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Leopoldo II a ricoprire l'incarico di direttore del nascente Istituto agrario dell'Università di Pisa, sul quale torneremo

IL PROGRESSO AGRARIO IN PIEMONTE VERSO LA META1 DELL*800: GLI ISTITUTI AGRARI DI SANDIGLIANO E DELLA VENERIA

1. Matteo Bonafous e l'Istituto agrario di Sandigliano

In Piemonte, prima ancora della celebrata opera agrono­ mica del conte di Cavour, alcune aziende agrarie adottarono indiriz zi produttivi di tipo capitalistico, con una crescente attenzione agli orizzonti commerciali e con tecniche-di coltivazione all'avan­ guardia. I proprietari di queste tenute furono in diversi casi

protagonisti del dibattito agrnomico e scientifico italiano. Ma nello stesso tempo erano anche uomini pratici: intorno al 1840 il marchese Emilio Sambuy acquistò a più riprese presso l ’officina agraria di Cosimo Ridolfi aratri e altri strumenti per la sua proprietà di Lesegno; dopo pochi anni aprì egli stesso una "fab­ brica" di macchine agricole dove si costruivano soprattutto ara­ tri, erpici, estirpatori e sarchiatori (1). Un altro nobile, il conte Villa di Montpascal, pur non riuscendo a concretizzare un suo prosètto di podere-modello, attuò ne"li anni *30

"alcune riforme circa al lavoro delle terre e al modo di seminarle; sottoposi ad esperimento - sono le sue parole - nuovi foraggi, introdussi nuove macchine agrarie tratte dall'estero, o fatte da me costruire sul luogo, stabilii alcuni metodi non per anco praticati pella miglioria dei terreni, per la formazione dei concimi, e soprattutto per un più ragionato avvicendamento" (2).

Proprio in Piemonte, forse anche grazie a queste espe­ rienze pilota, maturò un precoce interesse per la fondazione di scuole d ’agricoltura e di fondi sperimentali. Abbiamo già accennato all'impegno profuso in questa direzione da Matteo Bonafous, una poliedrica figura di scienziato il cui nome restò legato soprat­ tutto al miglioramento di due settori importanti dell'agronomia italiana ed europea: la gelso-bachicoltura e la maidicultura (3).

Passato attraverso studi umanistici e filosofici il Bonafous fu anche allievo del Jardin des plants di Parigi, si laureò successivamente in medicina in Montpellier e approdò, infine, allo studio e alle divulgazione di argomenti tecnico-agrari (4), Abitualmente domiciliato a Torino, egli tenne dal 1823 al 1851 la carica di direttore dell'Orto sperimentale che la Reale Acca­ demia di Agricoltura aveva istituito alla Crocetta, alla periferia della città piemontese. Qui venivano sperimentate in continuazio­ ne nuove varietà di grani, di mais e di riso; si cercavano i

migliori metodi di coltivazione per patate, barbabietole ed altre piante da radice, oleifere e tintorie. Sotto la direzione di Bonafous anche l'edificio annesso all'Orto venne destinato ad usi scientifici ed agronomici: vi furono sistemati erbari, colle­ zioni di minerali e modelli di strumenti agricoli; vi fu aperta una biblioteca e intrapreso l'allevamento dei bachi da seta (5). Come si ricordava poco sopra, fu proprio sulla gelsobachicoltura che Bonafous concentrò i suoi studi e le sue ricerche. Fra il 1821 ed il 1848 egli dette alle stampe almeno diciotto tra libri ed opuscoli riguardanti questo argomento, senza contare gli innu­ merevoli articoli apparsi su periodici francesi ed italiani (6). Parallelamente si dedicò ad una assidua attività pratica: una bigattiera sperimentale fu aperta da Bonafous ad Alpignano, nel torinese, mentre a partire dal 1841 egli istituì a Saint-Jean- ne-de-Maurienne, in Savoia, un "giardino agrario" per l'acclimata­ zione di piante indigene e per l'esercizio della bachicoltura, nell'intento di contribuire all'incremento delle risorse agricole di quelle valli alpine; a tale impresa associò una ricca bibliote­ ca che con le sue migliaia di volumi venne a costituire "la più completa e magnifica tra le raccolte d'ogni sorta di libri e memorie di bacologia" (7).

