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La forza del paradosso.

LA MARATONA IL PRINCIPIO DELLA COMPOSIZIONE

1.17 La forza del paradosso.

Possedere un quesito, un segreto, un enigma, significa anche possedere energia. Alschitz ricorda che uno dei suoi maestri, Anatolij Vasil’ev, riportando alcune parole di Dostoevskij, ammoniva gli scrittori contro un’esposizione eccessivamente diretta dell’idea principale, invitando a custodirla segretamente. Una persona difficilmente prevedibile risulta spesso interessante, e allo stesso modo un ruolo appassionante è vivo grazie all’enigma che contiene. Gli attori non devono rivelare il segreto del proprio ruolo, per timore di non essere compresi, così come della vita tutti vogliono scoprirne il segreto «ma nessuno ha fretta di farlo». Ciò che non è prevedibile è interessante.

«Nel mondo esistono le regole, ma anche le eccezioni, che sono, in un certo senso, gli errori del sistema»156, ciò che rende i luoghi della vita umani. L’errore è ‘qualità’ umana che, evidenziando la differenza nei confronti della macchina, ne sostiene il valore artistico. Emergono in questo modo i paradossi che rendono umano l’uomo: il ruolo è un insieme di paradossi. Nei primi anni del suo percorso teatrale, racconta il maestro russo157, di aver messo in scena Romeo e Giulietta con attori anziani, settantacinque anni Romeo e pochi in meno Giulietta. La tragedia riferisce di due amanti giovani, ma questa inesattezza ammessa, aveva permesso di creare in sce- na motivi freschi, inconsueti: senza errori, senza uno «spirito ludico», l’arte non potrebbe permettersi di trasgredire alle regole che essa stessa si permette di crea- re. Ecco perché si raccomanda agli attori di «cercare ovunque un paradosso», per renderci capaci di dubitare che l’addizione di due più due risulti quattro, che bianco è bianco e nero è nero, perché i paradossi superano la realtà, ci fanno valicare la 154Ivi, p. 109

155 Mi scuso con chi legge, se a volte mi esprimo vestendo gli abiti dell’attore, lo faccio con coscienza, credendo utile questo mio atteggiamento, oscillando costantemente da una posizione di osservatore ester- no, a quella vivace di testimone che porta la propria esperienza di vita, tra lavoro e quotidiano.

156 Jurij Alschitz, La matematica dell’attore, cit., p. 116 157Ivi, p. 117

banale logicità, ed inventando nuovi significati ci aiutano «ad evitare l’uso indiscri- minato dei cliché più logorati»158 e logoranti. Cebutykin di Tre sorelle testimonia che il paradosso è la legge dell’esistenza umana; Beckett, in cui il paradosso portato ai confini diventa assurdo, ci fa apparire la logica come un nuovo paradosso, poiché la vita non ha nulla di logico. Paradossale è che nella vita si attenda qualcosa, e che durante l’attesa il rischio sia di dimenticare ciò che si stava aspettando. Nel ruolo, nell’Idea, tali paradossi159 porteranno l’attore (‘veicolo’ tra spettatore e Idea) a gio- care, ascoltarsi.

Esso è mezzo per attore (e spettatore) di un costante “sorprendersi”, è capace di generare nuove fonti di energia scenica. Grotowski spiega: «Un’altra tecnica che tende a mettere in luce la struttura segreta dei segni è la contraddizione (tra il gesto e la voce, la voce e la parola, la parola e il pensiero, la volontà e l’azione, ecc.)»160. Parole che trovano intersezione nel “paradox” insegnato da Alschitz ai suoi allievi, durante la ricerca del ruolo per cui “ciò che è bianco è nero”, «White is black and black is white»161. È necessario cercare il paradosso nelle azioni dei personaggi e così anche nelle proprie, essere continuamente alla ricerca del cambio di direzione, non abituarsi mai, poiché l’abitudine è statica e nell’abitudine non vi è “tensione”. Se l’intonazione vocale, in Grotowski, «nega non solo il testo ma anche i gesti e la mimica»162, la “contraddizione”, nel pensiero metodologico di Alschitz è, ad esem- pio, nel lavorare su ritmi differenti per corpo e voce: mentre la voce dell’attore ri- porta un testo in modo estremamente ansioso (e le parole quasi corrono sulla voce, scappano), il corpo si muove lentamente, sembra essere quello di un’altra persona; oppure, al contrario, è il corpo ad avere movimenti veloci e nervosi, in contrapposi- zione con le parole che sono invece tranquille, con toni e ritmi pacati. Esiste poi una dimensione differente nello sguardo, una sorta di specchio di ciò che l’attore porta dentro come idea guida, l’Idea che guida le sue azioni nella scena. Sono linee di lavoro parallele, che possono incrociarsi: una linea del movimento, una della parola, una dell’Idea. In queste linee il metodo di Grotowski si incrocia a quello di Alschitz.

158Ivi, p. 118

159 «Paradox!», spingeva nelle sessioni di lavoro Yurij, «Looking for paradox!», dovevo cercare il paradosso, il gioco, la sorpresa, il cambio di direzione in scena, in quel momento e non in un altro... quel momento, il momento giusto.

160 Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, cit., p. 24

161 Sono parole di Alschitz, per le quali si veda l’appendice Diario della mia prima sessione di lavoro. 162 Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, cit., p. 90

UN SISTEMA DI COPPIE.

Spesso il paradosso è fatto emergere confrontando le coppie (nella drammaturgia ogni volta esistono delle coppie, Alschitz infatti suggerisce di leggere il dramma come un sistema binario). Sono coppie Tuzenbach-Solionyi (da Tre sorelle), Macbeth-Banquo (da Macbeth)... i personaggi sono connessi, una parte degli uni si riflette negli altri, ed esiste sempre una tensione costante tra gli elementi della cop- pia, anche quando non s’incontrano. Nella coppia Macbeth-Duncan, figlio-padre, vassallo-generale, carnefice-vittima, esiste senza fine un’influenza reciproca: «se da un lato, Macbeth ha ucciso Duncan, dall’altro, Duncan ha ucciso Macbeth: l’as- sassinio del re, infatti, uccide spiritualmente l’eroe».163

ILGIOCO, per altro, aiuta a terminare la pièce con energia ‘up’, verso l’alto, quell’OL- TRE a cui gli attori devono continuamente guardare, anche fisicamente, mentre sono in scena, per portare lo spettatore, mano nella mano, verso la vittoria della vita. È necessario coraggio per arrivare alla leggerezza, all’abbandono dell’identificazio- ne nel personaggio avendo invece uno sguardo distaccato e affettuosamente ironi- co. «Gli attori sono sempre tentati ad enfatizzare la drammaticità dove non è ne- cessario, a creare una tragedia sul nulla, [...] non amano ridacchiare del dramma dei personaggi». È invece «necessario imparare a vedere in un’ottica umoristica un po’ tutto il ruolo»164. «Sarebbe sbagliato pensare l’azione fisica esclusivamente come un modo per illustrare il testo. [...] Si tratta di un piano autonomo di realizza- zione del ruolo, con un proprio inizio, un culmine e un finale, dotati di un loro ritmo e di un loro significato. In determinati momenti, le tre linee d’azione (fisica, emotiva e verbale) possono confluire e andare nella stessa direzione. Più spesso queste linee seguono il proprio percorso. [...] Ideale sarebbe riuscire a fare in modo che, se uno spettatore chiudesse gli occhi e vi ascoltasse soltanto, mentre l’altro chiudesse le orecchie e vi osservasse, alla fine i due ricevessero impressioni totalmente diverse, come se si fosse trattato di due storie differenti»165.

163 Jurij Alschitz, La matematica dell’attore, cit., p. 120 164Ivi, p. 125

Capitolo Secondo - Il nuovo ruolo dell’umano.

Ricordi quello che il crocifisso disse al ladrone morente alla sua destra: “Oggi stesso, sarai con me in paradiso.” Il giorno finì, essi morirono, e non ci fu né paradiso né resurrezione. Eppure que- st’uomo era il più grande di tutta la terra. Il pianeta intero e tutto quello che ci vive è follia senza quest’uomo.

Camus, I Demoni