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(1459-1546). – 3.4. La formazione dei notai trentini attraverso le forme dei documenti. 3.4.1 Il metodo. – 3.4.2 Le publicationes. – 3.4.3 Il negotii tenor. – 3.4.4. Conclusioni.

3.1. La formazione dei notai nel Medioevo.

Fra i temi più rilevanti nella ricostruzione della biografia di un notaio c’è quello attin- tente alla formazione; questione di rilievo, ma quanto mai complessa per l’assenza, nella mag- gior parte dei casi, di fonti dirette che consentano di ripercorrere le tappe di accesso alla profes- sione per buona parte del medioevo.

Il tema diviene ancor più incerto laddove si tenti di mettere in luce il percorso formati- vo del protagonista di questa ricerca, il notaio Antonio da Borgonuovo, vuoi per la quasi totale assenza di informazioni nella documentazione coeva vuoi per la quasi parallela carenza di noti- zie su sistemi e modalità di accesso alla professione nella città di Trento e nel suo episcopato almeno fino alla metà del Quattrocento. È infatti soltanto ad un consolidamento del collegio notarile della città vescovile, fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del XV secolo, che corri- spose la parallela redazione di verbalizzazioni scritte relative all’ingresso di nuovi membri nel collegio, con particolare attenzione all’apprendistato e alla formazione dei futuri notai1.

Prima di addentrarci in maniera più approfondita nel tentativo di ricostruire il percorso formativo dei notai trentini di età basso medievale, sarà tuttavia necessario ampliare l’orizzonte di questa ricerca alle tappe seguite dai notai di altre città dell’Italia centro-settentrionale che, come vedremo, mostrano fra loro importanti elementi di similarità.

Ci serviremo, per questa breve sintesi, di una serie di importanti studi che, avvalendosi delle norme statutarie emanate dai collegi notarili locali e della stessa documentazione redatta dai notai, hanno messo in luce le procedure di formazione e accesso alla professione2. Fra i primi ad occuparsi della formazione dei notai medievali vi fu, nel 1970, il paleografo e diploma- tista Giorgio Costamagna il quale, in un importante studio relativo al notariato genovese, ha de-

1 Si veda, in merito, quanto riassunto in G.M.VARANINI, Il Collegio notarile di Trento, pp. 483-513.

2 Ci farà da guida attraverso questo percorso nei notariati di varie città dell’Italia centro-settentrionale il saggio di G.

TAMBA, Formazione professionale del notaio senza dimenticare i riferimenti contenuti nel ‘classico’ P. TORELLI, Studi e ricer-

che di diplomatica comunale, su cui D. PUNCUH, La diplomatica comunale in Italia dal saggio del Torelli ai nostri giorni, pp. 383- 406.

dicato un capitolo specifico alla preparazione professionale del notaio ligure3. Mettendo in luce la quasi totale assenza di notizie soprattutto fino al XII secolo, Costamagna ricondusse la for- mazione dei primi notai genovesi redattori di instrumenta ad un percorso che prevedeva anzitutto la frequentazione di scuole di grammatica e, successivamente, una più specifica preparazione presso la statio di un notaio più anziano4. In particolare, anche dopo l’affermarsi dello Studium bolognese, l’aspirante notaio genovese si formò nella maggior parte dei casi presso la ‘scuola’ di un collega, pur non mancando di tenersi aggiornato attraverso le più note opere dei doctores bo- lognesi di XIII secolo, come sembrano attestare sia la presenza di importanti opere giuridiche nelle biblioteche dei notai genovesi di inizio Duecento sia l’analisi dei formulari nei documenti da loro redatti. In particolare, l’esame sui cartulari dei notai dell’epoca ha fatto emergere, a parti- re dalla metà del Duecento, la presenza di formulari di derivazione probabilmente bolognese, fenomeno che Giorgio Costamagna ha correlato all’arrivo nella città ligure di numerosi giudici e notai che, o per ragioni anagrafiche o per motivi di studio, avevano avuto dei contatti con Bo- logna ed il suo Studium5. Tuttavia, soltanto a partire dalla seconda metà del Trecento, la docu- mentazione genovese conservata mostra chiaramente l’adesione, da parte dei notai locali, a nuovi modelli che hanno come base il formulario del bolognese Rolandino Passeggeri, pur mantenendo l’instrumentum genovese qualche carattere di tipicità6. Sia le clausole che si susse- guono nei vari documenti negoziali sia la loro sequenza tradiscono infatti l’impiego, da parte della larga maggioranza dei notai genovesi, di formule di matrice ‘rolandiniana’7.

