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La provocazione La caduta delle maschere.

LA MARATONA IL PRINCIPIO DELLA COMPOSIZIONE

2.7 La provocazione La caduta delle maschere.

«Se l’attore provoca gli altri provocando se stesso pubblicamente, se [...] scopre se stesso gettando via la maschera di tutti i giorni, egli permette anche allo spettatore di intraprendere un simile processo di auto-penetrazione»213. La “provocazione” di se stessi, secondo il pensiero di Alschitz, è un mezzo essenziale di liberazione dai clichés in cui ogni attore è solito rifugiarsi. Grotowski osserva come «un attore con una buona dose di esperienza possa costruirsi un suo personale “arsenale tecnico” - cioè un insieme di metodi, artifici e trucchi da sfruttare [...]. Questo “arsenale” o “riserva”, non può essere altro che una somma di clichés»214, che forma un “attore- cortigiana”. «L’attore santo» invece è padrone della dedizione, del dono di sé. L’”attore-santo” non aggiunge, ma elimina... blocchi psichici che lo mascherano. La «tecnica di penetrazione» dell’attore è un fattore determinante nel suo processo di crescita, infatti Grotowski precisa che ogni attore deve «imparare a far uso della sua parte come di un bisturi che gli serva per auto-sezionarsi. Non si tratta di rap- presentare se stesso alle prese con alcune determinate circostanze, né di “vivere” un personaggio; [...]. È fondamentale, invece, utilizzare il personaggio come un trampolino, uno strumento che serva per studiare ciò che è nascosto dietro alla nostra maschera di ogni giorno - l’essenza più intima della nostra personalità - per

211 Roberta Carreri, Tracce, cit., p. 174

212 Regista e attore argentino. Dopo l’esperienza nel Gruppo Farfa e nell’Odin Teatret, ha fondato non nel suo paese, ma in Bolivia, il Teatro de los Andes, in una vita passata per scelta in esilio.

213 Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, cit., p. 42 214Ivi, p. 43

offrirla in sacrificio, palesandola»215. È chiaro che il peso della persona, prima anco- ra che quello dell’attore, sono un segnale distintivo del metodo di Grotowski. E all’uomo, alla sua maturità artistica, si riferisce anche Alschitz, sebbene, rispetto al maestro polacco, l’asse venga spostato. Il personaggio, come si è detto, è un tram- polino, un tramite per l’attore che può così lanciarsi verso la “luce”, quella “verticale del ruolo” che segnala il percorso. Per il maestro russo è un attore autore della sua scena, autore perché l’attore deve essere anche filosofo, artista completo; per Grotowski l’attore deve essere santo, pronto al sacrificio. «Se egli non esibisce il suo corpo, ma [...] lo brucia, lo libera da ogni resistenza agli impulsi psichici, allora, egli non vende il suo corpo ma lo offre in sacrificio; [...] si avvicina alla santità»216, e per arrivare a fare ciò è necessario l’allenamento. Un allenamento che è fulcro del lavoro di attore, che come un pittore, un danzatore, un cantante, deve lavorare quotidianamente, accompagnato da una disciplina che secondo entrambi i pedago- ghi porteranno l’attore ad essere sincero, senza maschera, e quindi credibile. Lo spettatore di Grotowski comprende che l’invito dell’attore è rivolto a lui, che l’at- tore, liberandosi delle sue maschere (denudandosi), lo sta spingendo ad un’analisi di se stesso217. Non è svago dopo una dura giornata di lavoro, il diritto al relax esi- ste e vi sono altre forme di divertimento adatte allo scopo, ma qui è in gioco un’esi- genza spirituale, e non è nemmeno un teatro d’élite, poiché «l’operaio che non è mai stato al liceo può essere in grado di attuare questo processo creativo di ricerca di sé, mentre il professore universitario può essere, a questo riguardo, morto»218. C’è quindi indubbiamente la necessità di un pubblico particolare.

In sintesi si potrebbe dire che per Grotowski, Barba219, e Alschitz la sincerità dell’attore porti alla “luce” del ruolo. Si arriva a comprendere che «L’essenza del 215Ivi, p. 45

216Ivi, p. 42 217Ivi, pp. 45-46 218Ivi, p. 49

219 Tra gli allievi di Grotowski, nel 1964 Eugenio Barba fondò l’Odin Teatret a Oslo, poi trasferito nel 1966 a Holstebro, in Danimarca. La sua scuola dipese di certo dal maestro, ma creò una propria indipendenza. Alcune caratteristiche: spettacoli di 60-100 persone e non di più, a segnalare il rapporto intimo tra attori e spettatori; l’ambiguità dei messaggi proposti negli spettacoli; la creazione di una storia di un gruppo autodi- datta (che appunto in quanto autodidatta riuscì a slegarsi dai clichés in cui era rinchiuso l’attore professioni- sta); la creazione di un gruppo di lavoro che ha accettato di vivere nell’isolamento per la propria ricerca; l’importanza delle relazioni tra coloro che fanno teatro assieme. L’Odin Teatret era una sorta di «micro-so- cietà», guidata all’interno da un leader che era Barba. Ciò che interessa alla mia analisi è che il gruppo vivesse della propria collaborazione continua. Le esperienze dei membri del gruppo (danza, mimo, ginna- stica, acrobazia, etc.) venivano mischiate a creare il mosaico di esperienze umane di cui uno spettacolo era il risultato. Quindi l’arte drammatica di Eugenio Barba si incrociava con l’arte indipendente di ogni singolo attore. La crescita di questo gruppo (o ensamble) di lavoro, si fondava sull’esercizio quotidiano.

teatro è costituita da un incontro»220, quello dell’attore con la sua realtà più profon- da, quello con il regista, quello (da parte di attore e regista) con il testo, quello con lo spettatore: è un generale superamento della propria solitudine.

Capitolo Terzo - La parola irreversibile: la parola detta.

DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE SE NON ETTERNE, E IO ETTERNO DURO. LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CH’INTRATE.

Queste parole di colore oscuro vid’io scritte al sommo d’una porta; per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro»

Dante, Inferno III Sento il mio cuore, e conosco gli uomini. Non sono fatto come alcuno di coloro che esistono. Se non valgo di più, almeno sono diverso.

Rousseau