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Il teatro povero e il superfluo.

LA MARATONA IL PRINCIPIO DELLA COMPOSIZIONE

2.6 Il teatro povero e il superfluo.

In più luoghi Grotowski sottolinea come e quanto la tecnica scenica e personale dell’attore sia il nucleo dell’arte teatrale. Eliminando tutto ciò che può essere super- fluo, «il teatro può esistere senza cerone, senza costumi e scenografie decorative, senza una zona separata di rappresentazione (il palcoscenico), senza effetti sonori e di luci, ecc.»198, non può invece esistere senza «una comunione di vita fra l’attore e lo spettatore»199.

Alschitz ama i dettagli, perché molto più potenti di elementi maestosi, anch’egli ama quindi un “teatro povero”. Quando gli attori del Teatro Laboratorio decisero di fare a meno del cerone, e di tutto ciò che l’attore abitualmente indossava nel camerino prima di una rappresentazione, ritennero di doversi trasformare «sotto lo sguardo del pubblico, - in un modo povero, servendosi soltanto del proprio corpo e della propria arte. La costruzione di una espressione facciale fissa grazie all’uso esclusi- vo dei muscoli dell’attore e dei suoi intimi impulsi raggiunge un effetto di una tran- sustanziazione tipicamente teatrale, mentre invece, la maschera apprestata da un truccatore rimane soltanto un trucco»200. Ci si occupa di teatro nello sforzo di «libe-

195Ibid. 196Ivi, p. 23 197Ivi, p. 46 198ivi, p. 25 199Ibid. 200ivi, p. 27

rarci della maschera che ci è imposta dalla vita»201, perché il teatro è da sempre un luogo di provocazione. Provocare significa anche investire lo spettatore, colpirlo, scuoterlo.

«Noi sappiamo che il testo di per sé non fa teatro, ma che esso diventa teatro attra- verso l’uso che l’attore fa di esso»202, l’attore trasforma «il pavimento in mare, un tavolo in un confessionale, un pezzo di ferro in un partner animato»203, è l’insegna- mento che l’attore deve cogliere dal BAMBINO, libertà d’immaginazione e fede pro- fonda nella realtà della propria fantasia. Sotto questa luce, ancor più diventano interessanti le parole di Torcov che ai suoi studenti precisa: «Quando sarete arrivati ad avere il senso del vero e la convinzione che i bambini mettono nei loro giochi, potrete diventare grandi attori»204. Il bambino, con tutta l’incoscienza che lo rende speciale, è capace di ridere d’innocenza. Ride del tempo, perché egli è vaccinato a quel peso, il tempo della vita non è un tempo a cui prestare attenzione. Per il bam- bino esiste il tempo della favola. Sebbene nella “realtà” il tempo esista, nella “sua realtà” esiste solo il tempo della favola. Vive a proprio modo una musica che sol- tanto lui (e chi condivide il suo gioco con lui) ha la capacità di udire. Egli dimostra che per “FARE REALTÀ” non serve altro che fantasia e FIDUCIA in ciò che si fa, CREDE- RE SERIAMENTE AL PROPRIO GIOCO. Il bambino è così capace di un teatro povero e ripulito dal superfluo.

Il problema su cosa sia indispensabile al teatro propone una risposta a chi si chiede se sia ancora necessario fare teatro. Seguiamo la riflessione di Grotowski: «Il teatro può esistere senza costumi e scenografie? Sì. Può esistere senza musica che commenti lo svolgersi della azione? Sì. Può esistere senza effetti di luce? Certa- mente. E senza testo? Sì; la storia del teatro ce lo conferma: nell’evoluzione dell’arte teatrale, il testo è stato uno degli ultimi elementi ad essere introdotto. [...] ma può il teatro esistere senza attori? [...] Può esistere il teatro senza spettatori? Ce ne vuole almeno uno perché si possa parlare di spettacolo. E così non ci rimane che l’attore e lo spettatore. Possiamo perciò definire il teatro come “ciò che avviene tra lo spettatore e l’attore”. [...] Tutti gli altri elementi visuali, per esempio gli ele- menti plastici, sono costruiti dal corpo dell’attore e gli effetti acustici e musicali dalla sua voce. Con questo non voglio dire che disprezziamo la letteratura, ma che sem- plicemente non troviamo in essa la fonte creatrice del teatro, sebbene [...] stimo-