I molteplici contatti con il mondo scientifico da un lato e con l'ambiente degli agricoltori più innovatori dall'altro, assieme al continuo oscillare tra la Francia e l'Italia, fecero indubbiamente di Bonafous il protagonista di un'opera divulgatrice di respiro internazionale. Egli finì per costituire un anello di congiunzione tra l'agronomia francese ed il gruppo, di aspira­ zioni cosmopolite, di quei proprietari-agronomi che dalla Toscana al Piemonte puntavano con decisione al rinnovamento di alcuni settori dell'agricoltura italiana (8).

Bonafous espresse per la prima volta l ’idea di aprire un giardino sperimentale nel 1840; al congresso degli scienziati italiani di Torino propose infatti al dottor Mottard, corrispon­ dente della francese Société Royale d ’Agriculture, di assumere la direzione dell’iniziativa. La proposta si concretizzò verso la fine del 1841, quando l ’agronomo savoiardo stipulò per cinque anni l ’affitto del fondo di Saint-Jean-de-Maurienne e ne affidò la conduzione proprio al Mottard (9). In Piemonte, intanto, Matteo Bonafous era stato uno dei principali artefici della fondazione della Società biellese per l ’avanzamento delle arti, dei mestieri e dell'agricoltura, una associazione che si pose come primo obiet­ tivo la promozione dell’istruzione agraria. I risultati non si fecero attendere a lungo: nel 1841 fu inaugurata nel castello di Sandigliano, a poca distanza da Biella, una scuola agraria con podere sperimentale finalizzata a ’’sollevare l ’agricoltura tra le scienze industriali col darle quel carattere fermo e positi­ vo che generalmente le mancava finora" (10). Ai podere sperimenta­ le, in particolare, venne riconosciuta una importanza decisiva poiché doveva costituire lo spazio per 1 ’adattamento delle innova­ zioni alle circostanze dell’agricoltura locale: a dirigerlo e a svolgere le funzioni di professore di agronomia nella scuola fu chiamato, dopo un tentativo di assumere un allievo di Meleto, l’agronomo francese Edoardo Lecouteux, formatosi all’Istitut agri­ cole di Grignon. Le lezioni erano organizzate in un corso di studi triennale al quale vennero ammessi, a partire dal novembre 1841, giovani di età superiore ai sedici anni provenienti da tutto il regno di Sardegna. Ricalcando una prassi già adottata a Meleto da Ridolfi, venne assegnato a allievo un "campo di esercizio" per lo svolgimento di tutte le operazioni sperimentali, alle quali avrebbero potuto assistere anche coltivatori esterni. Già nel

1842 ventidue allievi prendevano lezioni dal Lecouteux e lavorava­ no sul fondo di circa venti ettari destinato alla sperimentazione. Nelle adunanze periodiche della Società biellese si discuteva l'attività della scuola e se ne fissavano gli indirizzi didattici e sperimentali; inaugurando quella del 29 agosto 1842, nella quale fu presentato anche il primo rendiconto dell'Istituto di Sandigliano, Matteo Bonafous sottolineò la necessità di mettere a frutto le conquiste della scienza agronomica: era giunta l'ora - disse - di "leggere nei libri e scrivere nei solchi" (11). Alcune incompatibilità tra il Lecouteux, privo - si disse - di sane abitudini religiose, e la direzione della società che sosteneva la scuola, presieduta dal vescovo Giovanni Pietro Losana, portarono presto al suo licenziamento. La sua sostituzione con Napoleon Donnet, un altro agronomo uscito da Grignon, non durò a lungo e così, nel 1843, il medico Bernardino Gromo, direttore della Società biellese, si rivolse direttamente a Cosimo Ridolfi affinché inviasse un suo allievo a dirigere l'Istituto di Sandiglia­ no. Gli indugi del marchese toscano fecero alla fine propendere ancora per un allievo di Grignon, il corso Giuseppe Antonio Ottavi, fermamente raccomandato e "garantito" da Auguste Bella (12).

Dal complesso dell'Istituto agrario di Sandigliano faceva parte anche una bigattiera per l'allevamento dei bachi da seta; in essa si verificava l'efficacia dei vari accorgimenti tecnici introdotti con precisi calcoli sul rapporto tra seme-bachi impiegato, foglia di gelso consumata e quantità di bozzoli prodotta. In una fase in cui si andava facendo sempre più grave il pericolo di malattie contagiose del baco da seta, l'attenzione degli agrono­ mi che diressero l'istituto si concentrò principalmente sulla riproduzione e sullo schiudimento delle uova, sulla somministrazio­ ne della foglia, sulla salubrità dei locali e sulle tecniche di

ricambio delle lettiere. Per compiere quest*ultima operazione furono adottate a Sandigliano delle speciali reti di filo che consentivano una rapida e frequente pulizia dei graticci sui quali vivevano e crescevano i bachi, **che è quanto dire - scriveva 1*Ottavi - levare la causa fondamentale delle diverse malat­ tie** (13). L*Ottavi sperava che l'esperienza compiuta all’interno del suo Istituto agrario servisse anche da esempio per i bachicol­ tori piemontesi, visto che da un ’indagine che egli stesso aveva condotto nel 1846 risultava che in tutta la Lomellina, nel Tortone- se e nel Vogherese un solo proprietario, il cavalier Vandoni di Vigevano, impiegava la tecnica delle reti di filo. L ’Istituto di Sandigliano, oltre a perfezionare e a propagandare il metodo, nel 1847 si dichiarava disposto a fornire le reti, al solo prezzo di costo, a tutti coloro che ne avessero fatta richiesta entro il mese di marzo. L ’iniziativa ebbe seguito e ci fu chi, come il conte Alessandro di Casanova, non solo richiese un ragguardevole numero di reti di filo, ma inoltrò anche la domanda per assumere un allievo di Sandigliano da impiegare nella conduzione del suo allevamento di bachi (14). E ’ da notare che le reti di filo sono rimaste il metodo più funzionale per il cambio dei letti dei bachi fin tanto che il loro allevamento è stato praticato.

L ’Istituto agrario di Sandigliano sostenuto dalla Società biellese per l ’avanzamento delle arti, dal Governo, dal Consiglio provinciale ed anche del reddito proveniente dal podere ammesso alla scuola. In pochi anni, sotto la direzione di Giuseppe A. Ottavi, si assistette ad un considerevole aumento della produzio­ ne e del valore-capitale del fondo, parallelamente al miglioramen­ to ed alla razionalizzazione delle pratiche agrarie:

**Vi dirò - asseriva l ’Ottavi nel 1850 - che l ’anno del mio arrivo a Sandigliano si contavano 34 ettolitri di grano e circa altrettanto tra formentone ed avena, 14.000 chilogr.

di fieno, tre o quattro botti di vino ed alcuni pochi acces­ sorii di fagiuoli, di pomi da terra e di foglia di gelsi; mentre in quest*anno possiamo contare su 63 ettolitri di grano, 34 ettolitri di formentone, 28.000 chil. di fieno, con molti accessorii di fagiuoli, di guado, di cardoni, di seme di trifoglio, un numeroso piantamento di gelsi, con una piantagione di viti, che incomincerà a dar frutti l*anno vegnente e con altre più giovani, ma più estese e meglio disposte. Epperciò io non temo di asserire, che la produzione si è quasi duplicata, e si triplicherà se ci date ancor tempo*' (15).

Sul piano tecnico le migliorie di maggior rilievo erano state apportate agli avvicendamenti delle colture, soprattutto con 1 * inserimento del trifoglio, all'allevamento dei bachi da seta, alla contabilità dell'azienda con 1*adozione del sistema di partita doppia e alla meccanica rurale, soprattutto con 1 * utilizzazione di strumenti messi a punto a Grignon, dalla cui scuola provenivano, come abbiamo visto, gli agronomi che si alternarono al vertice dell'Istituto agrario; fin dall'estate del 1842, per esempio, si osservava che l*uso del ’’nuovo aratro di Grignon ha già chiamato a sé 1*attenzione dei contadini dei dintorni, che vengono in folla ad ammirarlo** (16).

Il numero degli allievi non fu mai elevato, ma questi, una volta compiuto il loro corso di studi, riuscirono a sistemarsi

in varie province come direttori di grandi aziende o come affit- tuari-imprenditori (17). Nel 1851 si aprì a Sandigliano anche una scuola serale che fu frequentata da altri venticinque allievi; i.ia on.^ai la Società biellese era decisamente orientata a privilegiare la sua attività in favore delle "arti** e dei "mestieri**, a scapito dell’agricoltura. I soci erano in maggioranza propensi a sussidiare l ’Istituto d ’arti e mestieri aperto nel centro urbano, piuttosto che l’impresa di istruzione agraria nella vicina località di Sandigliano. Biella, d ’altra parte, non era un luogo qualunque; nella prima metà dell'800 questa città era il centro di un impor-

tante comprensorio di industria laniera, dove un gruppo di imprendi­ tori borghesi aspirava a realizzare un sistema economico fondato sulla libera iniziativa individuale, sul rinnovamento tecnologico e sull'allargamento dei mercati (18). L'iniziativa di Giuseppe A. Ot­ tavi per promuovere una ulteriore sottoscrizione di azioni "a favore dell'agricoltura e di una cattedra di veterinaria a Sandigliano" restò così senza esito (19). "Morì Meleto, muore l'Istituto agra­ rio forestale della Venaria; la stessa fine tocca ora forse a quello di Sandigliano": con tali parole lo stesso Ottavi apriva, sconsolato, il suo estremo tentativo per far continuare l'impresa che per anni aveva diretto (20).

Dal 1852-53 troviamo Giuseppe Antonio Ottavi insegnan­ te nella scuola di agricoltura eretta a Casale Monferrato dal Consiglio provinciale di quella città (21). Era finita l'esperienza di Sandigliano, "cessato perché mancarono le sovvenzioni prodotte da annue private soscrizioni" (22), ma l'istruzione agraria at­ traeva ormai sempre più l'attenzione degli esperti e veniva arti­ colandosi in Piemonte seguendo - come vedremo nelle pagine seguen­ ti - la rete dei comizi agricoli creati negli anni '40. Durante il suo soggiorno a Casale, 1'Ottavi utilizzò le sue lezioni per scrivere un manuale agrario che conobbe diverse edizioni e che venne giudicato "uno dei libri popolari che ebbero maggior diffu­ sione" (23). Negli anni '50 G. A. Ottavi era ormai considerato tra i più noti agronomi italiani. Lo stesso Cosimo Ridolfi non mancò di recarsi a Casale Monferrato nel maggio 1858 per conoscere da vicino questa interessante esperienza di istruzione e di divul­ gazione agronomica (24). Intanto, dopo l'esperienza di Sandigliano, si svilupparono in Piemonte altre iniziative volte al miglioramen­ to della gelsobachicoltura, come avvenne a Macello, nei pressi di Pinerolo, dove la comunità decise di affidare al maestro della

scuola comunale l'incarico di istruire praticamente i ragazzi e le ragazze nell'educazione dei bachi da seta, riproducendo per la prima volta in Italia una prassi già attuata in Francia (25).

2. Aziende agrarie e poderi-modello: il dibattito sulla sperimenta­