio. L’aumento di ADF (Fibra Acido Detersa) è indice di un incremento di fibre meno digeribili e di lignina.

Tabella 1. Composizione e valore nutritivo della loiessa in funzione dello stadio di sviluppo (C.R.P.A., 2005).

Stadio

vegetativo Sostanza secca (%)

Proteina grezza (%s.s.) ADF (%s.s.) UFL/kg di s.s. Prespigatura 16,4 11,2 25,7 0,90 Inizio spigatura 16,5 10,5 26,5 0,87 Inizio fioritura 24,0 7,0 32,2 0,73 Primo ricaccio (5 settimane) 17,4 16,1 29,1 0,83

UFL: Unità Foraggere Latte; ADF: Fibra Acido Detersa; s.s.: Sostanza Secca.

Un’utilizzazione troppo precoce da un lato consente di ottenere un maggiore contenuto in unità foraggere e proteine per tonnellata di sostanza secca ma dall’altro determina una minore produzione di sostanza secca per ettaro e una minore durata della coltura. Al contrario un’utilizzazione tardiva permette di ottenere una maggiore produzione di sostanza secca per ettaro ma il foraggio avrà un contenuto minore in principi nutritivi una minore digeribilità. È fondamentale quindi sottolineare che l’aumento di produzione di sostanza secca che si ha con il taglio tardivo non compensa lo scadimento qualitativo che si ha col procedere della maturazione (C.R.P.A., 2005).

Occorre inoltre precisare che, al fine di non compromettere la durata del prato, è opportuno eseguire gli sfalci ad intervalli regolari di circa 35 giorni (da 30 a 40 giorni). Tagli troppo frequenti non permettono alla pianta di accumulare sufficienti riserve radicali indebolendola; tagli tardivi oltre allo scadimento qualitativo già visto determinano l’asporto dei ricacci basali e quindi l’indebolimento del cotico erboso. Infine sfalci anticipati riducono l’incidenza del primo taglio, che di norma è il più rappresentativo in termini di quantità, sulla produzione annua (Borreani e coll., 2005) consentendo di eseguire più tagli ed in periodi dell’anno in cui il rischio di precipitazioni è inferiore. Infatti un anticipo del primo taglio alla prima metà di maggio alle quote inferiori agli 800 m s.l.m. permette di ottenere altri due tagli a fieno e un ricaccio pascolabile in autunno (Borreani e coll., 2005). Di norma invece, senza l’anticipo del primo taglio, in assenza di irrigazione ed in particolare nelle zone marginali di collina e di montagna il 70-80% della produzione prativa annuale è data dal primo taglio (C.R.P.A., 2005), con punte del 100% al di sopra dei 1400 m di quota (Borreani e coll., 2005). Nel prato di pianura irriguo tale percentuale scende a valori del 40-50% (C.R.P.A., 2005). I tagli successivi al primo presentano inoltre valori nutrizionali superiori sia in termini di proteina che di energia. Ciò è da attribuire all’evoluzione della composizione botanica delle cotiche e alla fisiologia di crescita delle graminacee. Nel primo taglio tendono a prevalere le graminacee che svolgono il ciclo riproduttivo con produzione di elevate quantità di sostanza secca, ma con forte scadimento qualitativo soprattutto dopo l’inizio della fase di spigatura. Gli sfalci estivi sono caratterizzati da un aumento del contributo specifico delle leguminose, che arricchisce il tenore proteico del foraggio. Un ulteriore miglioramento della qualità si verifica anche grazie alle graminacee che generalmente non sono rifiorenti e quindi sono più fogliose (Borreani e coll., 2005).

Anticipare i tagli per ottenere una maggiore qualità presenta però anche alcuni svantaggi, tra cui l’aumento della permanenza del foraggio in campo dovuto ad un maggiore contenuto di acqua dell’erba ed in particolare il rischio di prendere pioggia durante l’essicazione.

Quest’ultimo problema può compromettere anche di molto la qualità dei foraggi, determinandone un forte scadimento qualitativo.

