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Tappe formative dei notai trentini attraverso i verbali dell’Almo collegio dei dottori e notai della

(1459-1546).

In assenza di ulteriori informazioni che consentano di chiarire il processo formativo dei giovani aspiranti notai trentini, si deve attendere la metà del Quattrocento per avere qualche da- to più preciso. Sebbene il Collegio notarile di Trento sia attestato nelle fonti dal 142595 e, in par- ticolare, l’intero capitolo 91 degli statuti masoviani riporti le norme statutarie della matricola96, soltanto dalla metà del XV secolo sono a disposizione le verbalizzazioni delle sedute del colle- gio dei notai e dei giudici di Trento, contenute nel manoscritto 4272 dell’Archivio storico del Comune di Trento97. Come sottolinea Gian Maria Varanini, infatti, il collegio dei notai di Tren- to non produsse un unico registro veicolante sia gli statuti, sia la matricola, cosicché ciò che troviamo fra le carte del manoscritto 4272 è un alternarsi continuo di verbali per l’ammissione al collegio, atti di ordinaria amministrazione e provvedimenti normativi98.

Ma ciò che, nella ricostruzione dell’iter formativo dei notai trentini, è per noi più inte- ressante è tutta quella serie di norme e verbalizzazioni concernenti le procedure di ammissione al collegio, dalle quali possiamo dedurre le modalità di apprendistato e formazione degli aspi- ranti tabellioni. Va sottolineato che ci troviamo ormai a quasi un secolo dagli anni in cui, pre- sumibilmente, si formò il notaio Antonio da Borgonuovo; sarebbe dunque scorretto applicare il

modus operandi in uso nella seconda metà del Quattrocento a quello, oggi sconosciuto, della se-

conda metà del Trecento. Nonostante ciò, vista la quasi totale assenza di informazioni per il se- colo precedente, siamo costretti a ‘saltare’ direttamente al pieno XV secolo, quando, le fonti di- sponibili manifestano un percorso che, al di là di specifiche norme, sostanzialmente non si di- scosta da quelli in uso, già nel secolo precedente, presso altre città.

Il 17 dicembre 1459 Gottardo Calepini, canonico, giurisperito e nipote di Antonio da Borgonuovo, si presentò in episcopali palacio, al banchum del vice rettore del collegio notarile, Cri- stoforo da Molveno, chiedendo

a prefato domino Christoforo vice rectore quatenus eum matriculare deberet in collegio notariorum civi- tatis Tridenti, offerens se stare examini et statuta collegii prefati observare et manutenere et solvere libras viginti bone monete pro intratica dicti collegii [...] et facere omnia que de iure facere tenetur verssus dic- tum collegium99.

95 ADTn, ACap, Instrumenta capitularia 8bis, c. 53r, n. 142.

96 Liber I. De civilibus, capitolo 91; vi erano riportati gli Statuta collegii notariorum Tridenti. Edizione in B.CHEMOTTI, La

legislazione statutaria, pp. 192-203 e, più recentemente, C.BORTOLI, Per un’edizione dei testi statutari del Comune di Trento.

97 ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, Almo collegio dei dottori e notai della città di

Trento, Registri delle immatricolazioni; edito parzialmente e regestato integralmente in M.V.CERAOLO, Il collegio nota- rile di Trento; si veda, più recentemente, lo studio di Gian Maria Varanini basato sul suddetto registro (G.M.VARANI- NI, Il Collegio notarile di Trento).

98 G.M.VARANINI, Il collegio notarile di Trento, p. 504.

Udita la richiesta, il vice rettore affidò, con il consenso dei presenti, a sé stesso o ad altro notaio il compito di sottoporre il candidato ad esame. Due giorni più tardi, il 19 dicembre, gli esamina- tori incaricati di interrogare Gottardo, «unanimiter et concorditer», giudicarono il candidato idoneo e dunque sufficientemente preparato per svolgere l’attività di pubblico notaio. Il Calepi- ni procedette dunque al giuramento, promettendo di rispettare gli statuti del collegio, il suo ret- tore e di pagare la tassa dovuta per l’ingresso nella matricola. Anche il collegio notarile di Tren- to, dunque, non diversamente dai collegi di molte altre città, ammetteva i nuovi membri soltan- to dopo uno specifico esame che era previsto già negli statuti alessandrini del 1425-1427. Su co- sa esattamente vertesse questo examen lo vedremo a breve.

