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ISTRUZIONE 5 TECNICHE RURALI IN TOSCANA: L'ISTITUTO AGRARIO DI MELETO

3. La fondazione dell'Istituto agrario di Meleto

Il superamento del contrasto tra agricoltura teorica ed agricoltura pratica costituiva, già a partire dal progetto settecentesco del Pagnini, il motivo centrale dell'interesse per l'istruzione agraria. E' significativo in proposito il fatto che tutte le proposte di istruzione finissero per concentrare

l'attenzione sulla categoria dei fattori, cioè proprio su quei sog­ getti che rappresentavano un trait d 1union tra le possibilità di conoscenza dei proprietari e l'empirismo dei contadini, tra la scienza teorica e la pratica più rudimentale, tra il mondo della città e quello della campagna. Con le opere di Malenotti e di Chiarenti divenne pressoché unanime il riconoscimento del fattore come principale veicolo per l'introduzione dei miglioramento nelle campagne. Il fattore, però, non era un elemento autonomo all'interno dell'edificio agrario del granducato: la sua figura ed il suo ruolo erano determinati dalla politica del proprietario verso i propri patrimoni; una crescente specializzazione e professio nalità del fattore corrispondevano così ad una prioritaria trasforma­ zione dell'atteggiamento economico del padrone della terra. Fu proprio in questa duplice prospettiva - quella di un cambiamento di rotta della politica di gestione da parte dei proprietari e quella della formazione di fattori qualificati ed autorevoli - che vennero maturando in Toscana le condizioni per la fondazione della prima scuola teorico-pratica d'agricoltura.

Il fallimento del tentativo settecentesco di promuovere l'istruzione nelle campagne per mezzo di una associazione di forze e di mezzi pubblici e privati, fece maturare una fiducia crescente verso le iniziative di singoli proprietai, un orienta­ mento confortato anche dall'analisi dei processi di miglioramento dell'agricoltura avvenuti in altri paesi: "Un'occhiata all'Inghilter­ ra - aveva detto Filippo Re - e chiaro risulterà non esservi direi quasi ramo di agraria economia che non debba la sua perfezione alle generose offerte dei privati" (47). Su questa base poggiava anche la prima esplicita presa di posizione in favore dell'apertura di una scuola sperimentale d'agricoltura in Toscana (48). L'inizia­ tiva partiva dal marchese Cosimo Ridolfi, la cui fama di agronomo

aveva ormai travalicato i confini della Toscana, grazie soprattut­ to all'importante opera svolta per la realizzazione e l'adozione di nuovi strumenti aratori e per la divulgazione delle nuove sistemazioni idrauliche per i terreni collinari (49). Era il 1830, e in Toscana intorno a quest'epoca alcune grandi tenute potevano già essere indicate come esempi di buona agricoltura; tra queste vi era la fattoria di Ridolfi in vai d'Elsa: MGià tu hai a Meleto una scuola - gli scriveva l'amico Tartini prima ancora dell'apertura dell'istituto - molti visitano quel luogo, e appren­ dono ottime pratiche... l'istruzione che tu dai con l'esempio" (50). In quegli stessi anni un anonimo francese, membro dell'Academie agricole et statistique di Aix, aveva chiesto al granduca di "aprire a vantaggio dell'agricoltura toscana una fattoria di istruzione pratica rurale", indicando il luogo di Grosseto (51). Ridolfi, criticando le argomentazioni del francese e soprattutto opponendosi alla scelta di Grosseto come centro di istruzione, espose ai Georgofili la necessità di creare una scuola d'agricoltura nel cuore delle campagne del granducato e ne illustrò un programma di massima. Successivamente egli si affrettò a chiedere all'Accade­ mia un parere sull'idoneità della sua fattoria di Meleto ad accoglie re una simile iniziativa; così, una commissione composta dagli accademici Andreini, Repetti e Vai visitò Meleto nel febbraio 1831, esprimendo poi pubblicamente un giudizio estremamente favore­ vole al progetto di Ridolfi, con l'augurio "che dietro il suo esempio sorga altro istituto in uno dei punti della Toscana dove si addichino' le culture che mancano a Meleto" (52). Il progetto aveva a questo punto ottenuto un riconoscimento ufficiale di non secondaria importanza; alla metà del 1831 Ridolfi dichiarava di non essere ancora in grado di avviare la realizzazione della scuola, ma le sue esitazioni costituivano probabilmente una mossa

tattica volta ad ottenere mezzi e collaborazioni dall’esterno. Queste apparenti incertezze non impedirono infatti al proprietario di Meleto di approfondire il significato ed i criteri che avrebbero dovuto guidare l'impresa. Le sue riflessioni affondavano le radici nella vasta cultura agronomica posseduta dal nobile toscano e si basavano, in particolare, su una mirata ed attenta analisi di quelle esperienze europee che avevano promosso il progresso agrario in intere aree della Francia, della Svizzera e della Germania.

