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Francesca Di Marco

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G

IAPPONE

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FRA EREMITIEKOMORIZOKU

Nel 2000, una nuova malattia sociale, apparentemente esclusiva alla realtà giapponese e denominata hikikomori, entra nella consapevolezza pubblica dapprima giapponese e presto mondiale tramite cronache e reportage mediatici. L’ampia visibilità del fenomeno, in parte dovuta all’abbondante quantità di notizie nei vari media e in parte all’associazione che i media hanno evidenziato fra hikikomori e ‘sensazionali’ atti di violenza, ha contribuito alla divulgazione capillare di hikikomori come una pericolosa etichetta sociale.

Nel 2001, per la prima volta viene pubblicato un documento ufficiale governativo sul fenomeno dello hikikomori,1 una malattia peculiare della società giapponese senza un equivalente occidentale nelle caratteristiche e nella portata. Lo hikikomori entra così nei vocabolari del pubblico giapponese e di quello mondiale come una malattia mentale particolare del popolo giapponese che non ha equivalente altrove. Secondo le stime, circa un milione di giapponesi sono affetti da questa forma di rifiuto a partecipare alle norme socialmente stabilite. La sanità pubblica e i portavoce istituzionali e governativi iniziano così a classificare ufficialmente la gioventù reclusa sotto l’etichetta di hikikomori con un’aria di legittimità.

Un ampio dibattito ha seguito il conio del termine hikikomori e le stime apparentemente fallaci del numero delle vittime, e il dubbio che questo fenomeno – considerato indigeno – potesse servire a perpetuare lo stereotipo dell’unicità giapponese e a rinforzare l’idea di nihonjinron venne sollevato da molti accademici.

1 Michael J. Dziesinski, Hikikomori: Investigations into the phenomenon of acute social

withdrawal in contemporary Japan, University of Hawai’i Manoa, Honolulu 2005, p. 8.

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Lo hikikomori è un fenomeno ‘nuovo’ o è soltanto una nuova etichetta per più vecchi fenomeni sociali presenti nella cultura giapponese quali tōkōkyohi (rifiuto della scuola), o otakuzoku (tribù di ossessionati di anime e manga)? Che ruolo giocano i media nell’esacerbazione del problema dello hikikomori e nella promozione di affinità, entusiasmo o terrore per le vittime? È ragionevole attribuire allo hikikomori la designazione di malattia culturale distintiva della società giapponese o si può supporre che in questa affermazione si perpetui il mito di nihonjinron?

Ci si propone qui di analizzare il processo di costruzione del concetto di hikikomori in Giappone nell’ultima decade tramite l’analisi di testi finzionali. Tale ricerca si basa sulla premessa che esiste una circolarità fra la presentazione del fenomeno dello hikikomori (il fenomeno costituito da casi concreti) e la sua rappresentazione (l’immagine dello hikikomori costruita dai mass media). Da un’analisi preliminare su un corpus di testi narrativi diffusi dai mass media, è emerso che esiste una discrepanza fra i testi non finzionali e finzionali. Mentre nei primi, l’immagine dello hikikomori è descritta come un comportamento sociale deviante, come una malattia mentale e come un fenomeno peculiare della società giapponese, nei secondi la rappresentazione dello hikikomori si arricchisce di immagini quali fenomeno naive, ‘tribale’ e alla moda. È dunque utile chiedersi come sia organizzata la conoscenza dello

hikikomori dai mass media e come venga azionata la circolarità fra coloro

che producono contenuti, coloro che praticano questo stile di vita e il resto del pubblico. L’obiettivo è quello di fare luce sul come la rappresentazione dello

hikikomori nei testi finzionali sia passata dall’etichettare il fenomeno come

peculiare e come stigma sociale, a ‘movimento rivoluzionario del 2000’. La metodologia d’analisi applicata in questa ricerca è l’analisi del discorso. Uno dei suoi presupposti fondamentali è che la lingua non è trasparente o riflettente ma costitutiva: è il luogo in cui il significato è generato e cambiato. La lingua palesa memorie e opinioni già formate e stabilite; essa è dunque un’importante componente nel processo di categorizzazione delle attività. La formazione di nuovi termini permette alla gente di parlare differentemente delle cose, non di ‘etichettarle’ differentemente. I discorsi sono produttivi, producono gli oggetti di cui parlano. Sono così costitutivi, poiché costruiscono una versione particolare del soggetto: definiscono e stabiliscono che cosa è la verità in momenti particolari e interagiscono e sono mediati da altri discorsi dominanti.2 A questo proposito, è infatti necessario menzionare che il discorso è collegato ad altri elementi: intertestualità (citazioni e riferimenti ad altri testi), interdiscorsività (interazione con altri discorsi, stili e genere narrativi) e ricontestualizzazione (l’assegnazione di nuovi significati a elementi testuali e stilistici ‘vecchi’ o ‘prestabiliti’).3