Nonostante un’indubbia ‘impronta’ bolognese nella documentazione di XIV e XV se- colo, come sottolinea Giorgio Costamagna, «non risulta [...] che il notaio vada a studiare a Bo- logna, mentre frequentano lo “studio” quelli che diverranno i “legum doctores”»8. Ed è proprio il diverso percorso formativo che distingue, in modo sempre più evidente, lo iudex genovese, per il quale si richiede la frequenza obbligatoria di uno Studium per almeno cinque anni, dal no- taio al quale null’altro si raccomanda se non una solida conoscenza della lingua latina, il che lo porta ad essere assimilato ad un magister grammaticae piuttosto che ad un esperto di diritto.

La situazione non sembra essere mutata nella seconda metà del XV secolo se è vero che, ancora nel 1462, lo Statuto cittadino non fa alcun cenno alla frequentazione di uno Studio da parte dei notai che vogliano esercitare a Genova; ancora una volta, è la conoscenza in gram-

maticalibus l’unico prerequisito per l’aspirante professionista della scrittura; alle commissioni de-

putate ad esaminare i candidati si richiede piuttosto che «interrogent super grammaticalibus, su-

3 G.COSTAMAGNA, Il notaio a Genova; per la formazione dei notai genovesi si vedano in particolare le pp. 99-121. 4 Ibidem, p. 101.

5 Ibidem, p. 104.

6 Ad esempio, la data viene posta quasi sempre in escatocollo anziché nel protocollo (cfr. in merito L.SINISI, Formula-

ri e cultura giuridica notarile, p. 96 e, in particolare, la nota n. 19).

7 Non sono ad oggi noti formulari relativi all’area genovese per i secoli XIV e XV (cfr. L.SINISI, Formulari e cultura

giuridica notarile, pp. 96-97).

per contractibus et publicis instrumentis, super ultimis voluntatibus et iuditiorum actis»9. Pochi anni più tardi, nel 1480, il giurista comasco Giovanni Cane, riprendendo Bartolo da Sassoferra- to, non mancherà di ricordare come spetti al giurista conoscere le leggi ed i canoni, mentre sia compito del notaio avere pratica di ‘forma’ dei contratti, testamenti ed atti giudiziari:

Bartolus [...] temperat ut non exigatur scientia exquisita qualis esse debet in iureconsulto vel alio doctore sed sufficit si scient tantum quantum de singulis continetur in Summa Rolandini, apparatu notularum et Flore ac aliis libris ipsorum notariorum10.

Una tale formazione, di natura eminentemente tecnico-pratica, portò in molti casi ad accedere alla professione personaggi quasi del tutto privi della necessaria preparazione giuridica, i quali applicavano meccanicamente le formule imparate presso il ‘notaio-maestro’, ma rivelan- dosi spesso incapaci di comprendere fino in fondo il significato della terminologia tecnico- giuridica che ad esse stava sottesa11.

Simile al caso genovese è la situazione che Corrado Pecorella delinea per la città di Pia- cenza12, laddove un importante documento del 1278 descrive piuttosto dettagliatamente il per- corso formativo che l’aspirante notaio era tenuto a seguire. Anzitutto c’era l’investitura da parte dell’autorità, l’imperatore ma più frequentemente un suo delegato. Ricevuta la nomina a pubbli- co notaio, il candidato doveva presentarsi presso il collegio notarile facendo formale richiesta di ammissione. Dopo aver superato l’esame davanti ai venticinque sapientes incaricati di giudicare, il notaio idoneo poteva esercitare la professione, non prima però di aver compiuto un periodo di cinque anni alle dipendenze di un professionista più anziano «ad adiscendum officium sive ar- tem notariorum et facere et complere omnem scripturam et omne instrumentum»13. Trascorso il periodo di formazione presso il magister notarius il candidato si ripresentava al cospetto del col- legio dove veniva sottoposto a nuovo esame. Ancora una volta, come nel caso genovese, sem- bra essere la grammatica, ossia la conoscenza del latino, la maggiore preoccupazione per gli esaminatori, mentre alla valutazione della tecnica del notariato si prestava un’attenzione più marginale14. Inoltre, pur essendo presente a Piacenza uno Studium almeno dalla seconda metà del Duecento, non sembra che la maggior parte dei notai locali vi abbia frequentato dei corsi; ciò è rilevabile sia dalle loro stesse sottoscrizioni (nessuno fra i circa cento notai duecenteschi

9 D.PUNCUH, Gli statuti del Collegio dei notai genovesi, p. 27.

10ROLANDINI PASSAGGERII, Summa totius artis notariae, t. III, c. 100 a. Costamagna ricorda, tuttavia, come non manchi-

no, seppur in numero contenuto, i notai genovesi che si formarono presso gli Studia dell’epoca, tanto più che a quel tempo la città era ancora priva di un suo Studio generale (cfr.G.COSTAMAGNA, Il notaio a Genova, p. 110, in particola- re la nota n. 44). Risale al 1471 la concessione da parte del papa Sisto IV ai reggitori della città della «facultas dotto- randi».