La dimensione europea nella quale deve essere inquadrata la nascita di Meleto è fuori dubbio. Lo scopo dichiarato di Ridolfi era quello di "realizzare a vantaggio dell'arte agraria l'istituzio­ ne di uno di quei celebrati stabilimenti che son vere scuole agronomiche e che si conoscono col nome di tenute modello; l'intento era quello di elevare la fattoria di Meleto a centro del progresso agrario della Toscana, di formare "un modello meritevo le di esser copiato, ed un campo abbastanza vasto per intraprender­ vi tutte quelle esperienze che il progresso delle cognizioni, dell'industria e della civiltà suggeriscono di tentare" (53). Nel rifarsi all'esperienza europea, Ridolfi pensava soprattutto all'Isti^ tuto di Hofwyl ed alla spinta che esso aveva dato per la fondazione di altre scuole nei cantoni della Svizzera; ma egli evidenziava anche la difficoltà, se non l'impossibilità, di procedere ad una semplice imitazione dell'operai di Fellemberg, poiché la nuova scuola avrebbe dovuto essere legata alle circostanze ambientali, strutturali e sociali dell'agricoltura locale: "E* fuor di dubbio - scriveva Ridolfi - che una sola è la scienza agronomica astratta- mente considerata, e questa può insegnarsi dovunque; ma le applica­ zioni di questa scienza, ma l'arte agraria propriamente detta è si diversa nelle sue pratiche a seconda del suolo, del clima

e della sociale costituzione, che una scuola di questa industria non può essere universale... " (54). La precisazione della specifici­ tà dell’agricoltura toscana costituiva 1*aspetto più interessante e la più alta garanzia di successo del tentativo ridolfiano.

Un'altra tappa significativa fu la riflessione sulla scelta delle categorie da istruire, poiché una tale scelta implicava il riconoscimento dei soggetti ritenuti più idonei a svolgere nelle campagne un ruolo di promozione e di diffusione delle innova­ zioni. Nell’analisi iniziale di Ridolfi solamente i piccoli proprie­ tari ed i fattori erano considerati in grado di realizzare i benefici derivanti da un aumento dell'istruzione tecnica e profes­ sionale. L'attenzione veniva dunque a posarsi sulle categorie intermedie della gerarchia rurale della Toscana; non sui poveri contadini, che non sarebbero stati comunque destinati a compiti direttivi, e neanche sui grandi proprietari fondiari, nella maggio­ ranza dei casi distaccati dalla terra e poco propensi ad abbandonare i privilegi della vita cittadina: "Adunque una scuola teorico­ pratica d'agronomia dovrebbe essere diretta all'istruzione dei piccoli proprietari e di quelli che si destinano ad impiegarsi presso i grandi possidenti in qualità di fattori" (55).

L'istituto che Ridolfi immaginò fin dal 1831 prevedeva un corso di studi avviato con elementari lezioni sulle diverse discipline scientifiche e poi orientato progressivamente verso gli aspetti tecnico-pratici dell'agronomia; per gli allievi era anche previsto un coinvolgimento diretto nella sperimentazione di pratiche nuove, nell'esercizio della contabilità e nella direzione dei contadini. Un convitto, un fondo modello e un podere sperimentale sarebbero stati gli elementi costitutivi di un istituto realizzato dentro la realtà mezzadrile di una vasta fattoria nobiliare della Toscana come era quella di Meleto. Quest'ul

tima circostanza non era priva di significato: in quegli stessi anni un acceso dibattito mise in luce, in una misura senza preceden­ ti, consistenti dubbi sulla validità economica della mezzadria, dividendo il fronte dei proprietari in conservatori e progressi­ sti (56). Anche in questo caso erano state le difficoltà insorte nella cattiva congiuntura post-Restaurazione a scatenare la necessi­ tà di una profonda riconsiderazione della struttura agraria del granducato. L'iniziativa di Ridolfi di istituire nel cuore della mezzadria alcuni fondi diretti a proprio conto, coltivati con metodi avanzati e con una contabilità separata da quella della fattoria, rientrava anche nella prospettiva di creare dei termini di riferimento alternativi per valutare meglio l'efficienza del sistema colonico adottato in Toscana; Ridolfi pensava infatti che "dall'esame e dal confronto delle tre diverse amministrazioni Cla fattoria, il fondo modello e quello sperimentale] si otterranno dei fatti che ancor ci mancano per decidere il relativo grado di utilità del sistema colonico e di quello di coltivare il suolo intieramente a proprio conto ed interesse, metodi diversissimi tra di loro e che vantano entrambi dei caldi avvocati e dei fervidi detrattori" (57). Il tentativo aspirava dunque a costituire qualcosa più che un semplice strumento d'istruzione. Esso si inseriva nella tendenza più generale di adeguamento dell'agricoltura toscana alle condizioni più complesse del mercato e dell'economia capitali­ stica. Era anche il segno di una sfida.

