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L'ammissione degli allievi e l'organizzazione dell'Istituto agrario

ISTRUZIONE 5 TECNICHE RURALI IN TOSCANA: L'ISTITUTO AGRARIO DI MELETO

4. L'ammissione degli allievi e l'organizzazione dell'Istituto agrario

Non esistono in pratica studi specifici sull'Istituto a- grario di Meleto. A parte la descrizione che ne fece nell'800 un ex allievo (73), gli unici saggi sulla scuola di Ridolfi sono stati scritti negli anni '30-'40 del nostro secolo (74); questi fissano la loro attenzione soltanto sugli aspetti pedagogici dell'impresa, senza cogliere quello che in realtà finì per divenire il lato più importante della scuola di Meleto, vale a dire l'insegna mento tecnico-agrario e la sperimentazione agricola. Solo in tempi più recenti alcuni storici, nell'ambito di lavori più generali sulla storia dell'agricoltura, hanno giustamente citato Ridolfi e Meleto come parte del fenomeno sette-ottocentesco di crescita dell'interesse per il progresso agrario (75). E' naturalmente alla luce di questa prospettiva che ci accingiamo ad analizzare più in dettaglio l'organizzazione e l'attività della prima scuola agraria italiana.

Una volta stabilito che l'obiettivo fondamentale dell'Istituto era la formazione di fattori più capaci ed esperti, restavano in linea di principio esclusi dall'ammissione alla scuola i figli dei proprietari terrieri, che Ridolfi non vedeva pronti a tornare alla terra con funzioni tecnico-direttive. In effetti, dei primi dieci allievi accolti nel convitto di Meleto solamente uno proveniva da una famiglia di possidenti, mentre gli altri erano figli di fattori, di agricoltori o altro. La procedura che Ridolfi seguì per la loro ammissione fu la raccoman­ dazione privata di grandi proprietari terrieri; questi costituivano da un lato veicoli di pubblicità dell'iniziativa ridolfiana e dall'altro si facevano garanti della scelta dei soggetti da istrui­

re. Nel 1833 Ridolfi fece così circolare una lettera nella quale chiedeva a diversi proprietari di collaborare nella scelta dei futuri allievi:

"Siccome - scriveva - preme infinitamente per giungere al mio scopo che questi giovani abbiano la migliore disposizio­ ne in fatto di morale, d'intelligenza e d'amore per l'agricol­ tura, così ho creduto di dover interessare nella scelta dei medesimi persone dotate di fine discernimento, e per conseguenza a lei mi rivolgo, o signore, onde voglia, procuran domi un giovane da lei reputato idoneo, cooperare al mio disegno, e procurare nel tempo stesso alla provincia a cui desso appartiene il vantaggio di possedere un giorno o l'altro un agricoltore probo e istruito" (76).

La collaborazione dei proprietari interpellati fu sollecita e dieci giovani "campagnoli" di età compresa tra i dieci e i dodici anni furono presentati a Ridolfi da alcuni tra i più grandi detentori della ricchezza fondiaria della Toscana (77).

La fama che l'iniziativa di Ridolfi andò rapidamente acquistando, dentro e fuori i confini del granducato, fece crescere la domanda di istruzione e numerose giunsero le richieste per nuove ammissioni (78). Gli iniziali propositi di Ridolfi sul mantenimento a suo carico dei giovani e sull'esclusione dei proprie­ tari dovettero quindi essere rivisti. Il ristretto numero iniziale dei convittori era stato fissato dal marchese "sopra considerazioni puramente economiche, poiché mi impegnavo - scriveva Ridolfi - ad un gratuito mantenimento di quelli alunni per dieci anni di tempo. Le richieste premurose di nuove ammissioni mi fecero risol­ vere ad estendere convenientemente quel numero..." (79). Le nuove richieste venivano inoltrate soprattutto da proprietari terrieri, non soltanto toscani, desiderosi di istruire i loro figli secondo il piano previsto da Ridolfi. Altri otto allievi, sei dei quali appartenenti al ceto dei possidenti, furono così ammessi nel convitto dell'Istituto tra il 1835 e il 1836; è da notare che

nel drappelli© dei nuovi arrivati vi erano anche due modenesi, Filippo e Bartolomeo Codelupi, un parmense, Augusto Umberti da Fontanellato, ed un umbro, Francesco Grottanelli di Onano (Peru­ gia) (80)* Negli anni immediatamente successivi il numero dei giovani studenti crebbe ancora; ne furono ammessi altri dodici a partire dal 1837, prima trovando loro alloggio presso le famiglie del vicino borgo di Castelnuovo Val d'Elsa, poi accogliendoli direttamente nel convitto. Anche la provenienza di questi ultimi era assai varia: accanto agli otto toscani figuravano due emiliani, un umbro ed addirittura due inglesi, George e Robert Crafford (81). L'istruzione impartita a Meleto era dunque rivolta ad una trentina di giovani, figli di fattori e di proprietari terrieri, ai quali si aggiungevano i tre figli del marchese Ridolfi, Luigi, Lorenzo e Carlo. Mentre per i primi dieci ammessi la scuola si mantenne gratuita (l'unico obbligo delle famiglie era di versare ai giovani la modica somma di dieci paoli al mese), gli alunni ammessi succes­ sivamente dovevano essere mantenuti dai propri parenti o da qualche benefattore tramite il pagamento di una retta annuale.

Il proprietario di Meleto aveva in mente per tutti questi giovani (82) un corso di studi teorico-pratici della durata di dieci anni articolati in tre fasi principali: una iniziale nella quale procedere all'istruzione elementare degli allievi associata con le prime cognizioni di geografia fisico-statistica, di botanica e di geologia (83); un secondo periodo in cui l'insegna­ mento avrebbe riguardato essenzialmente la fisiologia delle piante, la chimica e la meccanica; un'ultima fase dedicata più propriamente alla preparazione del fattore con il prevalere dell'attività pratica ed una maggiore atenzione per

"la veterinaria, la pastorizia, la manipolazione dei primari prodotti della campagna, il commercio del bestiame e delle derrate, l'arte di tenere una scrittura regolare, una tintura

delle scienze amministrative, la direzione dei lavori come sorveglianti ai medesimi, la vigilanza sui contadini e sulla buona conservazione dei fondi, in somma le parti tutte di fattore..." (84).

L ’esercizio di un'attività pratica, ordinaria e sperimentale, avrebbe comunque rivestito fin dall'inizio un ruolo importante nell'istruzione degli allievi e nell'organizzazione dell'istituto.

Oltre al convitto per l ’alloggiamento dei giovani, gli altri elementi costitutivi dell’Istituto agrario erano il fondo modello, quello sperimentale, l ’officina agraria, la stalla, il vivaio e, in un certo senso, tutta la fattoria di Meleto. L ’Istituto venne infatti a porsi in diretto confronto con l ’insieme della tenuta, indirizzando ad essa, prima che all'esterno, gli stimoli innovativi, permettendo così di valutare preventivamente anche il grado di propagabilità del progresso agrario;

"Qui dunque - sosteneva Ridolfi - io dovea allato al nuovo lasciar durare il vecchio come termine di confronto, benché io sentissi che il suo durare mi era dannoso all'interesse; qui dunque io dovea far sorgere un modello d'agricoltura ragionata sperimentando gli stranieri perfezionamenti" e cercare "il modo di far passare le utili riforme agrarie non solo in Meleto tutto, ma ancora nel resto del nostro paese" (85).

L'opera intrapresa da Ridolfi non va intesa come rivolta esclusiva- mente alle poche decine di allievi che frequentarono la scuola; essa, attraverso l'organizzazione di una qualificata attività pratica sui fondi sperimentali gestiti a proprio conto dal proprie­ tario e la pubblicazione di resoconti periodici sul "Giornale agrario toscano", aspirava ad essere uno stimolante modello sia per i lavoratori della fattoria di Meleto, che per i proprietari e i fattori toscani in generale, prima ancora di diventare un punto di riferimento e d'incontro dei più esperti agronomi italiani. Per alimentare questa funzione di stimolo e di legame con la pratica agraria, Ridolfi istituì anche Le riunioni domenicali

dei suoi contadini, i quali avevano così la possibilità di confron­ tarsi direttamente con le innovazioni messe in atto sui fondi della scuola; l ’agronomo savoiardo Michel Saint-Martin, che si recò a Meleto nel settembre del 1834, restò favorevolmente impres­ sionato da tale iniziativa:

"C'était une dimanche, et je suis précisément arrivé pour 1 *installation d'une école des dimanches, que le philantrope agronome a ajoutée à son institut, en y appelant d'abord les familles de ses fermiers, pour servir, comme d'essai, de modèle et d 'encouragement au reste de la population" (86).

Elsa Luttazzi ha ricostruito con precisione il funzio­ namento della scuola di Meleto, individuando altrettanto bene i compiti che l'iniziaiva finì per assolvere nel quadro di un mutamento dei principi di gestione dell'attività rurale nelle fattorie della Toscana, l'idea di Ridolfi secondo la quale "non si loda in una intrapresa economica che l'utile che ne deriva" fu messa in pratica sui terreni sperimentali annessi alla scuola. Già nel primo triennio di attività il lavoro occupava una parte rilevante del programma d'istruzione: "Desti sull'alba - scriveva Enrico Mayer riferendosi agli alunni di Ridolfi - dalla voce stessa del loro educatore, essi dopo preghiera fatta in comune vanno ad armarsi dei loro arnesi agrarj, e scendono a lavorare nei campi che costituiscono il podere esperimentale" (87). Ridolfi assegnò ad ogni ragazzo un piccolo appezzamento di terreno per 10 svolgimento delle esercitazioni;.impegnò i giovani nella realiz­ zazione della "piantonaia" destinata alla riproduzione delle piante arboree, agli ortaggi ed alla sperimentazione di nuovi semi sotto la guida di un giardiniere francese (G.B. Bonnard); 11 condusse all'osservazione degli strumenti agrari fabbricati nell'officina aperta a Meleto quasi contemporaneamente all'Istituto, "i quali strumenti - scriveva Ridolfi - già perfezionati dagli stranieri, e dalla mia fabbrica riprodotti fedelmente

o con modificazioni che l'esperienza ha provato utili, stanno frattanto sotto gli sguardi di questi giovani, anzi lavorano effettivamente, talora guidati da loro stessi, tal altra da un bifolco addestrato nel loro impiego, le terre addette al Podere modello e sperimentale, quelle medesime delle quali sono gli alunni i principali coltivato­ ri" (88).

In pochi anni i fondi annessi all'Istituto agrario di Meleto, tenuti a conto diretto da Ridolfi e coltivati con l'opera degli allievi e di personale salariato, divennero un avanzato modello di agricoltura: dagli arnesi agli avvicendamenti delle colture, dall'allevamento del bestiame alla contabilità agraria, vari elementi tesimoniavano la volontà di promuovere una gestione di tipo capitalistico sul modello dei Thaér e dei Dombasle, innestando le loro indicazioni di fondo nel contesto agrario locale.

L'insegnamento impartito da Ridolfi e dai collaboratori che si era scelto riguardava, ancora nel 1840, diverse discipline; l'ammissione all'Isituto di giovani appartenenti alla classe più elevata dei proprietari aveva reso necessario l'inserimento nel programma di materie quali la letteratura, il latino e il francese. Tuttavia i corsi di Meleto continuarono ad essere modella­ ti secondo una prevalenza dell'insegnamento scientifico e soprattut­ to agronomico. Né venne mai a mancare la prassi di associare al momento teorico quello della verifica pratica. Lo stesso Ridolfi, concludendo uno dei suoi resoconti annuali, non trascurava di ricordare che

"l'Istituto di Meleto è essenzialmente Agrario; e l'esercizio pratico dell'agricoltura lo lega coll'amministrazione di un Podere Modello Sperimentale, d'una piantonaja ed orto, d'una bigattiera, d'una cascina, d'un ovile, d'una fabbrica d'arne­ si rustici" (89).

La chiusura della scuola maturò gradualmente tra il 1840 e il 1842, quando Cosimo Ridolfi fu*chiamato dal granduca

Leopoldo II a ricoprire l'incarico di direttore del nascente