CONGRESSO NAZIONALEXXII

S.I.P.A.O.C.

CUNEO

13 - 16 settembre 2016

LA FORAGGICOLTURA NELL'ALLEVAMENTO OVINO E CAPRINO: ASPETTI

GESTIONALI, RICADUTE ECONOMICHE E INFLUENZA SULLE PRODUZIONI

L. GAGLIARDO Cargill S.r.l.

Parole chiave: qualità dei foraggi, taglio anticipato, foraggi fasciati, piccoli ruminanti. INTRODUZIONE

I foraggi costituiscono la base alimentare dei ruminanti. Essi rivestono il duplice ruolo di apportare principi nutritivi quali proteine, carboidrati, minerali e vitamine e di fornire all’animale fibra avente una struttura, per dimensioni e caratteristiche, indispensabile ad assicurare le funzioni motorie e fermentative del rumine. I foraggi, dal punto di vista analitico, sono costituiti prevalentemente da componenti fibrose il cui contenuto, espresso come NDF (Fibra Neutro Detersa), varia in genere dal 30 all’80%. La fibra rappresenta l’insieme dei costituenti della parete della cellula vegetale quali cellulose, emicellulose, pectine e lignina. All’interno della cellula è presente il contenuto cellulare costituito da acqua, zuccheri, amido, lipidi, aminoacidi e proteine. Le sostanze del contenuto cellulare sono notoriamente caratterizzate da minimo ingombro ed elevata digeribilità, al contrario la fibra è degradata dai batteri ruminali in tempi più lunghi da cui l’effetto di ingombro e a cui l’animale può ovviare unicamente attraverso la masticazione e la ruminazione (Righi e coll., 2012).

La fibra può essere divisa in quattro frazioni in base alla sua degradabilità: non degradabile, potenzialmente degradabile, lentamente degradata (2-3% all’ora) e rapidamente degradata (1- 15% all’ora). Più è elevata la quota di fibra degradabile fornita all’animale e più veloci saranno i processi digestivi. Pertanto il rumine si svuoterà più rapidamente consentendo un aumento di ingestione di sostanza secca da parte dell’animale (Bartolini, 2013). La degradabilità dell’NDF dipende da diversi fattori e può risultare molto variabile; essa non è chimicamente costante nelle diverse materie prime e nei foraggi. I suoi costituenti chimici, ovvero l’emicellulosa, la cellulosa e la lignina in ordine decrescente di degradabilità, possono trovarsi al suo interno in diverse proporzioni. Inoltre possono creare tra loro legami più o meno stabili e difficili da rompere. In generale l’invecchiamento dei tessuti vegetali, soprattutto in presenza di elevata disponibilità di acqua, luce e calore, comporta un aumento del contenuto di lignina e un consolidamento del suo legame con l’emicellulosa, a scapito della degradabilità della fibra (la lignina è sostanzialmente indigeribile). Tale fenomeno è particolarmente evidente nei foraggi (Righi e coll., 2012).

Anche nell’allevamento ovicaprino, cosi come per le vacche da latte, sono state selezionate, nel corso degli anni, razze con grandi capacità produttive. Questi animali presentano però elevati fabbisogni nutrizionali non più soddisfabili solo con l’utilizzo di foraggi o con il pascolo.

Per i livelli produttivi più elevati l’impiego dei concentrati diviene indispensabile per fornire un’adeguata supplementazione proteica, minerale e vitaminica e, soprattutto, energetica. Infatti l’ingestione di energia è il fattore alimentare che maggiormente influenza la produzione lattea. Molto importante è anche la qualità dei foraggi utilizzati: peggiore è la loro qualità maggiore è la necessità di ricorre a forti quantità di concentrati e questo può comportare il rischio di dismetabolie per gli animali, oltre che aumentare il costo della razione. È quindi fondamentale scegliere il tipo di foraggio e valutarne attentamente la qualità soprattutto nel caso si debba ricorrere al mercato per l’approvvigionamento (AA.VV., 2005). Per ottenere foraggi di qualità è indispensabile che la raccolta e l’utilizzazione siano effettuate al giusto stadio di maturazione. La scelta di un determinato calendario di raccolta si ripercuote in maniera importante sia sulle rese, sia sulle caratteristiche nutritive del foraggio, sia sulla durata del prato (C.R.P.A., 2005). Quanto più precoce è la raccolta tanto più l’erba è ricca in proteine, povera in componenti fibrose (soprattutto in lignina), digeribile e ad alto valore nutritivo (Borreani e Coll., 2005). Nel caso delle graminacee il momento ottimale per effettuare lo sfalcio coincide con l’inizio e la metà della spigatura; per le leguminose con l’emissione dei bottoni fiorali.