11 Ricorda infatti Lorenzo Sinisi: «Un tale sistema, che era poi in definitiva il più diffuso, aveva l’inconveniente di ba-

sarsi esclusivamente sulla disponibilità del maestro che, il più delle volte, non aveva né il tempo né la volontà (e spes- so neanche la capacità) di insegnare all’allievo quelle poche cognizioni legali di cui si era in qualche modo impadroni- to» (L.SINISI, Formulari e cultura giuridica notarile, p. 169).

12 C.PECORELLA, Studi sul notariato a Piacenza.

13 Durante questo periodo il giovane notaio, che doveva aver compiuto i 25 anni di età, si impegnava a versare al

maestro la metà dei guadagni. C.PECORELLA, Studi sul notariato a Piacenza, p. 152.

14 «Gli statuti avvertono, infatti, espressamente che i candidati dovranno essere esaminati sulla loro conoscenza

dell’arte grammatica, cioè sulla loro capacità di stendere atti in un corretto latino» (C.PECORELLA, Studi sul notariato a

presenta il titolo di doctor), sia per la qualità della documentazione rogata, che tradisce una scarsa conoscenza del diritto e del formulario adottato.

Quasi pienamente sovrapponibile all’esempio Piacentino è quello relativo alla città di Bergamo15; gli statuti compilati fra il 1264 e il 1281 consentono di ricostruire l’iter formativo cui erano sottoposti i notai della città. Il giovane professionista, dopo l’usuale rilascio del privilegio da parte del conte palatino, si recava presso il collegio notarile cittadino per sostenere l’esame di lingua latina (in «scriptura et litteratura») che si presumeva acquisita presso le scuole di gramma- tica presenti in città. Superato l’esame in grammaticalibus il candidato pagava la tassa di ammissio- ne al collegio e, dopo aver prestato giuramento e trascritto la propria sottoscrizione ed il pro- prio signum in un apposito registro, poteva iniziare il processo di apprendimento dell’arte presso un notaio di fiducia che fungesse da maestro.

In parte più articolato era invece il sistema adottato dal collegio notarile di Como16. Gli statuti trecenteschi della città lariana stabilirono con una certa precisione il percorso da seguire per esercitare la professione notarile. Anzitutto si richiedeva il privilegio rilasciato dall’autorità imperiale (spesso per mezzo di un conte palatino) o pontificia. L’iscrizione al collegio notarile di Como avveniva in seguito al superamento di uno specifico esame che andava sostenuto dopo dieci anni dall’ottenimento del privilegio di tabellionato. Durante questo lungo periodo l’aspirante notaio acquisiva una serie di nozioni necessarie per esercitare l’arte; in primo luogo era necessario un insegnamento primario che veniva impartito nelle diverse scole, già presenti dal Duecento in numerosi centri della diocesi lariana17. In assenza di una normativa specifica per l’area concernente il periodo di apprendistato del giovane notaio, ci pare utile richiamare gli sta- tuti del vicino collegio dei notai di Lugano che definiscono in questi termini modalità e tempi del ‘praticantato’:

Norit (sic) is primo gramaticam ita ut scripturas recte percipiat, seligat deinde ex notariis aliquem huiusve artis gravum cuius discipline tres annos nullo temporis intervallo interuptos, sed prorsus continuos, in tabellionatus exercitationem sese tradet. Cum autem in hanc curam incumbere ceperit, suum nomen a cancellario in collegii librum inferri curabit, tum vero transactis duobus primis annis, si libuerit, in collegii conspectum se constituet, sue etatis testimonium secum defferens, quo se vigessimum secundum annum attigisse probet, ac demisse postulans ut trieno elapso notariorum cattalogo adscribatur18.

La conoscenza della grammatica, ovvero «necessaria pro gramaticha ad artem nota- rie»19, era infatti condizione imprescindibile per l’accesso alla professione. Successivamente il giovane apprendista continuava la propria formazione presso un notaio più esperto20, il quale spesso predisponeva formulari compilati allo scopo, raccogliendo documentazione rogata dai

15 G.SCARAZZINI, Statuti notarili di Bergamo. 16 M.L.MANGINI, Il notariato a Como.

17 Dal XIV secolo numerosi comuni si incaricarono di finanziare, almeno in parte, le spese per le scuole cittadine (cfr.

M.L.MANGINI, Il notariato a Como, pp. 48-49).