Una seconda commissione incaricata dall'Accademia dei Georgofili di pronunciarsi definitivamente sul progetto di Ridolfi riconobbe apertamente l'utilità di una scuola d'agricoltura così immaginata. La relazione che Andrea Bourbon Del Monte, Giuseppe Giusti, Giovan Battista Lapi, Giovan Battista Magini e Vincenzo Peruzzi sottoscrissero nell'estate del 1831 incitava il proprie-

tario di Meleto a proseguire la strada imboccata: "Noi pertanto di cuore l ’esortiamo - concludeva - a voler fondare una scuola teorico-pratica d ’agricoltura ed a fortemente volerlo; e la Toscana avrà di certo il suo Fellemberg” (58). La commissione avanzava, in realtà, anche alcuni dubbi sulla fattibilità del progetto elaborato da Ridolfi: a proposito dell’organizzazione della scuola si tendeva a spostare l'attenzione più sull'esempio di RoviIle che su quello di Hofwyl, cioè su una "scuola gratuita d'industria" associata ad una "tenuta modello". Ma l ’interrogativo principale che gli accademici si ponevano era quello relativo al sostegno finanziario del nuovo istituto, ed essi non vedevano altra possibi­ lità che l'associazione di alcuni ricchi proprietari disposti "a concorrere alle spese della sua erezione e mantenimento" (59). Ma anche se la via associativa sembrò riscuotere, sul momento, numerosi consensi, non si giunse mai a forme concrete d ’intervento; mentre proprio la maggiore attenzione dedicata da Ridolfi alla situazione di Roville e all'opera di Mathieu de Dombasle condusse il marchese toscano ad intraprendere da solo l'avvio dell'iniziativa nel 1833 (60). I preparativi per l'apertura dell’Istituto agrario di Meleto furono ultimati all'inizio del 1834 ed il 2 febbraio di quell'anno giunsero presso la fattoria di Ridolfi i primi allievi.

Tra il 1830 ed il 1834 il progetto di aprire un istituto agrario era intanto uscito dalle pareti delle sale accademiche per diventare oggetto di riflessione tra i proprietari, gli agronomi e gli uomini di cultura dentro e fuori la Toscana. All'interno del granducato gli unici ad esternare le proprie riserve sull’inizia tiva di Ridolfi furono soprattutto alcuni suoi collaboratori, vicini a lui nella viti politica e culturale di Firenze; questo tipo di atteggiamento può essere ben esemplificato dalle parole

che Ferdinando Tartini indirizzava a Ridolfi nel 1831: " ...Son tante e tali le esigenze di uno Stato, e più quelle del nostro, alle quali il supplire sarebbe bene, come tu sai, d'importanza molto più grande che non il migliorare l'istruzione agraria, per quanto anche questo miglioramento sia ottima cosa... Fatta che fosse la scuola agraria, non potresti sperare da te che tu non vi consacrassi tutta intera l'opera tua e il tuo tempo" (61). Dalla parte dei proprietari terrieri, invece, l'idea di fondare una scuola d'agricoltura venne accolta senz'altro con estremo favore e le discussioni che ne derivarono vertevano essenzialmente sui modi e sui tempi del progetto.

Giuseppe Bardini, proprietario di molte terre nelle Colline Metallifere, fece conoscere la sua posizione in proposito fin dagli inizi del 1832. Egli elogiava le intenzioni del marchese Ridolfi, si pronunciava per l'ammissione alla scuola dei figli dei piccoli proprietari e suggeriva, da grande proprietario qual'era, di rivolgersi alle risorse finanziarie delle comunità locali: "Le comunità - pensava Bardini - non sono altro che associa­ zioni necessarie di possidenti"; quindi - si chiedeva - "cosa giova ai possidenti la spesa dei medici e chirurghi condotti... e dei maestri delle scuole pubbliche? Certo che nessuna" (62). In successive lettere indirizzate al Ridolfi, Bardini si confermava convinto sostenitore dell'apertura della scuola: "Ho gradito moltissi

mo - scriveva nell'aprile del 1833 - che Lei sia sempre nella medesima determinazione rapporto all'Istituto Agrario: ed io

all'epoca fissata gli manderò il mio alunno" (63). Non si trattava - come si vede - di una semplice adesione formale. Il Bardi­ ni si offriva anche come potenziale utente della nuova istituzione, nella prospettiva di un miglioramento dell'atività rurale sulle sue terre e di un ripensamento sul tipo di organizzazione aziendale:

"Forse oggi, non perfezionate 1'operazioni agricole, sarà più vantaggioso per il proprietario il dare a mezzeria i suoi terreni; ma perfezionate queste forse l'utile sarà nel fare i terreni a proprio conto" (64).

Il progetto Ridolfi venne seguito ed appoggiato ancora più da vicino da Vincenzo Salvagnoli, il quale stava preparando un corso di giurisprudenza rurale per proprietari e fattori. Alla fine del 1830 egli inviò a Ridolfi "nove volumi relativi alle tenute modello", invitandolo a stringere i tempi per l'apertura della scuola:

"Bisogna però affrettare il rapporto della commissione ispet­ trice per poter tutto disporre nel nuovo anno. La Gazzetta di oggi ne dà la notizia: conviene che il prossimo numero del Giornale Agrario ne parli più distesamente per cominciare a cattivarsi l'opinione pubblica, mostrando la utilità e necessità dell'impresa." (65)

A Ridolfi scriveva anche Vincenzo Carmignani, altro grande proprie­ tario; il suo era invero un atteggiamento più cauto: ma nonostante alcune perplessità, concernenti la durata del periodo d'istruzione e la preparazione di base richiesta agli allievi, era in definitiva favorevole all'iniziativa (66). Un convinto e costruttivo appoggio al progetto venne anche dall’abate Raffaello Lambruschini, che nella sua proprietà di San Cerbone, dove aveva fissato dimora, apri intorno al 1830 una scuola a carattere letterario-religioso tentando di mettere in pratica i principi pestalozziani sull'educa­ zione delle classi popolari, nel quadro di una acuta sensibilità per i problemi sociali ed economici improntata alle teorie sansimo- niane (67). Egli fu in più di un'occasione consulente pedagogico del Ridolfi, mentre questi metteva a disposizione la sua maggiore competenza in campo agronomico. Nel 1831 Lambruschini scriveva al proprietario di Meleto: "Siate sicuro che lo stabilimento del vo­

stro istituto mi preme come se fosse cosa mia propria. L ’idea di fon dare tra noi due quel che manca in Toscana all'educazione di tutte le classi, mi lusinga in singoiar modo" (68).

Se in Toscana la proposta di Ridolfi riscosse adesioni significative, anche fuori del granducato essa incontrò un'eco decisamente incoraggiante. Dall'estero erano arrivate le esperienze e gli scritti che avevano consentito a Ridolfi di precisare sempre più il progetto. Abbiamo visto come all'iniziale riferimento all'Isituto di Hofwyl fosse andato sostituendosi l'interesse per scuole più eminentemente agrarie come quella francese di Roville. Era stato uno scritto di Dombasle a convincere definitiva­ mente Ridolfi a stabilire la sua dimora fissa in campagna e ad avviare la creazione dell'Istituto agrario (69). Nel 1833 anche il botanico e agronomo Matteo Bonafous, informato dell'iniziativa di Ridolfi, aveva spedito da Parigi il regolamento dell'Ecole agricole di Grignon (70).

In Italia la proposta di Ridolfi si sparse abbastanza rapidamente. L'ambiente più pronto a discuterla fu quello lombardo, subito dopo la pubblicazione della prima memoria del marchese toscano sull’argomento, gli editori degli "Annali di agricoltura" di Milano ne dettero ampia risonanza e stamparono sul loro giornale una serie di osservazioni con lo scopo di avviare anche in Lombardia un dibattito sulla necessità di promuovere l'istruzione agraria(71). Nel 1832 era Luigi Configliachi, dell,MI. e R. Stabilimento Agro­ nomico di Padova", ad elogiare Ridolfi e a porre l'accento sull’im­ portanza della sua opera per l'agricoltura italiana (72). Fu dunque in un clima di generale favore, ottenuto anche grazie alla circola­ zione dei fogli periodici tra i proprietari di ambienti diversi, che Ridolfi si accinse all’ammissione dei primi allievi.

4. L'ammissione degli allievi e l'organizzazione dell'Istituto