2 Norman Fairclough, Analyzing Discourse: Textual Analysis for Social Research, Routledge, London 2004,pp. 121-134.

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173 Nell’analisi dei testi finzionali, si considererà il rapporto del fenomeno dello hikikomori con altre categorie, quali il benessere, la cultura e la gioventù. Inoltre, sarà analizzata la maniera in cui lo hikikomori viene identificato, e cioè se si tratta di un problema e di che genere e portata; se si tratta di una minaccia alla stabilità sociale, di un campanello d’allarme di una disfunzionalità ben più profonda o se si tende a omogeneizzare i casi. Oltre all’analisi del discorso, è fondamentale far emergere anche l’‘anti-discorso’, ovvero l’assenza del discorso, i silenzi e le resistenze, cioè quelle sfide più velate rivolte alla rappresentazione più convenzionalmente accettata del fenomeno.

L’analisi del discorso dello hikikomori in Giappone nell’ultima decade sarà condotta su un corpus di testi narrativi visuali (spot pubblicitari, film e serie televisive). Tale approccio metodologico seguirà due fasi analitiche: analisi del discorso (attraverso metodologie semiotiche e di analisi del contenuto) e infine analisi interpretativa.

Il concetto di hikikomori nella non-fiction: terminologia e sensazionalismo

Al fine di comprendere il processo di costruzione del concetto di

hikikomori nei testi finzionali, è necessario analizzare innanzitutto la nuova

terminologia creata per categorizzare il fenomeno, la sua divulgazione nei testi non finzionali (quotidiani e programmi informativi televisivi) e i dibattiti che hanno seguito.

Il termine hikikomori è stato coniato nel 2000 dallo psicologo Saitō Tamaki, direttore dell’ospedale Sofukai Sasaki, quando cominciò a rendersi conto della similarità sintomatologica in un numero sempre crescente di adolescenti che mostravano letargia, incomunicabilità e isolamento totale.

Hikikomori designa uno stile di vita della gioventù giapponese che consiste

nella volontaria reclusione domestica e nel rifiuto della partecipazione alla vita sociale. Lo stesso Saitō lo descrive come un esteso fenomeno sociale e come una “tragedia nazionale”.4 Oltre all’isolamento sociale, gli hikikomori soffrono tipicamente di depressione e di comportamenti ossessivo-compulsivi. Si potrebbe affermare che è una forma di apatia; una sorta di ribellione silenziosa.

Secondo le sue valutazioni, la diffusione del fenomeno in Giappone è iniziata all’incirca un decennio fa e stima che nel 2001 ci siano stati fra 500.000 e 1.000.000 di giovani affetti dalla sindrome di hikikomori. L’80% delle vittime è costituito da ragazzi e il 20% da ragazze, tutti appartenenti a una fascia d’età compresa fra i 14 e i 20 anni. Le stime di Saitō sembrano analizzare impropriamente i dati e la portata del problema, dato che se le statistiche citate fossero vere, un giapponese su 100 e quindi il 20% di

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maschi adolescenti vivrebbe isolato nella propria stanza, astenendosi dal partecipare a qualsiasi attività sociale.5 Per la natura stessa della sindrome, è molto complesso identificare un numero preciso di malati e le relative cause, ma è evidente che la frenetica attività dei media nel narrare e valutare il fenomeno come ‘sensazionale’ e ‘pericoloso’ può aver indotto una irragionevole valutazione del problema.