Il 26 gennaio 1470 ben tre candidati, Antonio da Grigno, Andrea Gallo e Giovanni da Calavino fecero richiesta di ammissione «in cetum notariorum». Di essi il verbale specifica che, dopo aver mostrato i privilegi di notariato – che dunque il candidato alla matricola doveva già possedere al momento della richiesta di ammissione –, furono sottoposti ad esame e pronuncia- rono il giuramento. La commissione esaminatrice stabilì tuttavia

quod hinc ad unum annum proxime venturum non valeant neque audeant scribere acta iudicialia seu pro- cessus a XXV libris superius, neque alia instrumenta nisi instrumenta procurationis et creditus, cum con- silio tamen massarii prefati collegii vel alterius notarii intelligentis et pratici sub pena privationis officio. I tre furono dunque ammessi alla matricola, ma con riserva; non potevano redigere atti giudizia- ri o processi il cui valore eccedesse le 25 lire, né altre tipologie di instrumenta, con l’eccezione delle procure e dei crediti alla presenza, tuttavia, del massaro del collegio o di un altro notaio più esperto, pena la privazione dell’ufficio. Norme così rigorose avevano senza dubbio lo scopo di impedire a notai non sufficientemente pronti di rogare documentazione di una certa com- plessità, tutelando al contempo la professionalità di quanti già esercitavano l’arte100 ed evitando in questo modo il progressivo degrado del notariato pubblico. La commissione aggiunse infatti che i candidati avrebbero dovuto «scholas visitare et audire Notariam saltim per annum vel In- stitutam a domino potestate vel ab alio lectore iuxta posse suum»101. Le schole qui menzionate non si riferiscono necessariamente a vere e proprie scuole di notariato, sullo stile di quella isti- tuita presso lo Studium bolognese; pur non essendovene certezza, potrebbe trattarsi di quelle già menzionate scuole laiche, a pagamento, in cui magistri e professores impartivano ai giovani aspiran- ti notai una conoscenza quanto più possibile solida della lingua latina oppure, più semplicemen- te, una sorta di «attività di formazione per opera di un notaio nella propria statio, nei confronti

100 G.M.VARANINI, Il Collegio notarile di Trento, p. 506. Alla luce di queste considerazioni va letta la disposizione del

1464 quando, il collegio presieduto dal rettore Calepino Calepini alzò a venticinque anni l’età minima per accedere alla matricola; la seduta fu inoltre l’occasione per ammettere due nuovi membri, i giovani notai Federico figlio del nobile Giovanni di Michele de Ceris da Pergine e Graziadeo del fu Nicolò Galego; non prima, tuttavia, di averli esa- minati e dopo aver ricordato agli stessi l’importanza di mantenere un comportamento adeguato «ne scandalum eis incurat propter eorum iuventutem» (cfr. ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, c. 14r). Per un confronto con l’età richiesta negli altri collegi notarili, si veda G.TAMBA, E.TAVILLA, Nella città e per la città, p. 94, nota n. 60.

di allievi, suoi coadiutori e futuri colleghi»102. D’altro canto, non possiamo comunque escludere del tutto la presenza di corsi di ars notarie specificamente dedicati ai giovani apprendisti notai considerato che, anche nella vicina città di Verona, come abbiamo testé ricordato, nel 1462 era stato affidato ad un dottore del collegio dei giudici e degli avvocati il compito di leggere pubbli- camente e commentare le Istitutiones di Giustiniano, che forse corrispondono a quell’Institutam cui si riferisce la commissione esaminatrice trentina, la Summa di Rolandino e l’Aurora, due trat- tati di arte notarile, ovvero quanto necessario a praticare proprio l’arte notarile103. Ciò che qui è interessante notare è che queste ‘lezioni’ furono affidate al podestà, che era per statuto uno iuri-

speritus, fra l’altro proveniente da località extradiocesane, o ad altro lettore che avesse pari cono-

scenze («iuxta posse suum») e non ad un semplice notaio104. Ne consegue, e pure su questo ri- conosciamo una certa corrispondenza con la situazione di numerosi altri collegi notarili, che an- che a Trento il livello qualitativo e le conoscenze giuridiche di gran parte della classe notarile si attestavano su livelli non certo eccelsi, tanto da dover demandare ad esperti in materia la prepa- razione dei futuri professionisti.

Il 21 gennaio 1459 il celebre notaio trentino Approvino Approvini chiese al collegio di immatricolare il fratello Stefano, il quale aveva ricevuto l’investitura a tabellione dal conte pala- tino Giacomo Cariolo; avendolo tuttavia giudicato «nimis iuvenis», Antonio de Fatis, nuovo ret- tore del collegio, decise di accogliere il candidato nella propria casa per metterlo alla prova, «quod interim ipse dominus rector vollebat eum examinare utrum esset sufficiens»105. Dopo un congruo periodo di apprendistato – poco meno di quattro mesi – ad aprile l’Approvini si pre- sentò nuovamente dinanzi alla commissione che, dopo averlo giudicato «idoneum et bonum gramaticum», lo ammise nella matricola seppur con alcuni limiti nella redazione di instrumenta e testamenti. Un anno più tardi, il 20 febbraio 1460, dopo aver sostenuto un «examen circa con- fectionem instrumentorum»106 ottenne l’autorizzazione a redigere qualsiasi tipologia documen- taria pur sotto il controllo, per un ulteriore periodo di dodici mesi, di almeno un membro del collegio:

Item idem dominus rector [...] cui comissum fuit examen infrascripti Stefani notarii [...] dixit et approba- vit dictum Stefanum sufficientem et ydoneum notarium ad exercendum artem notarie quo ad scribendum acta, sed quo ad instrumenta conficiendum videtur sibi quod non audeat reddigere in formam instrumen- ta aliqua hinc ad unum annum, nisi prius sint visa et lecta per ser Christoforum notarium de Molveno, ser

102 G.TAMBA, Formazione professionale del notaio, p. 1276.

103 Il notariato veronese attraverso i secoli, a cura di G.SANCASSANI,M.CARRARA,L.MAGAGNATO,pp. 16-17. Lorenzo Si-

nisi (L. SINISI, Formulari e cultura giuridica notarile, p. 171, nota n. 11) sottolinea «la significativa connessione fra l’insegnamento della «Notaria» e quello relativo alle Institutiones [...] attestata anche nell’ambito degli «studia generalia»

104 Come sottolinea Marco Bellabarba, infatti, il podestà trentino «era un giurista a tutto tondo, un tecnico del diritto

preparatosi negli studia universitari e cresciuto nell’applicazione rigorosa della dottrina romano-canonica; per occupa- re il tribunale vescovile, secondo quanto stabilivano le rubriche statutarie degli Alessandrini, il grado dottorale era un requisito indispensabile» (M.BELLABARBA, Rovereto castrobarcense, p. 21). Diversamente da Trento, nella Rovereto ve- neziana del Quattrocento, il tribunale cittadino non era presieduto da un legum doctor ma da un semplice funzionario delle magistrature veneziane, sostanzialmente privo di qualsiasi rudimento in materia.

105 ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, cc. 1v-2r. 106 ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, c. 5v.

Leonardum notarium a Sale, ser Antonium notarium de Brezio et ser Iesamantum notarium de Archo vel per unum eorum107.

L’attenzione, da parte del collegio notarile trentino, per la conoscenza della grammatica, fra i principali temi dell’examen cui venivano sottoposti i giovani candidati, si presenta in molte- plici occasioni; essa potrebbe nascondere la volontà e l’esigenza di migliorare la qualità di un ce- to, quello notarile, forse non all’altezza dei gravosi compiti che gli venivano affidati108. Così tro- viamo, ad esempio, che Giovanni Battista de Murlinis fu «ydoneus et bonus scolaris in gramatica- libus»109, mentre Francesco del fu ser Vittore da Grigno fu giudicato «unanimiter et concordi- ter» «sufficientem in gramaticha»; sufficiente e dunque, dobbiamo ritenere, non ancora idoneo a redigere «instrumenta [et] ultimas voluntates usque ad dicta festa natalicia», mentre, come al so- lito, non gli sono preclusi gli atti giudiziari110. Per altri, è il caso del notaio Giovanni Caligaroti, l’ammissione alla matricola fu vincolata «sub pactis et conditionibus quod dictus Iohannes de- beat p e r s e r v e r a r e s c o l a m et adissere»111. In qualche modo, come rileva anche Gian Ma- ria Varanini, per ogni caso «l’avvio alla professione è guidato in modo personalizzato e atten- to»112 e, ci sembra di dover aggiungere, non individuiamo un unico iter formativo che accomuni tutti i candidati. Se è vero, infatti, che il privilegio rilasciato per conto dell’autorità imperiale ed una solida conoscenza della lingua latina dovevano costituire una base di partenza comune per tutti i giovani candidati alla matricola, poco possiamo dire in merito alla formazione tecnico- pratica, e dunque più propriamente notarile, di questi individui. Certo, non si può fare a meno di soffermarsi su quel «perseverare scolam», che può avere il duplice significato di perseverare nello studio e nell’impegno, ma anche di perseverare nella frequenza di una scuola, o di un cor- so, per la formazione dei notai. Forse quello stesso ‘corso’ che sembra essere affidato, come abbiamo testé ricordato, al podestà cittadino, oppure veri e propri ‘corsi’ attivi presso i notai più esperti.

Da un lato troviamo candidati del calibro di Gottardo Calepini e di suo fratello Calepi- no, già doctores iurisperiti, con in mano un bagaglio culturale nettamente superiore rispetto a quel- lo di un semplice notaio; costoro, infatti, non sembrano mostrare alcuna difficoltà nel superare l’esame del collegio, tanto che gli esaminatori li accolgono immediatamente «unanimiter et con- corditer». Si tratta, tuttavia, di casi isolati. Soltanto una minima parte della cittadinanza, spesso i membri delle famiglie più in vista, poté recarsi al di fuori dell’episcopato, presso uno degli Studia

107 ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, c. 6v.

108 Gian Maria Varanini sottolinea come «la definizione e l’applicazione delle regole, nella estenuante ripetitività do-

cumentata dal registro, è essa stessa una circostanza rilevante; così come è rilevante la modifica alle procedure d’esame, che a partire dal 1461 avvengono «publice in generali collegio» anziché, come in precedenza, a cura di una commissione ristretta» (G.M.VARANINI, Il Collegio notarile di Trento, p. 508). Non mancano, tuttavia, le contraddizioni di un sistema che a Trento, come altrove, affidava a conti palatini, spesso incapaci di valutare criticamente la qualità dei giovani candidati, le nomine a notaio. Nella seconda metà del Trecento troviamo a Trento, residente nel quartiere di Borgonuovo, il conte palatino Francesco de Patheriis da Parma (anno 1375) (cfr. ADTn, ACap, Instrumenta Capitular- ia 6, c. 29r, n. 56).

109 ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, c. 6r. 110 ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, c. 8r. 111 ASCTn, Comune di Trento, Antico regime, Sezione antica, ACT1-4272, c. 32v. 112 G.M.VARANINI, Il Collegio notarile di Trento, p. 507.

più noti dell’epoca (Padova e Bologna per ricordarne un paio), per compiere specifici studi in diritto113. Per tutti gli altri la formazione doveva necessariamente avvenire in loco. Tanto più se consideriamo il fatto che la cultura del notaio, sostanzialmente di natura tecnico-pratica, non richiedeva la conoscenza di letteratura giuridica specifica. I formulari più noti, fra cui appunto quello di Rolandino e una conoscenza di massima dei negozi giuridici in essi trattati, unitamente alla conoscenza della grammatica, sembravano infatti sufficienti. In mancanza di uno specifico corso poi, era l’apprendistato presso un notaio più anziano ed esperto, magari parente dello stesso aspirante professionista, a rivestire un ruolo centrale, ma spesso insufficiente, per l’acquisizione delle conoscenze tecniche e pratiche utili all’esercizio della professione. Ed i ver- bali delle immatricolazioni trentine testimoniano infatti tutta una serie di notai non ancora, o appena sufficientemente, idonei alla professione, i quali talvolta furono invitati a «scholas visita- re et audire Notariam» o a «perseverare scolam et adissere», talaltra furono presi in casa dal ret- tore del collegio per meglio apprendere l’arte e poter essere in seguito messi nuovamente alla prova e, in altri casi ancora, furono sottoposti al controllo temporaneo di alcuni membri esperti.

Non siamo dunque di fronte ad un modello formativo standardizzato, unitario, quanto piuttosto – lo ripetiamo – costruito volta per volta a seconda delle necessità del candidato. Nella varietà delle modalità applicate ci pare comunque di scorgere tutti quegli elementi che, pur va- riamente disposti, la maggior parte dei collegi notarili basso medievali applicarono. Dalle nor- mative statutarie ai prerequisiti necessari per fare domanda alla matricola, nulla sembra distin- guere nettamente il collegio trentino dagli altri collegi notarili di XIV e XV secolo.

Sulla base di queste considerazioni, che certamente non consentono di chiarire nel det- taglio né il luogo né il tempo della formazione di Antonio da Borgonuovo e, come lui, di molti altri notai trentini, procederemo ora alla ricostruzione delle caratteristiche (soprattutto relative al formulario) del documento notarile trentino, mettendo poi gli esiti di questa analisi a confronto la documentazione redatta dal notaio Antonio.

113 Esiguo è il numero dei trentini attestati presso lo Studium bolognese fra Duecento e Quattrocento. Si veda, in me-

rito, Studenti trentini all’università di Bologna, a cura di A.BERTOLUZZA. Si veda anche, l’elenco degli studenti trentini ela- borato nel 1887 da Cesare Festi e relativo alle università di Bologna, Padova, Ferrara, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Siena e Roma (C. DE FESTI, Studenti trentini).

3.4. La formazione dei notai trentini attraverso le forme dei documenti.