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L'ISTRUZIONE AGRARIA IN LOMBARDIA NELLA PRIMA META 1 DELL’BOP

Leopoldo II a ricoprire l'incarico di direttore del nascente Istituto agrario dell'Università di Pisa, sul quale torneremo

L'ISTRUZIONE AGRARIA IN LOMBARDIA NELLA PRIMA META 1 DELL’BOP

Abbiamo già sottolineato come anche in Lombardia si fosse sviluppato 1'interesse degli agronomi per 1'esperienza di Cosimo Ridolfi e per il suo istituto agrario e come alcuni di essi cercassero di avanzare proposte emulative (1). Tuttavia in questa regione l'insegnamento agrario si sviluppò con un certo ritardo rispetto al resto d'Italia; un ritardo che contrasta palesemente con le reali condizioni raggiunte dall'agricoltura lombarda, considerata allora tra le migliori d'Europa. Nel 1825 il francese P.N.H. Deby, restando chiaramente colpito dall'ottimo panorama produttivo delle campagne milanesi e padane, si mostrava un po' sorpreso nel rilevare che "il n'y a pas point d'écoles d'agricuiture dans la Lombardie et dans l'Etat vénitien" (2). Soltanto nel 1861 sarà avviata l'attività di una vera e propria scuola d'agricoltura (3). Questa regione ci presenta dunque un caso singolare del rapporto tra istruzione agronomica e sviluppo agricolo; un caso che sta a dimostrare come non necessariamente i due termini debbano essere considerati secondo un rapporto di proporzione diretta, nella prima metà dell'800 non vi furono, in sostanza, iniziative in grado di produrre effetti durevoli e decisivi. Il dibattito degli agronomi e l'impegno degli operatori agricoli non mancò però di soffermarsi con assiduità sui temi dell'istruzione e dell'innovazione tecnica. Cercheremo di valutare in queste pagine la reale portata di questo dibattito e di individua re i principali motivi che ne ostacolarono la traduzione in pratica.

1. Scuole veterinarie, parroci "agronomi" e giornali tra *700 e *800

E' stato osservato che tra i Lombardi il convincimento di una quasi raggiunta perfezione della loro agricoltura limitò l'interesse per l'insegnamento agrario e, più in generale, per il progresso tecnico nelle campagne (4). Nella pianura irrigua i proprietari si sentivano depositari di una agricoltura già avanza­ ta ed accoglievano con ironico distacco le proposte sulla "nuova agricoltura" che giungevano dall'estero. Nella pianura asciutta ed in collina tutti - proprietari, fattori, contadini - erano concretamente impegnati in quel settore trainante - la gelsobachi- coltura - al quale poco o niente poteva insegnare l'agronomia europea. Bisogna in effetti rilevare - come ha fatto anche Renato Zangheri - che fra '700 e '800, di fronte ad una crescente debolez­ za del prezzo del grano, si verificò un incremento relativo dei prezzi di riso, seta e formaggi, tutti prodotti tipici della campagna lombarda, con la conseguenza di distrarre i produttori dallo studio di miglioramenti tecnici (5). Ma dobbiamo anche ricordare che, in connessione con i fenomeni transalpini di rivolu­ zione agraria, un moto di idee e di discussioni prese avvio nell'am­ biente milanese fin dal secolo XVIII ed assunse nella prima metà dell'800 una dimensione divulgativa non trascurabile. Per la prima volta si pose apertamente il problema dell'istruzione agraria, in particolare di quella veterinaria che interessava un ramo particolarmente importante dell'edificio agrario lombardo.

Sul finire del XVIII secolo in tutta Europa si cercava di trarre profitto dall'esperienza pilota delle scuole veterinarie francesi, soprattutto di quelle fondate da Bourgelat a Lione nel 1762 e ad Alfort nel 1765 (6). In Italia la prima scuola veterinaria era sorta nel 1769 alla Veneria, presso Torino. Sotto

Maria Ter esa il governo lombardo inviò alla scuola di Lione tre gio­ vani mantovani, due dei quali, una volta rientrati in patria, istruì rono i manescalchi milanesi nella bassa veterinaria e nella ferratu­ ra delle bestie. Dal 1790 essi cominciarono a dare vere e proprie lezioni in una scuola di veterinaria. Durante la dominazione napoleonica, nel 1807-1808, l'istituto milanese venne riorganizzato sotto forma di collegio e ad esso furono riunite le altre scuole veterinarie esistenti nel Regno d'Italia: quella di Padova istituita negli ultimi anni della Repubblica Veneta dal parmigiano Giuseppe Orus, quella di Ferrara e quella aperta nel 1791 a Modena per opera dei veterinari Mislei e Veratti. Dopo il 1834 l'Istituto veterinario, pur restando a Milano, entrerà a far parte dell'Univer­ sità di Pavia con il compito di formare quattro categorie di individui: dottori in veterinaria, veterinari equini, ferratori o manescalchi e, dal 1843, veterinari comunali (7).

Dal punto di vista dell'avanzamento delle discipline agrarie non dobbiamo sopravvalutare la presenza di queste scuole, poiché nel '700 le istituzioni veterinarie si mantennero più vicine al campo medico che a quello agrario; l'insegnamento dell'a­ gricoltura non entrò direttamente a far parte dei piani di studio delle prime scuole e così fu anche in Lombardia. Un crescente dibattito sull'istruzione agraria e sulle forme di attuazione più convenienti prese comunque avvio nella seconda metà del '700. Le prime esplicite prese di posizione riguardarono il ruolo dei parroci nella diffusione delle cognizioni tecniche tra gli abitanti delle campagne. Intorno al 1770 Cesare Beccaria annoverava fra gli ostacoli che si opponevano al perfezionamento dell'attività rurale "la mancanza d'istruzione nelle persone medesime che vivono alla campagna" e proponeva, conseguentemente, che si propagassero, assieme alla religione, i lumi dell'agricoltura e della medicina

(q). Su tale linea si posero, in modo più concreto, il prevosto di Arcisate Gianangelo Del Giudice, che scrisse un libro su L1 educa­ zione del contadino (9), e Francesco Griselini, segretario della Società patriottica milanese, il quale dedicò un'opera all'insegna­ mento agrario e redasse un piano per la compilazione di un manuale da adottarsi come base dell'istruzione(lO).Le idee del Griselini e la generale insistenza sull'importanza dei sacerdoti per la diffusione del sapere nel mondo rurale, ebbero se non altro come effetto la traduzione, promossa dal Governo austriaco nel 1780, del manuale di agricoltura di Lodovico Mitterpacher, diffuso nel resto della monarchia e adottato nella Università ungherese di Pest dove l'autore era professore di agraria fin dal 1777 (11). L'opera usci a Milano in tre volumi nel 1784 con le note di Carlo Amoretti e nello stesso anno venne distribuita gratuitamen­ te a tutti i parroci di campagna ( 12 ).

Nei primi anni dell'800 sembra placarsi l'insistenza su questo ruolo "agronomico" dei parroci, ma non la ricerca di una maggiore istruzione degli operatori agricoli e in primo luogo dei proprietari; Carlo Verri nella prefazione al saggio sulla coltivazione dei gelsi (1801) ravvisava nella scarsa preparazione agronomica dei massimi soggetti rurali la causa fondamentale della stazionarietà delle pratiche agrarie in Lombardia: "ecco i motivi pei quali - scriveva - mi sono proposto in questo breve saggio d'istruire que' giovani Possessori di fondi che bramano di conoscere una via certa e sicura per direzione de' proprj Contadini" (13). Con 1 'accelerazione impressa alla trasformazione della società in epoca napoleonica si accrebbe il peso degli insegnamenti scientifici e tecnici all'interno dell'edificio dell'istruzione pubblica (14); gli ingegneri, che con gli affituari svolsero un ruolo importante come moltiplicatori delle conoscenze