Stime più caute parlano di un numero di malati che va dai 100.000 ai 320.000 individui, e di una fascia di età più estesa. Secondo i dati pubblicati il 4 maggio 2001 dal ministero della Sanità e del Lavoro a seguito di un’indagine di sei mesi, sono stati registrati 6.151 casi di hikikomori in 697 centri di sanità pubblica in tutto il Giappone. Un numero in netto contrasto con quello fornito da Saitō.6

A esacerbare i dati pessimistici di Saitō, ci sono poi i numerosi casi di cronaca nera riportati dai giornali negli ultimi anni. I media e la loro rappresentazione del fenomeno può essere il motivo principale di una fuorviata consapevolezza pubblica del problema sociale dello hikikomori. La serie di violenti casi di cronaca legati allo hikikomori comincia il 3 maggio 2000, quando un ragazzo di 17 anni malato di hikikomori dirotta un autobus nella provincia di Saga e tiene in ostaggio un bambino di sei anni. A questo caso che fa scalpore in tutto il paese segue pochi mesi dopo l’omicidio multiplo perpetrato da un altro ragazzo malato di hikikomori: con una mazza da baseball uccide prima un compagno di scuola e poi la madre. Il caso più clamoroso è certamente il rapimento nel 1990 di una bambina di nove anni da parte di un 27enne affetto da hikikomori che tiene imprigionata la bambina per ben dieci anni.7 Malgrado questi avvenimenti di visibilità nazionale attribuiscano allo hikikomori una connotazione violenta, alcuni esperti precisano che l’aggressività nei pazienti affetti da hikikomori è un sintomo molto raro.

I dibattiti e i cambiamenti: da akibin a nuova identità sociale

Vari dibattiti sulla validità del conio del termine e sulla relativa categorizzazione di vittime e sintomi si susseguono sin dal 2001.

Malgrado la diffusione rapida ed estesa del termine con connotazioni negative, ci si domanda quanto il termine stesso, hikikomori, sia efficace a indicare un fenomeno sociale tanto complesso. Inoltre, ci si chiede anche perché è stato coniato un termine giapponese ex-novo per indicare il ritiro sociale quando una sintomatologia simile esiste in altre società e porta il nome di social withdrawal syndrome. Nel 2000, il ministero della Sanità e del Lavoro giapponese ha classificato malati di hikikomori coloro che hanno

5 Ibidem.

6 Dziesinski, Hikikomori, cit., p. 7.

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175 vissuto un periodo di reclusione volontaria superiore ai sei mesi.8 Tuttavia, dalle statistiche fornite dal ministero stesso, si può notare come circa il 40% dei malati è rimasto recluso fra uno e cinque anni. Questi dati suggeriscono che probabilmente il problema dello hikikomori preesisteva nella società giapponese da parecchie decadi, ma non è stato identificato come hikikomori nella consapevolezza pubblica. È dunque lecito avere il sospetto che molti giovani affetti dalla sindrome del tōkōkyohi negli anni ’70 e ’80 siano stati definiti affetti da hikikomori nel 2000.

Il dibattito accademico si svolge quindi fra i sostenitori di una revisione terminologica, possibilmente ben ponderata e non arbitraria esclusivamente nel campo dei media, e i sostenitori dell’etichetta hikikomori, come fenomeno peculiare autoctono all’ambiente culturale giapponese che rinforza ulteriormente lo stereotipo di nihonjinron. Fra questi ultimi, Benjamin Secher spiega che fra le implicazioni legate al conio del termine c’è la necessità di autoidentificare ‘il diverso’ all’interno della società giapponese:

L’uomo malato di hikikomori è tagliato su misura per un governo che ha bisogno di un’etichetta ufficiale e per dei media famelici che cercano una faccia umana che giustifichi l’ennui della nazione. Le tipografie si sono date a un’attività così produttiva sul fenomeno che negli ultimi tre anni sono stati pubblicati quasi trenta libri relativi allo hikikomori.9

Due sono i problemi che emergono da questa breve analisi. Il primo è che, nonostante le statistiche dimostrino uno spostamento della fascia d’età delle persone affette da hikikomori che va dai venti ai trent’anni, si percepisce una certa riluttanza nella società giapponese ad accettare il fenomeno di hikikomori come un fenomeno non giovanile.10 Probabilmente, lo si continua a percepire come una forma di rifiuto per la scuola, come una forma di tōkōkyohi.11

8 Tuttavia, secondo altri, la durata media come hikikomori è molto più lunga, anni o persino decadi. Cfr. Cameron Barr, “Call for help: Young Japanese retreat to life of seclusion”, The Christian Science Monitor, 16 August 2000.

9 Benjamin Secher, http://www.asahi.com/english/weekend/K2002122100188. Ultimo aggiornamento: 10.07.02. Pagina consultata il 02.01.08.