201Ivi, p. 28 202ibid. 203Ibid.

lante sul processo creativo»205. Diviene fondamentale esser esigenti sulla forma- zione dell’attore. L’attore è un uomo che dà pubblicamente il suo corpo, attraverso il suo lavoro, ma più chiaramente è uno strumento per «compiere un atto spirituale»: il superamento di se stessi.

«Non sarà mai possibile raggiungere la perizia tecnica del cinema o della televisio- ne. Il teatro deve ammettere i suoi limiti. [...] Non ci rimane allora che un attore “santo” in un teatro povero. La vicinanza dell’organismo vivo: ecco il solo elemento, di cui il teatro non può essere defraudato né dal cinema né dalla televisione: grazie a ciò, ogni provocazione lanciata dall’attore, ognuno dei suoi atti magici (che il pub- blico è incapace di ripetere) diventa qualcosa di grande, straordinario e simile all’e- stasi. Per questo è necessario abolire la distanza tra l’attore e lo spettatore facendo a meno del palcoscenico [...]. Che [...] avvenga faccia a faccia con lo spettatore così che egli sia a portata di mano dell’attore, possa sentire il suo respiro e percepi- re il suo sudore. Da qui la necessità di un teatro da camera»206. Grotowski credeva che il rinnovamento non potesse arrivare di certo dagli ambienti accademici, ma piuttosto da quelli dilettantistici, al margine del teatro professionista, da autodidatti arrivati ad uno standard tecnico superiore a quello richiesto dal teatro dominante perché non temevano di lavorare in modo approfondito su loro stessi207.

FORSE LO SPRECO È LA REGOLA.

Lavorare ha spesso significato spendersi in proposte che poi non sarebbero andate in scena. Racconta la Carreri208 che durante la preparazione di Sale209 (sedici settimane di lavoro tra 2001 e 2002), ogni giorno Barba cambiava montaggio, gli attori non riuscivano a far diventare organico lo spettacolo perché, quando comin- ciava ad essere assimilato, lui ne cambiava la stesura con dei tagli. La frustrazione in sala-prove era palpabile. Ore di improvvisazione dimenticate; in certi passaggi, per dare risalto al testo, era stata preferita l’immobilità. Metà degli strumenti che Jan Ferslev210 aveva imparato a suonare con ore e ore di esercizi non era entrata a far

205 Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, cit., pp. 40-41 206Ivi, pp. 50-51

207ivi, p. 59

208 Nel 1973 vive a Milano, ha vent’anni, universitaria, e non ha mai fatto teatro. Vede La casa del padre, spettacolo dell’Odin Teatret. Ne rimane folgorata, nel 1974 si trasferisce a Holstebro, in Danimarca, per entrare nel gruppo guidato da Barba.

209 Roberta Carreri, Tracce, Milano, Il principe costante, 2007, p. 174 210 Musicista e attore danese entrato nell’Odin Teatret nel 1987.

parte della versione definitiva di Sale. «Spreco? Il poeta scrive mille pagine per poter pubblicare un libro di cento. Spreco? Forse lo spreco è il metodo»211.

Ciò che ho sentito più volte ripetere da César Brie212 è di «Non affezionarci» alle scene che componiamo, per arrivare a capire cosa sia realmente necessario nell’e- conomia di uno spettacolo, per rimanere sempre obiettivi nei confronti della nostra creazione. Tagliare è forse più difficile che scrivere o aggiungere. Spesso si ag- giunge il superfluo, ma per arrivare all'equilibrio e alla pulizia, serve tagliare il non necessario, facendo estrema attenzione a non eliminare l'utile. Scavare a fondo, a volte, è accettare di dover tagliare dei legami, accettare la realtà: come succede nella vita, così succede nel teatro (che spesso della vita ne è lo specchio).