18 E.MANGO TOMEI, Le fonti del diritto del cantone Ticino, pp. 402-403. 19 M.L.MANGINI, ‘Infrascripta sunt necessaria sciri pro gramaticha’. 20 Ibidem, p. 47.

notai locali21. Anche per la città di Como, dunque, la frequenza di specifici corsi giuridici presso gli Studia allora presenti non costituiva condizione imprescindibile per l’accesso alla professio- ne22.

Per molti aspetti simile al caso della città di Como è quello dei notai di Milano23, dove l’accesso alla professione prevedeva due distinti livelli: protonotarius e notarius laudatus ad omnia. Soltanto i notai dotati di questa seconda qualifica avevano il permesso di «tradere, rogare et omnia alia quae pertinent ad artem notarie facere»24; i protonotari non avevano invece la re- sponsabilità di rogare documenti, ovvero «possunt interesse pro secundis notariis instrumento- rum et ... non possunt rogare nec facere aliqua instrumenta [...] nec recipere testes»25. Ma ciò che in questa breve rassegna interessa maggiormente sono i requisiti richiesti per l’esercizio dell’arte e dunque per l’iscrizione alla matricola cittadina; ebbene, nel caso milanese sia gli statuti notarili del 1396, sia la nuova edizione degli stessi nel 1498, dispongono alla rubrica «De nota- riis examinandis antequam recipietur»26 che il giovane aspirante debba svolgere un biennio di pratica presso un notaio più anziano («expertus») che in seguito dovrà attestare l’effettiva fre- quenza del candidato. Fra i requisiti troviamo inoltre quello dell’età, non inferiore ai venti an- ni27. L’esame consisteva in un tema attraverso il quale il giovane notaio poteva dimostrare di re- digere imbreviature e «divulgare vulgariter contractum». In ultimo, la verifica della buona cono- scenza «in literatura et in scriptura».

Spostando ora la nostra attenzione verso le città venete, rileviamo come anche a Vene- zia, è ancora una volta l’apprendistato la prassi formativa più diffusa, tanto più per il fatto che la Repubblica non previde mai l’istituzione di vere e proprie scuole di ars notariae28. Ricorda infatti Maria Pia Pedani Fabris come «in mancanza di una scuola, erano i “cancelli”, i luoghi in cui a Venezia si imparava l’arte notarile. Certo, non tutti i notai in attività erano allievi coadiutori [...] ma a quelli con fama di ottimi insegnanti anche i colleghi inviavano i propri figli perché vi ap- prendessero l’arte»29. L’assenza a Venezia, come in altre città dell’Italia centro-settentrionale di specifiche scuole per la preparazione dei futuri tabellioni portò al fiorire di formulari ad uso dei notai, che in parte erano improntati sui più famosi trattati bolognesi di XIII secolo, in parte

21 Si veda, per la prima metà del XV secolo, il formulario prodotto a Como e oggetto di studio da parte di E.CA-

NOBBIO, «Quod cartularium mei est»; verosimilmente l’autore di questo formulario-cartulario utilizzò il deposito docu- mentario della curia vescovile di Como dal quale furono tratti i documenti-exempla. L’organizzazione della raccolta tradisce inoltre una probabile consultazione di altri formulari o artes notarie che, come dimostrato, non mancavano anche nel contesto lariano (cfr. p. 134 e, in particolare, la nota n. 58).

22 M.L.MANGINI, Il notariato a Como, p. 56. 23 A.LIVA, Notariato e documento notarile a Milano. 24 Ibidem, p. 140.

25 Ibidem, p. 141.

26 Statuti notarili 1396, ff. 85r-85v; Statuti notarili 1498, cap. CCCLIV (cit. in A.LIVA, Notariato e documento notarile a Mi-

lano, p. 146).

27 Per lo statuto del XIV secolo; accresciuti a ventidue nello statuto di fine Quattrocento.

28 G.TAMBA, Formazione professionale del notaio, p. 1282 e, più specifico su Venezia, M.P.PEDANI FABRIS, «Veneta aucto-

ritate notarius». Nel 1538 è attestato a Venezia un insegnamento di ars notariae ma è aperto esclusivamente ai membri della cancelleria dogale.

mostravano struttura e contenuto diversificati: siamo in presenza di vere e proprie raccolte di documenti, magari arricchiti da glosse e annotazioni, ad uso dei notai nell’esercizio delle loro funzioni, come nel caso di un formulario fiorentino della metà del Duecento edito e studiato da Silio Scalfati30, che potrebbe essere stato utilizzato dall’autore come strumento di insegnamento a notai-apprendisti31.