10 Michael Zielenziger, “Deep pessimism infecting many aspects of Japanese society”,

Knight Ridder Newspapers, 18 dicembre 2002. Zielenziger, portavoce di un gruppo di

famiglie di hikikomori, afferma che l’80% degli hikikomori si sia spostato a una fascia d’età che va dai 20 ai 30 anni, poiché un periodo di reclusione tanto lungo favorisce il lento ma continuo spostamento della fascia d’età dei malati a un’età più adulta.

11 Il ministero della Sanità e del Lavoro giapponese spiega come il numero di studenti che mostrano un serio rifiuto nei confronti della scuola, tōkōkyohi, sono raddoppiati negli ultimi dieci anni. Il ministero dell’Istruzione ha definito studenti affetti dal rifiuto per la scuola coloro che sono assenti per più di trenta giorni consecutivi. Nel 2002, sono stati circa 134.000 gli studenti assenti per trenta giorni consecutivi durante l’anno accademico. Cfr. Secher, sito citato alla nota 9.

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Il secondo problema è la riluttanza a identificare con più precisione i sintomi della malattia e perciò di definirla. Il rischio è quello appunto di ‘sensazionalizzare’ il fenomeno, pubblicando dati esagerati e poco ponderati.

Nonostante sia evidente che il termine hikikomori denota un gruppo eterogeneo di giovani e meno giovani che per motivi personali in gran parte disparati palesano la sindrome del ritiro sociale, si nota una certa tendenza nel lasciare il fenomeno in un alone di ambiguità.

Qual è quindi l’immagine del malato di hikikomori nei media?

È un’immagine dicotomica. Durante la fine degli anni ’90, il malato di hikikomori è descritto come un akibin, una ‘bottiglia vuota’. Akibin è lo pseudonimo usato dai giornalisti per descrivere i malati di hikikomori e la loro posizione della società: “Lasciare uno spazio in bianco sul proprio CV, lasciare la propria posizione in questa società ammalata è come suicidarsi”.12

Lo hikikomori è riluttante a rientrare nella società perché non ha idea di quale ruolo ricoprire o di come gestire la propria assenza. E ancor prima di tutto ciò, un hikikomori sa che la propria malattia è uno stigma sociale.

Tuttavia, dall’inizio del 2000, è evidente un’inversione di tendenza nella rappresentazione degli hikikomori, in particolare nei testi finzionali.

Hikikomori, komori, o persino komorizoku diventano nuove ‘identità sociali’

alle quali sempre più giovani si identificano per esprimere la propria avversione alle pressioni della società. La definizione attualmente vaga di hikikomori permette che anche dei comportamenti di ribellione ricadano sotto l’etichetta di hikikomori. Coloro che scelgono coscientemente il rifiuto verso la società per motivi emulativi piuttosto che medici adottano l’etichetta di hikikomori, o meglio acquistano una nuova identità, non singola ma di gruppo. Il paradosso è che proprio una malattia che per antonomasia vorrebbe che chi ne soffre viva da eremita è diventata invece il legante di una nuova tribù.

Esperti giapponesi di hikikomori come Kudo suggeriscono che il ritiro sociale attualmente classificato come hikikomori è una caratteristica della società giapponese almeno quanto lo sia stato il tōkōkyohi.13 Entrambi i fenomeni sono in realtà sintomo della pressione educativa del dopoguerra che non offre una seconda chance ai figli. Dopo aver vissuto cinquant’anni di inferno degli esami e alla fine non ricompensati dalle sicurezze lavorative promesse a causa della grave recessione, i giovani giapponesi manifestano ‘fisicamente’ il proprio malessere, sollevando la domanda “Perché?”

Goodyer suggerisce che una quantità ingente di hikikomori ha accesso a Internet, partecipa alle chat-rooms e ai forum via e-mail; alcuni hanno persino costruito la propria pagina web.14 Questo uso di Internet sembra indicare che

12 Benjamin Secher, “Solitary souls: Out of sight, not out of mind”, Asahi Newspaper, 21 December 2002.

13 Kudo Sadatsugu, Hey Hikikomori! It’s Time, Let’s Go Out, 「おーぃ、ひきこもり そろそろ 外へ出てみようぜ」, Pot shuppan, Tōkyō 2001.

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177 una certa parte di hikikomori non è affatto isolata dalla realtà e non è affatto improduttiva.

