Sulla storicità dei film narrativi del ventennio fascista
2. Il cinema durante il fascismo
2.2. Un medium moderno per il regime
Medium moderno per eccellenza, il cinema non a caso nasce assieme all’aero-plano altro simbolo della modernità, secondo la famosa endiadi (Il cinema,
l’ae-roplano) del primo capitolo del saggio di «antropologia sociologica», Il cinema o l’uomo immaginario di Edgar Morin:
Il secolo XIX che muore lascia in eredità due nuove macchine. Ambedue nascono quasi nella stessa data, quasi nel medesimo luogo, poi si lanciano simultaneamente per il mondo, riscoprono i continenti […] La prima attua finalmente il sogno più insensato che l’uomo abbia inseguito da quando guarda il cielo, staccarsi dalla terra […] Contempo-raneamente nasceva una macchina egualmente miracolosa: il prodigio non consisteva più, questa volta, nello slanciarsi verso gli aerei sopramondi […] ma nel riflettere la re-altà del quotidiano. L’occhio obbiettivo – e l’aggettivo aveva qui tal peso da diventare sostantivo – captava la vita per riprodurla: «stamparla» secondo il termine di Marcel L’Herbier.
Ma tutto ciò non basta. Il cinema, ben presto, ha oltrepassato il semplice dato meccanico, l’aspetto tecnico. «E il film si è lanciato, sempre più in alto, verso un cielo di sogno, verso l’infinito delle stelle – delle “stars” – bagnato di musica, po-polato di adorabili e demoniache presenze, lontano dal quotidiano di cui avreb-be dovuto essere – secondo ogni apparenza – il servitore e lo specchio»5.
Meraviglia scientifica capace di riprodurre la «realtà davanti a vostri occhi»
sulla scorta delle “ingenue” aspirazioni del positivismo ottocentesco, grande rac-conto, spettacolo di eccezionale suggestione, capace di parlare a tutti, di emo-zionare tutti, il cinema si presenta ai regimi nascenti del primo dopoguerra no-vecentesco come un eccezionale strumento di propaganda. Mussolini fondatore dei fascismi del XX secolo lo capisce molto in fretta. Ma non si tratta di semplice propaganda. Il cinema rappresenta qualcosa di più profondo. Come traspare dal citato Vincere di Bellocchio, contribuisce alla modernizzazione del Paese già mostrando se stesso. Nel medesimo senso cresce e prospera negli ambienti ur-bani, anche se capace al contempo di rappresentare la campagna: “stracittadi-no” ma in grado di esibirsi come “strapaesa“stracittadi-no”. Costituisce pure una importante fonte di informazione che può essere facilmente orientata a fini educativi. Non basta. Straordinaria «macchina del tempo» in grado di mostrare il presente, il passato (forse il futuro), offre al fascismo una possibilità di legittimazione ulte-riore attraverso il genere storico che si volge al passato con l’intento di legitti-mare il presente: un argomento sui cui torneremo.
A Mussolini, che ha fatto il giornalista, non sfuggono le potenzialità del cine-ma e – al di là degli slogan perentori e bombastici come «La cinecine-matografia è l’arma più forte» a lui congeniali –, avvia una politica nei confronti del medium.
Ne elenchiamo qui di seguito, in modo sintetico, le tappe principali:
• 1925 Istituto Luce (Unione per la cinematografia educativa).
5 Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 25-6 (edizione originale 1956).
• 1926 Federazione nazionale fascista delle industrie dello spettacolo.
• 1932 Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
• 1934 direzione generale per la cinematografia all’interno del sottosegre-tariato per la stampa e la propaganda.
• 1935 Centro sperimentale di cinematografia; Enic (Ente nazionale indu-strie cinematografiche), ente di Stato per produzione, distribuzione ed esercizio; credito cinematografico; ministero per la stampa e la propa-ganda.
• 1937 Cinecittà; ministero della cultura popolare.
• 1938 Legge sul monopolio.
• 1942 Cines, ente a carattere eminente statale integrava la produzione con distribuzione ed esercizio.
Ma il duce era sopratutto interessato ai cinegiornali che venivano abitual-mente presentati nelle sale prima del film narrativo. Su questi esercitava un con-trollo diretto. Se li faceva proiettare a Villa Torlonia, sua residenza, e a volte interveniva per ridurre il suo eccesso di presenza che avrebbe causato una so-vraesposizione, rovesciando l’effetto propagandistico voluto. Guardando i cine-giornali, che oggi fanno sorridere per la mimica “datata” di Mussolini, vien da pensare cosa sarebbe successo senza i tagli che lui introduceva. A quale invasio-ne del corpo del duce si sarebbe trovato di fronte il pubblico. Egli, tuttavia, non si limitava a ridurre ma aggiungeva, modificava: agiva da regista vero e proprio.
Una sintesi efficace della presenza del capo del regime nei cinegiornali si può trovare nel film Fascista (1974) di Nico Naldini, realizzato montando «documenti originali dell’istituto Luce dalla marcia su Roma alla seconda guerra mondiale»
e mescolando al sonoro originale un commento storico letto dallo scrittore Gior-gio Bassani. Per il resto i film del Luce mostravano le imprese e le realizzazioni del fascismo e i gerarchi all’opera. Con queste consegne, è naturale che venisse completamente obliterata la cronaca nera e apparisse un paese felice e pacifi-cato ovviamente dal nuovo regime.
Se interveniva direttamente nel settore documentario e cinegiornalistico, il fascismo non arrivò mai a concepire e realizzare una cinematografia di Stato, come accadde in Germania oppure in Unione Sovietica. Certo ci furono enti pub-blici, l’abbiamo visto nell’elenco proposto poc’anzi, e conseguenti interventi sta-tali, per esempio con Scipione l’africano (1937) di Carmine Gallone, prodotto dal Consorzio Scipione dietro al quale stavano l’Enic e il Luce che garantirono il son-tuoso bilancio di 10 milioni di Lire. Ci fu pure chi accarezzò l’idea di un cinema statale. Per esempio dalle “memorie”di Luigi Freddi6, che fu direttore generale per la cinematografia, scaturisce la necessità dell’intervento dello Stato (ne
ab-6 Il cinema, Roma, L’Arnia, 1949.
biamo visto poc’anzi i punti salienti), fino all’affermazione di una cinematografia statale. Non solo. Freddi, che conosceva bene il cinema americano, l’aveva preso come modello: un medium spettacolare per indurre nelle masse un sempre più ampio consenso al regime. Ma in generale l’iniziativa privata venne salvaguar-data nella cornice, ovviamente, della censura e dell’autocensura. Il governo si preoccupò soprattutto di garantire le condizioni dello sviluppo di un’industria cinematografica che verso la fine degli anni Trenta raggiunse significati livelli di quantità e qualità.
Quale sia stata la ragione di tale scelta non è facile dire. Certo è molto più agevole e assai meno costoso realizzare cinegiornali. Non solo: il loro “messag-gio” è più chiaro, semplice e diretto verso l’obiettivo, costituito da fasce assai ampie di popolazione che affluiscono, non lo si dimentichi, al più grande spetta-colo di massa del ventennio. Anche se, per la costruzione del consenso, i film di finzione risultano più efficaci. Perché trasmettono, sotto la veste narrativa, idee, valori, credenze... nelle coscienze di spettatori “indifesi”, laddove i cinegiornali in qualche modo fanno trasparire un tentativo di indottrinamento che induce il pubblico ad alzare la guardia: nessuno ama essere catechizzato. C’è un altro aspetto. Soggettivo. Mussolini era un giornalista della carta stampata e forse rifletteva questa sua formazione negli audiovisivi. Ma in fondo la ragione più semplice e probabile del suo comportamento sta nel dominio del capitalismo. Il duce – al quale non credo sfuggisse la maggior capacità propagandistica della fiction, proprio perché, come s’è detto, indiretta, subliminale – non voleva sot-trarre profitti, in un settore ancora assai vantaggioso, all’industria privata.