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La sensibilità per le innovazioni nell'agricoltura italiana degli anni '

Leopoldo II a ricoprire l'incarico di direttore del nascente Istituto agrario dell'Università di Pisa, sul quale torneremo

LE RIUNIONI AGRARIE E I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIAN

1. La sensibilità per le innovazioni nell'agricoltura italiana degli anni '

Sul piano della congiuntura economica il periodo compreso tra la Restaurazione e l'Unità italiana presenta una prima fase segnata da una caduta generale dei prezzi agricoli a livello internazionale; poi da una successiva ripresa, che in Ita­ lia si mostrò lenta e - quel che più conta - molto differenziata; infine dalla comparsa, nei primi anni '50, di alcune malattie pa­ rassitarle, che paralizzarono due settori trainanti nella formazio­ ne del reddito agricolo italiano, cioè la viticoltura e la sericol­ tura. In questo quadro, ci sembra di cogliere un risveglio della sensibilità innovativa tra i proprietari e gli imprenditori agrico­ li italiani, soprattutto a partire dalla fine degli anni f20. Dopo la crisi, la tendenziale e differenziata ripresa determinò, e rafforzò in certi casi, nuove ed interessanti spinte per il progres­ so e per le innovazioni tecniche nelle campagne. La stessa crisi operò - come è stato osservato - in modo selettivo (1) tra le di­ verse aree dell'Italia, favorendo quelle con una fisionomia agrico- lo-commerciale in grado di rispondere più prontamente alle solleci­ tazioni del movimento economico europeo. Le strutture agrarie vi­ genti e gli indirizzi di politica economica assunti dai governi gio­ carono in questo processo di selezione un ruolo decisivo, anche se non sempre chiaro da interpretare. Sul piano della struttura agraria furono duramente toccate soprattutto quelle regioni a quasi esclusivo indirizzo cerealicolo (Italia del sud) ed anche quelle in cui alla coltura granaria risultava associata la produzione

di generi del soprasuolo come olio e vino(Italia centrale). Questi prodotti - cereali, vino, olio - oltre ad essere i più colpiti dalla discesa dei prezzi, furono anche i più lenti a conoscere una risalita del proprio valore commerciale. La crisi dunque, ma anche il tipo di ripresa, stava ad indicare la necessità di un orientamento meno rigido della produzione agricola: da un lato venivano evidenziate le garanzie economiche del sistema della mixed farming, basata su una ricca ed integrata presenza del bestiame; dall’altro era sottolineata l ’urgenza di una generalizza­ ta razionalizzazione nell’impiego dei fattori produttivi, volta soprattutto ad un contenimento dei costi di produzione e ad una espansione delle produzioni più competitive sul mercato (bestiame, gelsi, bachi da seta). Nel giro di un decennio si era infatti rile­ vato senza futuro l ’allargamento dell’aurea coltivabile a scopo cerealicolo, così come era stata incoraggiata in molte zone dalla fase settecentesca di alti prezzi. In alcune situazioni si avviò allora una tendenza alla riconversione (a volte allo smantellamento vero e proprio) di capitali e di indirizzi produttivi stabiliti nelle campagne. Dove invece la struttura agricola era già in grado di rendere disponibili notevoli quantità di quei prodotti che la crisi aveva in certa misura risparmiato, o che la successiva ri­ presa indicava come i più adeguati a confluire con successo nel gioco del mercato europeo, le istauize di rinnovamento si concentra­ rono sugli aspetti più prettamente tecnici, anche di dettaglio.

Nel primo caso i singoli produttori non potevano esse­ re in grado di sostenere un così profondo sforzo di cambiamento e si dovettero creare stimoli dall’alto, centri di incoraggiamento e di esempio. Il ruolo dei proprietari più facoltosi ed intrapren­ denti divenne qui di primaria importanza nell * indicare per primi concrete ed efficaci vie di sviluppo, cioè di adattamento dell’at­

tività rurale alla domanda del mercato.

Nel secondo caso - pensiamo per esempio alla competi­ tiva agricoltura irrigua lombarda o alle zone dove era più diffuso l'esercizio della bachicoltura - gli operatori agricoli erano in­ vece in grado, grazie al più favorevole rapporto con il mercato ed a pratiche di conduzione già acquisite, di operare anche singo­ larmente quegli interventi tecnici e produttivi che via via si rendevano necessari per mantenere ed accrescere i propri redditi. Qui si trattava prevalentemente di un aggiustamento; là di un ten­ tativo di superamento e di radicali modifiche degli ordinamenti esistenti, dell'inizio di una sfida.

Sul versante culturale e scientifico questo articolato fenomeno provocò alcuni fatti rilevanti. Si sviluppò in primo luogo una regolare e competente stampa periodica a carattere agronomico, la cui diffusione finì presto per avere una dimensione veramente "nazionale" e la cui apertura culturale consentiva di travalicare ampiamente le frontiere italiane nel reclutamento delle idee e dalle esperienze da divulgare o da rielaborare. In secondo luogo risultò meglio definita e dotata di connotati professionali propri la figura di un nuovo scienziato, quella dell'agronomo. Come dimostra il caso di Meleto, fu in questa fase che nacquero le prime scuole di formazione agraria sotto la direzione di uomini la cui istruzione abbracciava le discipline scientifiche inerenti ai processi di produzione agricola (chimica, botanica, meccanica, ecc.), la conoscenza pratica delle operazioni rurali e il funziona­ mento del circuito economico. L'imponente processo di approfondi­ mento, di divulgazione e di concretizzare del sapere agrario permise f il superamento di una vecchia idea, cioè di quell'atteg­ giamento di stampo illuministico che identificava il progresso dell'agricoltura semplicemente con uno asforzo emulativo nei con-

fronti delle "rivoluzioni agricole" estere, avvenute in Inghilter­ ra o in qualche area continentale. Emerse definitivamente la consapevolezza, sostenuta da dati reali, della specificità non solamente del caso italiano, ma anche delle diverse agricolture che si esercitavano nel composito spazio geografico della penisola.

Ora, non è facile passare dall'analisi del fenomeno culturale nel suo complesso alla valutazione dei suoi effetti pratici, cioè dei suoi riflessi sull'assetto reale delle campagne italiane. Per ciò che concerne gli sforzi di rinnovamento delle operazioni agricole, bisogna osservare innanzitutto che lo spazio cronologico di alcuni decenni è insufficiente per valutare il suc­ cesso o l'insuccesso delle innovazioni che furono effetivamente introdotte in varie regioni, e che quindi sarebbe opportuno esten­ dere l'analisi del fenomeno innovativo almeno a tutto il secolo prima di formulare un giudizio conclusivo; così facendo ci accorge­ remmo, forse, che alcune delle innovazioni discusse e messe a pun­ to negli anni '30 e '40 conobbero una efficace applicazione soltan­ to dopo la grossa crisi agraria degli anni '80 (per esempio alcu­ ni metodi di concimazione e alcuni grossi congegni meccanici). Tuttavia, in alcune grandi tenute ed in alcune airee, consistenti innovazioni tecniche riuscirono a decollare già negli anni '40 dell'800; e questi casi non sono, a nostro avviso, da sottovalu­ tare, perché esercitarono nell’ambiente circostante una influenza a raggio crescente sugli altri produttori, anche su quelli di piccole e medie dimensioni che in diverse parti d'Italia costituiva­ no l'elemento portante della struttura agraria. E' indubbio insom­ ma che alcune trasformazioni attecchirono anche nell'immediato e permisero all'agricoltura di fornire un apporto originale al complesso dello sviluppo economico italiano, o perlomeno di arric­ chire il quadro delle sue "condizioni di fondo" (2). Tra la fine

del '700 e la metà dell'800, infatti, in un buon numero di grandi proprietà un mutamento (non sempre evidente ma profondo) dei criteri di gestione e delle tecniche di coltivazione, consentì di incrementare produzione e produttività, permettendo anche la monetizzazione di quote crescenti di capitale. Mascherato dall'at- teggiamento e dalle dottrine umanitarie e filantropiche del libe­ ralismo agrario, si verificò in molti casi un peggioramento delle condizioni di vita dei contadini insediati sulla terra con con­ tratti di compartecipazione al prodotto. In Toscana, in buona par­ te della quale vigeva la mezzadria, ma anche altrove nell'Italia centrale e nelle zone collinari del Nord, si assistette ad una proletarizzazione di fatto dei mezzadri e dei coloni, determinata in primo luogo dall'accentramento nelle mani del proprietario, o di qualche intermediario imprenditore, della direzione tecnica e produttiva e della maggior parte dei mezzi di produzione della azienda. Non è un caso che proprio negli anni '30 e '40 dell'800, cioè nella fase di massimo intervento dei proprietari sull'orga­ nizzazione e sulla tecnica delle aziende, riprenda vigore la discus­ sione sulla miseria e sulle precarie condizioni di vita dei conta­ dini; ciò è stato ben evidenziato per la Lombardia, ma vale ugual­ mente per altre regioni italiane, tra le quali il granducato di Toscana (3).

Da un punto di vista più strettamente tecnico gli sforzi innovativi più evidenti (ma non i soli, data l'importanza dei piccoli e diffusi miglioramenti di dettaglio, in sé per sé non rilevanti, ma spesso responsabili, nel loro complesso, di notevoli incrementi pruduttivi) si concentrarono negli anni *20 su tre aspetti principali: al Nord l'attenzione maggiore fu dedicata alla gelsobachicoltura, settore trainante soprattutto dell'economia lombarda e subalpina; nell’area toscana il progresso

forse più rilevante ed originale fu la messa a punto di nuove sistemazioni idrauliche dei terreni collinari finalizzate ad una viticoltura e ad una olivicoltura più specializzate; un po' dappertutto, infine, maturò l'interesse per l ’adozione di aratri moderni, metallici e con struttura meccanica asimmetrica, e per un generale perfezionamento degli attrezzi rustici (4). Nel decen­ nio successivo anche le questioni delle rotazioni agrarie, delle concimazioni e della coltivazione di piante "industriali" vennero approfondite in una misura senza precedenti. E fu in questa che le sedi delle discussioni agronomiche tesero sempre più a spostar­ si dalle sale delle accademie cittadine alle nuove società di provincia, alle aziende, ai novelli centri di sperimentazione agraria. La vicenda di alcuni grandi proprietari nobili illustra, talvolta anche fisicamente, questa traslazione di interessi verso la campagna secondo un'ottica imprenditoriale e capitalistica (5).