Hikikomori nella fiction: la contaminazione degli zoku

Le polemiche che si sono portate avanti in Giappone negli ultimi anni a proposito dei media e in particolar modo dei giornali che hanno esasperato l’immagine dello hikikomori come di un pericoloso malato mentale sono state parzialmente arginate dalle costruzioni filmiche che invece hanno evidenziato i tratti più modaioli, tribali (nel senso di tribù) e naive degli hikikomori.

Il primo testo narrativo qui analizzato è la pubblicità del gioco di ruolo

Dragon Quest VII: Warriors of Heaven, pubblicato nel 2000 da Enix per Sony

PlayStation.15 Una serie di pubblicità furono mandate in onda per promuovere questo video gioco che nell’anno 2000 registrò le migliori vendite in assoluto (è tutt’oggi l’ottavo gioco miglior venduto in Giappone di qualsiasi genere e il terzo miglior gioco di ruolo venduto) e venne premiato del Grand Prize al Japan Media Arts Festival. Dragon Quest VII fu insomma un grande successo, in parte atteso e in parte conquistato da un sapiente marketing. Un gioco lunghissimo che prevedeva, per completarlo, almeno un centinaio di ore di gioco.

Il titolo della pubblicità in questione è “ENIX Dragon Quest VII, Katori Shingo Hikikomori-hen” (ENIX Dragon Quest VII, Versione Katori Shingo affetto da hikikomori). Nella breve sequenza, appaiono attori famosi, fra cui Kimura Takuya e Katori Shingo che è appunto il ragazzo che si rinchiude in casa a giocare al gioco appena uscito nei negozi. Nella pubblicità, si menziona il fatto che Shingo è scomparso da qualche giorno e che da tempo ha cominciato a comportarsi stranamente e a mangiare in maniera squilibrata. Poi al crescendo del tono di preoccupazione per la salute di Shingo, si affianca simultaneamente la voce di qualcuno che suggerisce che è “comprensibile” ciò che Shingo sta facendo, chi potrebbe biasimarlo. L’apex della pubblicità si raggiunge quando Kimura Takuya irrompe in casa di Shingo trovando il compagno sorridente davanti a un monitor che gioca a Dragon Quest VII. Infine, la pubblicità termina con la musica trionfante del gioco.

Il fenomeno dello hikikomori rappresentato dalla pubblicità di Enix è certamente un fenomeno molto leggero e modaiolo che ha molto a che fare con il consumismo. Lo hikikomori non è certo rappresentato come una malattia mentale pericolosa, tanto meno come una malattia di “diversi” o di adolescenti. La scelta stessa dell’attore, divenuto così popolare in Giappone che nel 2005 la Japan Airlines introdusse dei Boing 777 con il suo volto

15 (2007) ENIX Dragon Quest VII, Versione Katori Shingo affetto da hikikomori 「ENIXド ラゴンクエスト 【香取慎吾ひきこもり編】」<http://www.youtube.com/watch?v=mAQ08hSkw60>

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ritratto, è certamente cruciale. Lo hikikomori in questa scena è un ragazzo avvenente, a cui piacciono i videogiochi e nessuno può biasimarlo per essere scomparso. Una buona ragione dunque è responsabile della sindrome.

Il secondo testo narrativo qui analizzato è Densha otoko,16 tradotto come “L’uomo del treno”. Dapprima film e serie televisiva, manga e romanzo più tardi, Densha otoko è una storia basata su un otaku di 23 anni che inaspettatamente interviene quando un uomo ubriaco sul treno cerca di molestare delle donne, fra cui una ragazza bellissima. Non credendosi capace di una tal cosa, il ragazzo si stupisce di se stesso e di scoprire che la ragazza vuole ringraziarlo formalmente con un regalo. Appena rientrato in casa, condivide la sua esperienza su un forum online con altri giovani che lo soprannominano “Densha otoko”. La ragazza lo contatta per ringraziarlo e da lì cominciano a vedersi sporadicamente e poi regolarmente. La costruzione dei loro incontri è brevemente realizzata tramite le immagini dell’incontro vero e proprio, ma per la maggior parte da un tempo e uno spazio filmico molto esteso e diluito che si svolge sul forum.

La comunità con cui l’uomo del treno è in contatto è un gruppo disparato: casalinghe solitarie, uomini alla deriva, pensionati e uno hikikomori. Lo

hikikomori è di nuovo rappresentato da un giovane attore molto bello e famoso

in Giappone, Oguri Shun. È silenzioso, introverso e viene sempre inquadrato nella sua stanza, con alle spalle vecchi computer, e una sua foto vestito da