Non mancano, anche in area veneta, raccolte documentarie ascrivibili alla categoria dei formulari; il primo risale al 122332 ed è attribuibile alla mano del notaio magister Corradino. Co- stui compilò una raccolta di formule di atti notarili corredandola successivamente di «notulae doctrinales»33. Un secondo formulario fu redatto a Verona fra il 1246 e il 1253, probabilmente da parte del magister Ventura, figlio di Gerardo da San Floriano34. Una terza ‘raccolta’ di docu- menti, pure di XIII secolo, proviene invece dalla città di Belluno35 e viene definito dall’autore «breve opusculum [...] super arte tabellionatus ad utilitatem rudium sociorum de scolis venien- tium»36, indirizzato cioè a giovani apprendisti notai, ancora rudes, cioè privi dei necessari rudi- menti dell’arte notarile, ed appena usciti dalle locali scuole di grammatica. Parlando dei tre for- mulari veneti, Girolamo Arnaldi pone in rilievo il fatto che ci si trovi in presenza non tanto di «libri di testo [utilizzati] in una vera e propria scuola di notariato», ma piuttosto di «sussidi di un insegnamento individualizzato, impartito dal padre o da un collega più anziano»37.

Le procedure per l’ammissione al notariato che abbiamo precedentemente delineato per alcune città dell’Italia settentrionale tra XII ed inizio del XV secolo sono quasi parimenti riscontrabili anche nelle città marchigiane laddove, sulla base della documentazione conservata, Giorgio Tamba ha potuto ricostruire un percorso formativo basato sull’iniziale frequentazione di scuole plebane di grammatica, alle quali seguiva un più o meno lungo periodo di apprendi- mento della scrittura e del formulario presso un notaio già in attività38. Un significativo apporto al sistema formativo dei notai marchigiani si ebbe, tuttavia, nel corso del XIII secolo quando, per iniziativa di Martino del Cassero, nato a Fano nel 1190 e poi studente a Bologna, fu istituita nel 1232, proprio nella città natale, una scuola per la formazione giuridica di giovani scholares39. Strumento privilegiato per l’insegnamento fu una corposa (nella versione oggi nota) raccolta di atti di varia natura, ma specialmente giudiziari, nota con il nome di Formularium super contractibus

30 S.P.P.SCALFATI, Un formulario notarile fiorentino. 31 Ibidem, pp. 13-14.

32 M. ROBERTI, Un formulario inedito di un notaio padovano.

33 Il formulario oggi conservato è una copia del notaio padovano Ugerio ed è attualmente custodito nella biblioteca

del monastero benedettino di Admont in Stiria (cfr. G.ARNALDI, Scuole nella marca trevigiana e a Venezia, p. 370).

34 G.ARNALDI, Scuole nella marca trevigiana e a Venezia, p. 370; il formulario si conserva in un manoscritto marciano

(lat. XI, 92 [3828]) e in un manoscritto della Biblioteca comunale di Verona (n. 1323). Cfr. anche E.BESTA, Un formu-

lario notarile veronese.

35 Summa notariae Belluni composita, a cura di A.PALMIERI. 36 Ibidem, p. 353.

37 G.ARNALDI, Scuole nella marca trevigiana e a Venezia, pp. 370-371. Giorgio Tamba pone tuttavia l’accento sulla rac-

colta bellunese affermando che «il formulario di Belluno [...] ci pone di fronte, se non a una vera e propria scuola, almeno alla esigenza di una vera scuola» (G.TAMBA, Formazione professionale del notaio, p. 1279).

38 G.TAMBA,F.GIBBONI, La formazione e la lingua dei notai nelle Marche, p. 2. 39 Ibidem, p. 4.

et libellis40. Esso manifesta chiaramente la presenza a Fano, nel corso del Duecento, di una scuo- la di ars notariae, simile per certi aspetti a quelle presenti, in analogo scorcio d’anni, a Bologna, sede, almeno dalla metà del XII secolo, di una scuola, come corso all’interno dello Studium, per la formazione dei pubblici notai41.

Dedicheremo l’ultima parte di questo excursus proprio alla città di Bologna che, fra XII e XIII secolo, fu – come noto – la sede in cui il diritto romano giustinianeo fu applicato alla prassi42. Fra i più prolifici interpreti di questo ‘incontro’ fra ius commune e ius proprium vi furono proprio i notai, come testimoniano le numerose opere di ars notariae redatte fra il 1216 e il 1245: