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La formazione di un proprietario-agronomo: Cosimo Ridolfi e l'e­ sperienza europea

ISTRUZIONE 5 TECNICHE RURALI IN TOSCANA: L'ISTITUTO AGRARIO DI MELETO

2. La formazione di un proprietario-agronomo: Cosimo Ridolfi e l'e­ sperienza europea

Intorno al 1830 Cosimo Ridolfi era ormai considerato tra i proprietari terrieri più illuminati e tra gli agronomi più emergenti della Toscana e dell'Italia intera. Egli discendeva da un'antica casata fioentina arricchitasi con il commercio tra il XIII ed il XV secolo, consolidatasi nella vita politica in epoca repubblicana e medicea ed infine ben dotata di terre tra XVI e XIX secolo (33). All'epoca del marchese Cosimo, nato nel 1794, il patrimonio fondiario della famiglia era formato dalle due grandi fattorie di Meleto e di Bibbiani, entrambi acquisite dai Ridolfi attraverso vincenti strategie matrimoniali: la fattoria di Meleto fu portata in eredità nel 1569 da Maddalena Salviati, sposatasi con un Ridolfi; quella di Bibbiani, di acquisizione più recente, venne ereditata dalla madre di Cosimo, figlia del marchese Giuseppe Frescobaldi.

Le fattorie Ridolfi presentavano i caratteri tipici delle vaste aziende nobiliari della Toscana tra '700 e '800. Esse

consistevano in una villa con casa di fattoria ubicata sui possessi ed in un buon numero di poderi nei quali era suddiviso il patrimo­ nio; la villa era utilizzata dal proprietario (che normalmente dimorava in città) esclusivamente per i periodi di residenza estiva, di villeggiatura e di caccia; la casa di fattoria era abitata dalla famiglia del fattore, agente del proprietario in campagna e coordinatore dell'attività rurale; mentre i poderi costituivano le unità di coltivazione, i motori propulsori di un collaudato sistema agrario fondato sulla mezzadria e sulla coltura promiscua erbaceo-arborea.

Con la morte del padre, avvenuta nel 1800, il giovane Cosimo Ridolfi, unico discendente maschio, si trovò presto alle prese con i problemi di gestione di un così ricco patrimonio ed a contatto cun la realtà agricola delle fattorie. Ciò gli permise di sviluppare, parallelamente ad una formazione scientifica dovuta alla frequenza delle lezioni svolte nel Museo di fisica e storia naturale di Firenze, una precoce sensibilità verso i problemi tecnici dell'agricoltura. Fin da ragazzo la madre lo aveva incaricato di occuparsi della fattoria di Bibbiani ed egli trovò in questa incombenza un'occupazione non solo "dilettevole", ma anche "istruttiva": "I miei cari studi scrisse più tardi Ridol­ fi - pareanmi anche più dolci fra le macchie impenetrabili che 10 facea mutare in fioriti boschetti" (34). Sul piano strettamente agrario, Ridolfi ricevette però la spinta e l'insegnamento fondamen­ tale dall'opera e dall'ingegno di Agostino Testaferrata, fattore di Meleto tra il 1793 e il 1822 e ideatore ed esecutore di quelle sistemazioni di collina che per lungo tempo dovevano rappresentare 11 maggior vanto di Ridolfi e della Val d'Elsa; "Quest'uomo - osservava Ridolfi pensando al Testaferrata - travide il vero, e si pose con incredibile ostinazione a volerlo porre in luce ed

a cavarne tutto il profitto possibile. Egli quasi mi fu padre putativo negli anni infantili; a lui debbo l'amore per le cose agrarie succhiato col latte" (35).

Nel 1813 Cosimo Ridolfi fece il suo ingresso come socio all’Accademia dei Georgofili. In tale occasione presentò nell'autorevole sede una memoria sulla produzione in Toscana dell'indaco, un vegetale utilizzato in tintoria e tradizionalmente importato dal continente asiatico (36). L'ammissione all'Accademia dei Georgofili non era un fatto eccezionale, in quanto essa era un diritto quasi automatico per i rampolli delle famiglie nobili fiorentine dotate di estesi patrimoni fondiari; colpisce però la rapida e travolgente carriera che Ridolfi incontrò all'interno di tale istituzione e la sua attiva e costante presenza nell'ambien­ te "georgofilo" per oltre mezzo secolo. Segretario degli "Atti” accademici dal 1824, vicepresidente dell'Accademia dal 1826 e presidente dal 1842 fino alla morte (1865), Ridolfi stimolò ed alimentò in questo ambiente la riflessione e il dibattito su temi importanti come il ruolo dell'agricoltura toscana e del ceto dei proprietari nella compagine economica europea e l'elaborazio ne di un programma di rinnovamento tecnico-produttivo da attuare nelle campagne. Già nel 1818 egli segnalava ed incoraggiava una tendenza che gli pareva di scorgere nell'atteggiamento dei proprietà ri terrieri: "Sembra che i possidenti - diceva - non più si vergo­ gnino di visitare le loro campagne, non più disprezzino i libri georgici, e molto meno sdegnino di trasfonderne i buoni precetti nella classe preziosa dei contadini" (37). I suoi interventi procedevano sempre sui due binari dell'economia e della tecnica rurale, cioè secondo uno schema concettuale che poneva i meccanismi e le vicende generali dell'economia alla base della riflessione sul tipo di progresso da perseguire. Cosi, nel quindicennio succes-

sivo alla Restaurazione, Ridolfi promosse e vinse, nel campo della politica economica, la battaglia tra libero-scambisti e protezionisti apertasi tra i proprietari toscani nella depressa congiuntura degli anni *20; e d'altro canto indicò, più di ogni altro, la necessità di rispondere alla caduta dei redditi agricoli con un processo di adeguamento tecnico dell'agricoltura alle mutate condizioni poste dal mercato dei prodotti (38).

E' a questo punto che il discorso e la formazione agronomica di Ridolfi si riallacciavano direttamente e sempre più marcatamente alle esperienze europee della new-husbandry. Sul tronco della sua preparazione scientifica, acquisita nel vivace ambiente culturale fiorentino, si innestarono, a partire almeno dai primi anni '20, i germogli di una conoscenza diretta e di una analisi continua delle situazioni agrarie più evolute, sia d'Italia che d'Europa. I viaggi, i giornali, la corrispondenza tra le accademie ed i carteggi privati costituivano importanti strumenti per lo studio di un programma di innovazioni in grado di arginare il fiume della crisi. Bisogna ricordare che viaggi, giornali ed accademie non erano elementi nuovi nella vita dei nobili toscani, e che già la seconda metà del XVIII secolo aveva visto un'intensa circolazione d'idee e di uomini ed una radicata passione per le scienze e le arti; tuttavia il fenomeno era andato perdendo la sua matrice illuministica nel corso dell'epoca napoleo­ nica e finalmente, nei decenni posteriori alla Restaurazione, gli stimoli della rinata stabilità politica e la necessità di procedere ad una sorta di aggiustamento nelle economie nazionali e regionali, indirizzarono la passione per gli sudi scientifici, per i viaggi e per le stampe verso l'intervento pratico sulle rispettive attività produttive.

Quando Cosimo Ridolfi lasciò per la prima volta la

Toscana, nel 1820, non partiva alla cieca; egli aveva già ottenuto esaurienti ragguagli sull’Europa da altri nobiluomini fiorentini che lo avevano preceduto nel varcare le Alpi, Gino Capponi, Ferdinan do Tartini, Guido della Gherardesca e Giuseppe Pucci corrispondevano dall’estero con Ridolfi sulle questioni che loro stessi avevano contribuito a sollevare nella Firenze di quegli anni: le comunica­ zioni riguardavano esperienze scientifiche di vario genere e soprattutto il problema dell’istruzione (istruzione tout-court, non ancora istruzione agraria) con l ’invio di resoconti sulle forme di insegnamento praticate nelle principali città del continen­ te (39). nei quattro mesi in cui viaggiò tra la Svizzera e la Francia, Cosimo Ridolfi incontrò grandi personalità del mondo scientifico europeo (soprattutto a Ginevra e a Parigi), visitò una moltitudine di scuole e di istituti (tra i quali l ’Istituto per i poveri di Hofwyl e la Scuola veterinaria di Alfort) ed annotò puntualmente i sistemi agricoli delle aree percorse e le manifatture per la trasformazione dei prodotti agricoli (40). Ma l ’aspetto di maggiore utilità di questo primo viaggio è forse rappresentato dalle numerose relazioni - ufficiali per l ’Accademia dei Georgofili e private - che Ridolfi potè stabilire con membri delle società scientifiche, delle università e del mondo produttivo: ”A Parigi - annotava il giovane marchese nel suo diario - vi sono molte società particolari nelle quali non si discute che di scienze e d ’arti” (41) e di quelle discussioni egli fu sovente attento e partecipe osservatore. L ’acuto esame delle manifatture e dell’agricoltura, la descrizione delle colture, degli avvicendameli ti, degli srumenti agricoli, dettero ai viaggi di Ridolfi un significato particolare all’interno del granducato, nel 1828, in occasione di un suo viaggio nel Lombardo-Veneto e in Piemonte, il marchese fu ufficialmente incaricato dall'Accademia dei Georgofi-

li di raccogliere notizie sull'agricoltura e di attivare nuove corrispondenze con altre società ed accademie dell'Italia settentrio naie (42); interessanti osservazioni sulla gelsobachicoltura, sull colture foraggere e sull'allevamento del bestiame poterono così essere esposte pochi mesi dopo ai Georgofili (43).

Fu negli ultimi anni '20 che gli scambi e l'intreccio di interessi tra l'ambiente dei proprietari toscani e quello dei liberali lombardi andarono rafforzandosi. L'Accademia dei Georgofili, ma anche G.P. Vieusseux - del quale Ridolfi era, in questo periodo, il principale collaboraore - costituivano i centri fondamentali della circolazione delle conoscenze scienti­ fiche ed agrarie. Vieusseux era, per Firenze e per la Toscana granducale, una specie di finestra aperta sull'Europa; presso il suo gabinetto arrivavano infatti libri e giornali da smistare in Toscana ed in altre parti dell'Italia centrale. Ridolfi fu sempre molto partecipe di questa circolazione culturale: già nel 1824 era impegnato, assieme al Tartini, nella scelta e nello spoglio degli articoli più significativi apparsi sulle riviste straniere con lo scopo di delineare un "quadro delle cose italiane" e pubblicarlo sull'"Antologia" (44). A Vieusseux si rivolgevano anche alcuni proprietari per avere informazioni sull'acquisto dall'estero di semi selezionati e di strumenti agricoli nuovi: nel 1830, per esempio, Ridolfi chiese a Vieusseux di contattare il suo corrispondente a Livorno per ottenere al prezzo più conveniente una macchina ammostatrice per l'uva, utilizza ta per la prima volta in Toscana nelle terre di Piero Guicciardi­ ni (45).

Abbiamo cercato di delineare per sommi capi il crearsi di un circuito intellettuale attraverso cui potevano circolare ed affinarsi le conoscenze agrarie tra la Toscana ed il resto

d'Italia e d'Europa. Abbiamo così ravvisato nell'Accademia dei Geor- gofili, nel gabinetto culturale di Vieusseux e nei viaggi dei primi proprietari-agronomi i massimi centri di raccolta e di divulgazione dell'informazione e del sapere tecnico-scientifico. Così descritto, il fenomeno sembra restare ad un livello quasi esclusivamente intellettuale, senza diretti punti di contatto con la realtà agricola regionale e quindi dotato di scarsa capacità di produrre innovazioni nelle campagne; mancavano, in sostanza, forme di incanalamento dei progressi fatti dall'agronomia verso le strutture e i soggetti della produzione rurale. Abbiamo però visto come già nel corso degli anni '20 questa carenza nello spargimento delle conoscenze verso i produttori reali fosse andata progressivamente attenuandosi con l'instaurarsi di rapporti più stretti tra proprietari, fattori e contadini e con la circolazione su scala abbastanza vasta di opere periodiche a stampa come il "Giornale agrario toscano". Per alcuni grandi proprietari iniziò in questo periodo il progressivo avvicinamento, anche fisico, verso la campagna. Fu proprio la necessità di dare popolarità e sostegno agli aspetti teorici e sperimentali dell'agronomia che provocò il risveglio dell'interesse per l'istruzione e la formazione professionale degli operatori agricoli.