In tabella 1 è riportato, a titolo di esempio, il valore nutritivo della loiessa in funzione dello stadio di sviluppo vegetativo. Come si può notare al progredire della maturazione corrisponde una riduzione della qualità in termini di minore contenuto energetico e proteico del foraggio. L’aumento di ADF (Fibra Acido Detersa) è indice di un incremento di fibre meno digeribili e di lignina.

Tabella 1. Composizione e valore nutritivo della loiessa in funzione dello stadio di sviluppo (C.R.P.A., 2005).

Stadio

vegetativo Sostanza secca (%)

Proteina grezza (%s.s.) ADF (%s.s.) UFL/kg di s.s. Prespigatura 16,4 11,2 25,7 0,90 Inizio spigatura 16,5 10,5 26,5 0,87 Inizio fioritura 24,0 7,0 32,2 0,73 Primo ricaccio (5 settimane) 17,4 16,1 29,1 0,83

UFL: Unità Foraggere Latte; ADF: Fibra Acido Detersa; s.s.: Sostanza Secca.

Un’utilizzazione troppo precoce da un lato consente di ottenere un maggiore contenuto in unità foraggere e proteine per tonnellata di sostanza secca ma dall’altro determina una minore produzione di sostanza secca per ettaro e una minore durata della coltura. Al contrario un’utilizzazione tardiva permette di ottenere una maggiore produzione di sostanza secca per ettaro ma il foraggio avrà un contenuto minore in principi nutritivi una minore digeribilità. È fondamentale quindi sottolineare che l’aumento di produzione di sostanza secca che si ha con il taglio tardivo non compensa lo scadimento qualitativo che si ha col procedere della maturazione (C.R.P.A., 2005).

Occorre inoltre precisare che, al fine di non compromettere la durata del prato, è opportuno eseguire gli sfalci ad intervalli regolari di circa 35 giorni (da 30 a 40 giorni). Tagli troppo frequenti non permettono alla pianta di accumulare sufficienti riserve radicali indebolendola; tagli tardivi oltre allo scadimento qualitativo già visto determinano l’asporto dei ricacci basali e quindi l’indebolimento del cotico erboso. Infine sfalci anticipati riducono l’incidenza del primo taglio, che di norma è il più rappresentativo in termini di quantità, sulla produzione annua (Borreani e coll., 2005) consentendo di eseguire più tagli ed in periodi dell’anno in cui il rischio di precipitazioni è inferiore. Infatti un anticipo del primo taglio alla prima metà di maggio alle quote inferiori agli 800 m s.l.m. permette di ottenere altri due tagli a fieno e un ricaccio pascolabile in autunno (Borreani e coll., 2005). Di norma invece, senza l’anticipo del primo taglio, in assenza di irrigazione ed in particolare nelle zone marginali di collina e di montagna il 70-80% della produzione prativa annuale è data dal primo taglio (C.R.P.A., 2005), con punte del 100% al di sopra dei 1400 m di quota (Borreani e coll., 2005). Nel prato di pianura irriguo tale percentuale scende a valori del 40-50% (C.R.P.A., 2005). I tagli successivi al primo presentano inoltre valori nutrizionali superiori sia in termini di proteina che di energia. Ciò è da attribuire all’evoluzione della composizione botanica delle cotiche e alla fisiologia di crescita delle graminacee. Nel primo taglio tendono a prevalere le graminacee che svolgono il ciclo riproduttivo con produzione di elevate quantità di sostanza secca, ma con forte scadimento qualitativo soprattutto dopo l’inizio della fase di spigatura. Gli sfalci estivi sono caratterizzati da un aumento del contributo specifico delle leguminose, che arricchisce il tenore proteico del foraggio. Un ulteriore miglioramento della qualità si verifica anche grazie alle graminacee che generalmente non sono rifiorenti e quindi sono più fogliose (Borreani e coll., 2005).

Anticipare i tagli per ottenere una maggiore qualità presenta però anche alcuni svantaggi, tra cui l’aumento della permanenza del foraggio in campo dovuto ad un maggiore contenuto di acqua dell’erba ed in particolare il rischio di prendere pioggia durante l’essicazione.

Quest’ultimo problema può compromettere anche di molto la qualità dei foraggi, determinandone un forte scadimento qualitativo.

È dimostrato infatti che con la fienagione tradizionale anticipare il taglio non porta ad ottenere valori superiori in termini di qualità rispetto a tagli effettuati in epoche più tardive. L’anticipo invece presenta vantaggi qualitativi solo se abbinato a tecniche quali l’essicazione in due tempi (Borreani e coll., 2005) o l’insilamento (C.R.P.A., 2005).

L’insilamento permette inoltre di ridurre le perdite in campo, contenendole nel complesso al di sotto del 10% della sostanza secca totale, con la fienagione tradizionale al contrario tali valori possono arrivare al 20-25% (Tabacco e coll., 2004). Nel caso si applichi la tecnica dell’insilamento è importante ricordare che i foraggi devono comunque essere pre-appassiti prima della raccolta. L’umidità dell’erba verde, che è molto elevata (85-90%), deve essere portata al 35-55%. Valori superiori espongono il prodotto a fermentazioni anomale con degradazione proteica e putrefazione del foraggio, valori inferiori rendono difficoltosa la pressatura al momento della raccolta, facendo residuare aria in eccesso e predisponendo così la formazione di muffe (Rumi, 2015).

UTILIZZO DI FORAGGI INSILATI NELL’ALIMENTAZIONE DEGLI OVICAPRINI

Nell’allevamento ovicaprino è possibile impiegare foraggi insilati nelle razioni, tenendo conto però che questi animali si differenziano dai bovini per alcuni aspetti. Essi infatti, e la capra in particolare, presentano una spiccata capacità di selezione degli alimenti, una difficoltà ad accettare nuovi alimenti e una refrattarietà alla monotonia della composizione foraggera della razione. In pratica ciò determina la necessità di massimizzare la qualità dei foraggi per ridurre gli scarti in mangiatoia e di variare la tipologia di foraggi impiegati in razione, suddividendo la loro somministrazione in più pasti giornalieri. Ecco quindi che una buona base foraggera deve prevedere l’utilizzo, insieme a fieni di primo taglio quasi sempre aziendali e di medio-basso livello nutrizionale, di fieni di secondo taglio di buona qualità e di fieni di medica di terzo taglio con elevata fogliosità e steli sottili, fondamentali per ottenere buone produzioni di latte. Per quanto riguarda i foraggi insilati la capra tende ad assumere meno questi prodotti rispetto ai fieni ma, in particolare, l’appetibilità è tanto minore quanto è maggiore la loro umidità. Infine gli ovicaprini sono molto più sensibili, rispetto ai bovini, alla scarsa qualità dei foraggi in generale e degli insilati in particolare e la presenza di muffe e di terra determina non solo cali produttivi ma anche l’insorgenza di patologie gravi (Bruni e Zanatta, 2009). Come si è visto in precedenza per evitare la formazione di muffe è utile pre-appassire il foraggio mentre, per ridurre il contenuto di terra, è opportuno adottare alcuni accorgimenti durante le operazioni di fienagione.

L’inquinamento da terra avviene principalmente durante lo sfalcio, ma anche con il rivoltamento, l’andanatura e la raccolta del prodotto. Il taglio va quindi effettuato ad una certa altezza dal suolo (8-10 cm) scartando la parte inferiore della pianta che sicuramente è

andata incontro a fenomeni di inquinamento da terra e di deterioramento. Una maggiore altezza del cotico erboso limita i possibili imbrattamenti, anche durante le operazioni meccaniche successive. Inoltre uno sfalcio ad altezza superiore consente di lasciare in campo la parte dello stelo composta prevalentemente da fibra indigeribile; la piccola diminuzione produttiva che si ha con tale tecnica è ampiamente compensata dalla migliore qualità del foraggio ottenibile. Infine il taglio ad altezza maggiore favorisce un migliore ricaccio poiché non danneggia la parte basale delle piante e permette una più rapida ed uniforme essicazione anche negli strati inferiori, dato che il sollevamento del foraggio favorisce l’areazione (Rumi, 2015).

RAZIONAMENTO CON FORAGGI INSILATI IN UN’AZIENDA DI CAPRE DA LATTE

In tabella 2 è riportato un confronto fra due razioni utilizzate in una stalla di capre da latte piemontese. La prima prevede l’utilizzo di medica essiccata in due tempi (tramite ventilazione) acquistata (19,1% P.G. e 38,5% NDF sulla s.s.) e medica fasciata in balloni autoprodotta in azienda (19% di P.G. e 39,1% di NDF sulla s.s.), oltre a fieno di prato stabile di primo (7% di P.G. e 57% di NDF sulla s.s.) e terzo taglio (13,2% di P.G. e 44,9% di NDF sulla s.s.). La seconda razione era impiegata prima dell’introduzione in azienda della tecnica di conservazione tramite fasciatura dell’erba. Essa non prevede l’utilizzo di medica in quanto durante quell’annata il foraggio, che era regolarmente acquistato, aveva raggiunto costi molto elevati e pertanto si era deciso di ricorrere a prodotti locali ed in parte aziendali con in più un fieno di secondo taglio (11,1% di P.G. e 59% di NDF sulla s.s.). In entrambe le razioni si è utilizzato un mangime del commercio come unico concentrato per semplificare le operazioni aziendali (18,2% di P.G. e 1 UFL/kg di s.s.). Il mangime è distribuito in tre pasti giornalieri (durante le due lattazioni e a metà mattinata in greppia). I foraggi sono distribuiti tre volte al giorno in greppia.

Osservando la tabella si nota come l’utilizzo di medica ha portato alcuni vantaggi: il più evidente è la riduzione del costo razione (- 0,10 €/capo/giorno) per il minore impiego di concentrato, che è la voce di maggiore costo della dieta. In secondo luogo, l’utilizzo di più mangime per sopperire al deficit proteico sbilancia il rapporto foraggi-concentrati a favore di questi ultimi. La dieta con medica ha un rapporto foraggi-concentrati di 50/50 circa, contro 40/60 circa della razione senza medica. Ciò rende la razione senza medica meno sicura aumentando possibili rischi di dismetabolie quali l’acidosi ruminale. Dal punto di vista della produzione di latte non è possibile fare confronti in quanto le due razioni si riferiscono ad annate diverse, si riporta solo che la produzione media senza medica era di circa 2,8-2,9 l/capo/giorno, mentre con la medica era di 3,1-3,2 l/capo/giorno. Questo potrebbe essere dovuto in parte anche al maggiore apporto di proteina e di fibre di migliore qualità.

Tabella 2. Confronto fra due razioni per capre da latte con e senza medica.

UFL: Unità Foraggere Latte; P.G.: Proteina Grezza; NDF: Fibra Neutro Detersa.

Ingredienti Con medica Senza medica

Mangime commerciale (kg/capo/die) 1,7 2,0

Medica essiccata (kg/capo/die) 0,5 -

Medica fasciato (kg/capo/die) 0,5 -

Fieno prato stabile 1° taglio (kg/capo/die) 0,5 0,1

Fieno prato stabile 2° taglio (kg/capo/die) - 0,7

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